Non staremo al nostro posto: il 28% delle donne subisce violenza sul posto di lavoro

WeWorld ha diffuso il nuovo rapporto sulle forme di violenza sui luoghi di lavoro, sperimentate da quasi il 30% delle donne lavoratrici. Tra le manifestazioni principali la violenza verbale, ma anche fisica, e il mobbing.

Mancano pochi giorni al 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ma la società, sul tema, sembra ancora piuttosto indietro, sotto diversi aspetti.

Non solo per quanto riguarda i femminicidi, drammatica punta di un’iceberg che in realtà affonda molto più in basso, nei rapporti impari tra generi, nelle discriminazioni e nei retaggi culturali, perché, a dispetto di quanto sostenuto dal ministro Valditara in tempi recenti, il patriarcato è tutt’altro che defunto con la riforma del diritto di famiglia del 1975.

La violenza nei confronti delle donne assume molteplici facce, anche sul posto di lavoro, dove le lavoratrici (ma anche i lavoratori) sono ancora spesso vittime di molestie indesiderate e di abusi; a parlarne, in occasione del prossimo 25 novembre, è WeWorld, organizzazione italiana indipendente impegnata a garantire i diritti di donne e bambini in oltre 25 Paesi, nel rapporto Non staremo al nostro posto. Per il diritto a un lavoro
libero da molestie e violenze, presentato a Palazzo Marino il 20 novembre alla presenza di Lamberto Bertolè, Assessore al Welfare e Salute
del Comune di Milano e Elena Lattuada, Delegata del Sindaco alle Pari Opportunità di Genere del Comune di Milano.

Il rapporto contiene il sondaggio realizzato con Ipsos su un campione di 1100 lavoratori e lavoratrici tra i 20 e i 64 anni su molestie e violenze sul lavoro, e raccoglie 140 testimonianze anonime di persone che hanno subito molestie.

Analizzando i dati del sondaggio, emerge che le forme di violenza più diffuse sono la violenza verbale (56%), seguita dal mobbing (53%) e dall’abuso di potere (37%).

Infine violenza fisica (10%), stalking (6%) e violenza online (2%). Le molestie sessuali sono percepite come la forma di violenza più grave dal 52% del campione, seguite dal mobbing (37%) e dalla violenza fisica (34%).

Con l’eccezione di violenza fisica e bullismo, la percezione è che le donne siano le maggiori vittime di tutti i tipi di violenza su luogo di lavoro.

I dati: il 28% delle donne ha subito violenza sul posto di lavoro

Questi sono i dati più rilevanti sulla violenza nei luoghi di lavoro evidenziati dal rapporto:

  •  Il 60% di lavoratori e lavoratrici è a conoscenza di episodi di violenza avvenuti sul proprio luogo di lavoro.
  • Il 42% degli intervistati ha assistito e/o subito a episodi di violenza sul posto di lavoro.
  • Il 22% ha subito violenza sul posto di lavoro almeno una volta nella vita. Tra le donne il dato sale al 28%.
  • Gli autori delle violenze sul lavoro sono soprattutto capi (42%) o colleghi uomini (35%), seguiti da colleghe (22%) e cape donne (13%).
  • 1 donna su 2 (50%) tra quelle che hanno subito violenza sul luogo di lavoro indica il capo uomo come autore della violenza.

Le microaggressioni

Per quanto riguarda le microaggressioni, ovvero comportamenti apparentemente non problematici ma che denotano un intento discriminatorio o umiliante, il 71% del campione dichiara di aver assistito o subito almeno una micro-aggressione sul posto di lavoro. Di queste, il 58% ha dichiarato di esserne stata vittima diretta.

Il 37% delle donne ha subito episodi di mansplaining sul luogo di lavoro, mentre una su 4 ha subito sguardi o avances inappropriate.

I responsabili principali delle microaggressioni sono colleghi (38%), capi uomini (37%), seguiti da clienti uomini (14%) e colleghe donne (12%).
I giovani e le lavoratrici sembrano maggiormente esposti a microaggressioni da parte di clienti ed estranei.

Tra le conseguenze più gravi della violenza esercitata sul luogo di lavoro ci sono l’insorgenza di stress e ansia (56% degli intervistati), il burnout (33%), la diminuzione dell’autostima (30%), fino alle dimissioni (25%) e al manifestarsi di forme di depressione (21%).

