Quando l’avvocatessa statunitense Linda Hirshman nel 2006 sostenne nel suo libro “Get to Work: A manifesto for the Women of the world” che le donne ambiziose e desiderose di far carriera avrebbero dovuto sposare uomini con meno soldi e prospettive di carriera, la cosa fece molto scalpore e attirò parecchie polemiche.

Hirshamn spiegò però che si trattava di una scelta intelligente, e non “brutalmente strategica”, come era stata definita, e che poteva consentire alle donne di perseguire i propri obiettivi di carriera, scegliendo di sposare qualcuno che potesse sostenerli e avesse piacere a farlo. Insomma, consigliava di fare quello che per secoli era stato fatto dagli uomini.

E, guardando ai dati e alla situazione di oggi, in cui le donne sono ancora le prime a rimetterci in quanto a carriere e vite lavorative, anche per via della solita “questione della cura” che sempre su di loro ricade, pare che la teoria di Linda Hirshman avesse più che un fondamento, soprattutto se letta a 15 anni di distanza, nei quali le cose non sembrano essere cambiate di molto.

Ma la questione è ben più complessa di come appare a un primo sguardo: secondo uno studio condotto da Robin Ely e Colleen Ammerman della Harvard Business School e dalla sociologa Pamela Stone dell’Hunter College, che prende in esame i laureati della Harvard Business School negli ultimi decenni, la gran parte delle donne con un potenziale di carriera ed aspettative elevate non hanno raggiunto quello che si erano prefissate nei 20 anni precedenti, quando si erano iscritte al College e laureate con il massimo dei voti e l’ambizione di una carriera promettente.

E la ragione di questa situazione è da ricercarsi secondo le ricercatrici, non nella scelta di rinunciare al lavoro per la cura domestica e dei figli, ma perché le donne tendono a dare priorità alla carriera dei compagni rispetto alla loro.

I risultati dello studio della Harvard Business School

Nello studio, le ricercatrici hanno intervistato 25.000 ex studenti, uomini e donne, laureatisi negli ultimi decenni e appartenenti alla categoria della generazione dei Baby Bomber (che indica i nati tra il 1946 e il 1964) e della generazione X (tra il 1965 e il 1980).

Dall’indagine è emerso che una percentuale maggiore degli uomini intervistati si trovava in posizioni di più alta responsabilità e in ruoli apicali. Ma non solo. Le testimonianze raccolte da entrambi i sessi e le diverse generazioni coinvolte hanno reso uno scenario ben più chiaro: le donne acconsentivano a riconoscere una maggiore rilevanza alla carriera del partner, arrivando a farsi carico in misura decisamente maggiore della gestione della casa e dei figli.

Nello specifico, più del 70% degli uomini intervistati hanno dichiarato che la loro carriera era più importante di quella delle loro mogli e il 86% di questi ha ammesso che sono le partner a prendersi cura maggiormente dei bambini e della casa.  Un dato confermato anche dal 65% delle donne della generazione X e dal 72% delle donne appartenenti alla generazione dei Baby Boomer.

Ma c’è un altro dato interessante, che riguarda le aspettative di entrambi i sessi nel periodo immediatamente successivo all’università: se più della metà degli uomini dava per scontato che le donne avrebbero fatto un passo indietro per dare precedenza alla carriera di questi ultimi, solo il 7% delle donne delle generazione X e il 3% delle donne cosiddette “boomer” facevano lo stesso ragionamento. Comunque la stragrande maggioranza delle donne pensava all’epoca a un matrimonio egualitario, quel modello di gestione familiare cosiddetto “dual earner” che però nei fatti, per mancanza di infrastrutture di sostegno e la resistenza di modelli culturali patriarcali, porta ancora una volta a far ricadere le incombenze della cura sulle spalle femminili.

Ovviamente, la gestione degli accordi familiari è solo uno dei problemi che ostacolano la vita lavorativa delle donne e le loro possibilità di carriera.

Non possiamo non rilevare un dato di fatto per niente incoraggiante: ancora oggi per il sistema lavoro, le donne che hanno uno o più figli continuano a essere delle lavoratrici di serie B, perché “divise” tra lo status di lavoratrice e di madre. Cosa che però non sembra accadere ai padri, per i quali la paternità assume addirittura valore fino a diventare un vantaggio, anche e soprattutto lavorativo, che li porta a ottenere promozioni, crescita professionale e aumento salariale. Le ragioni sono da ricercarsi in un sistema culturale che si basa ancora oggi sulla priorità del modello male breadwinner, almeno da un punto di vista concettuale, se non nei fatti.

E così, ecco che le donne-madri si ritrovano a subire diminuzioni di salario, part-time forzati e sollevamenti da incarichi e ruoli fino a quel momento ricoperti, e sono costrette a vedersi sfumate sogni e prospettive di carriera, per quanto dotate della piena capacità di sostenerle, anche con dei figli a carico.

Ma lo studio ci mette di fronte a un altro problema: se, prendendo in considerazione la categoria dei millennial uomini, si nota una maggiore tendenza all’uguaglianza con la controparte femminile, comunque sempre il 50% di questi continua a sostenere che la loro carriera debba avere la precedenza su quella delle partner e che sempre a queste ultime spetterebbe la maggior parte della cura dei bambini.

Ecco perché, ancora 15 anni dopo, le parole di Hirshman suonano profetiche, oltre a essere confermate dai fatti: la maggior parte delle donne che oggi ricoprono un ruolo di amministratrice delegata hanno dei mariti che non lavorano.

Una di queste è Ursula Burns, Ceo di Xerox, che in una conferenza del 2013 ha citato il libro di Hirshman e rivolto alla platea una frase ironica, che nascondeva però una verità:

Il segreto del successo è sposare qualcuno di 20 anni più vecchio.

La donna si riferiva al fatto che il marito, più grande di lei, era prossimo alla pensione proprio quando lei era all’apice della sua carriera, un aspetto che ha permesso all’uomo di prendersi cura dei figli e a Burns di dedicarsi al suo lavoro senza essere costretta a fare sacrifici e a scendere a compromessi.

Fino a che non saranno messi in atto una serie di cambiamenti culturali e strutturali mirati a considerare la vita lavorativa delle donne al pari di quella dei partner – anche e soprattutto con una politica economica che investa su infrastrutture a sostegno della maternità e della questione della cura – la teoria sollevata da Hirshman potrebbe essere purtroppo l’unica via possibile per non ritrovarsi a fare compromessi e sacrificare la propria carriera, del tutto o in parte.

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