  • Il 37% delle donne ha sperimentato il burnout dopo le violenze sul lavoro.
  • Il 25% degli uomini ha avvertito un calo della produttività dopo le violenze sul lavoro.
  • Il 25% del campione intervistato ha dato le dimissioni dopo violenze sul lavoro.
  • Il 14% è stata licenziata/o in seguito a violenze subite sul luogo di lavoro.

I motivi per cui la violenza sul lavoro non viene denunciata

Ovviamente tra le cause primarie che spingono una persona a non denunciare di essere stata vittima di un episodio di violenza sul posto di lavoro c’è il timore di perdere la propria occupazione: ben il 59% degli intervistati ha paura e motiva la scelta di non procedere con una denuncia con questa ragione. Ma c’è anche un 53% che ha paura di possibili ritorsioni da parte di chi ha commesso la violenza, mentre il 41% pensa che denunciare non servirebbe a nulla.

La paura di perdere il proprio posto sale al 62% tra le donne. Per 2 operaie su 3 (65%) è il motivo principale.

Il 26% teme di non essere creduta se denunciasse.

L’80% delle donne che hanno assistito o subito violenza sul lavoro non si sono sentite tutelate dalla propria azienda.

Le testimonianze

“Le molestie sul lavoro sono una delle tante manifestazioni del patriarcato, un sistema che danneggia non solo le donne, ma anche gli uomini – spiega Martina Albini, Coordinatrice del Centro Studi di WeWorld – Negli ultimi decenni, il diritto a condizioni di lavoro sicure e dignitose è stato indebolito da politiche che hanno ridotto il potere sindacale, incentivato la riduzione del personale e favorito la delocalizzazione, creando una vulnerabilità diffusa che spinge molte persone, a a partire dalle donne, che vivono una costante situazione di discriminazione, ad accettare condizioni di lavoro difficili, mettendo in secondo piano i propri diritti e subendo maltrattamenti, discriminazioni e molestie.

Mai come ora – aggiunge Albini – è fondamentale mettere apertamente in discussione le dinamiche di prevaricazione alla base di questi abusi e lavorare per costruire ambienti di lavoro sicuri e rispettosi per tutte e tutti: un diritto umano fondamentale”.

Per far comprendere quanto profonda e radicata sia la problematica negli ambienti di lavoro italiani, WeWorld, assieme ai dati, ha raccolto anche 140 testimonianze di lavoratori e lavoratrici che hanno subito almeno una volta nella vita una forma di violenza sul luogo di lavoro.

Lavoro in un’agenzia di Treviso, in cui nei ruoli di responsabilità sono stati inseriti solo maschi. Noi donne non veniamo mai considerate, siamo sempre subordinate. Dopo dieci anni di lavoro lì avrei gradito una gratificazione, ma nulla… È stato assunto un uomo, amico di un altro collega interno, e la spiegazione al fatto di non scegliere mai una donna è che poi tutte le altre sarebbero state invidiose… Come se passassimo il tempo ad intralciarci l’una con l’altra.

donna, 30 anni, comunicazione, ICT e digital

Ho lavorato in questa azienda per circa sette anni. Al mio rientro dopo la maternità, non avevo più la mia scrivania ma un posto in magazzino (io sono una contabile) dove riordinare e pulire…

donna, 38 anni, agricoltura e agroalimentare

È stato un genitore (sposato) di un bambino della mia classe. È iniziata da un’amicizia su Facebook (io non l’ho mai accettato), dove su Messenger mi scriveva oscenità sessuali molto esplicite e dettagliate. Quando si presentava a scuola per prendere il figlio o portarlo, cercavo di non rimanere sola con lui perché mi bloccava tra gli armadietti cercando di “annusarmi”. Ho chiesto a colleghe e collaboratori scolastici di aiutarmi, ma solo le collaboratrici lo hanno fatto, mentre la dirigente e mi ha gelato dicendo che forse era un profilo falso su Facebook e magari voleva solo sapere che profumo avessi… Ho cambiato scuola

donna, 30 anni, istruzione e formazione

Ho denunciato l’Amministratore delegato per violenza sessuale. Mi è saltato addosso come un animale in ufficio. È stato condannato a 3 anni e 2 mesi ed ora ha fatto ricorso in appello. Ho passato l’inferno per anni sul luogo di lavoro e ne sto pagando ancora le conseguenze. Tornassi indietro lo rifarei perché non avrei mai accettato compromessi, ma è stata dura.

donna, 45 anni, finanziario e assicurativo
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