Vi è mai capitato di ricevere insulti, calunnie, auguri di stupro sui social network? A volte, la nostra percezione è che si siano abbassate le inibizioni e l’odio corra libero in Rete. La percezione di un odio generalizzato – soprattutto nei confronti delle cosiddette minoranze: donne, migranti, persone Lgbt, diversamente abili, ma anche anziani o giovani – è comunque supportato da esperienze quotidiane.

Non passa giorno che gruppi di persone o singoli siano offesi e diffamati via social non solo per quello che pensano, ma anche per quello che sono. Alle donne che si mostrano a favore di argomenti sensibili come aborto oppure migrazioni, per esempio, viene spesso imputata una vita sessuale libertina da qualche utente che ha scambiato l’odio per l’espressione della propria opinione, per libertà di parola. Ma tutto questo sta per finire con #Odiareticosta.

Si tratta di un progetto ambizioso che prende le mosse da una questione non trascurabile: venire offesi, insultati e diffamati sui social è qualcosa che a volte viene trattato da chi subisce questa violenza con un nulla di fatto. Succede perché non sempre si sa a chi rivolgersi in quanto a supporto o non si hanno soldi per intraprendere una causa legale che può rivelarsi lunga e costosa. Così Cathy La Torre, avvocata e attivista per i diritti Lgbt che viaggia per tutto lo Stivale per difendere legalmente chi ha subito abusi, ha lanciato, annunciandolo proprio sui propri canali social, #Odiareticosta.

#Odiareticosta consiste nella possibilità di rivalersi in sede civile – e non penale – sugli insulti e le offese ricevute sui social network, anche per chi non se lo può permettere. L’iniziativa è stata ideata da WildSide – lo studio legale della stessa La Torre – e l’associazione Tlon, che hanno radunato un team di «avvocati, filosofi, comunicatori, investigatori privati, informatici forensi», che raccoglieranno le segnalazioni giunte all’indirizzo odiareticosta@gmail.com. La scelta della causa civile e non penale è dovuta al fatto che si rimetterà al giudice la decisione dell’indennizzo che la parte offesa potrà ricevere.

Da oggi – scrive Cathy La Torre su Facebook – non vi consentiremo più di danneggiare impunemente gli altri col vostro odio. Di offendere, diffamare, calunniare, minacciare, impunemente. Da oggi i danni arrecati alle vittime di odio su Facebook, Messenger, Instagram, YouTube, vi costeranno. E non vi costeranno una condanna penale di pochi mesi che vi appunterete al petto come una medaglia. No. Vi costeranno denaro, perché agiremo in sede civile.

E sarà un giudice a stabilire con quanto denaro dovrete risarcire la vittima delle vostre azioni. Perché se il diritto di critica è sacro e inviolabile, se la libertà di opinione è sacra e inviolabile, se la libertà di dissenso, anche aspro, duro, netto, schietto, è un diritto sacro e inviolabile, la diffamazione no, l’ingiuria no, la calunnia no, l’offesa no, la minaccia no. Quelli sono delitti. Anche e soprattutto sui Social. E arrecano danni. E quei danni vanno risarciti.

Criticare una donna per le sue posizioni politiche è un sacro diritto. Augurarle lo stupro è invece un delitto. Criticare una persona perché solidarizza con i migranti è un sacro diritto. Insultarla, accusarla senza prove di qualche crimine, calunniarla è invece un delitto. Criticare un omosessuale per le sue idee è un sacro diritto: insultarlo, offenderlo, ingiuriarlo, augurargli o promettergli violenza no. Quello è un delitto. È un danno. E si paga. Fino a oggi le vittime di questi delitti sono state lasciate sole. Adesso basta.

Tra i commenti a La Torre tuttavia si nota come non tutti riescano a capire ancora lo scarto tra un’opinione e la violenza verbale – in questo caso su un canale scritto. Certo, agire per via legale significa fronteggiare il fenomeno in maniera molto diretta. Ma comunque, oltre al supporto legale, probabilmente è bene agire anche dal punto di vista dell’educazione, più che della sensibilizzazione, che purtroppo non sempre riesce ad arrivare a tutti.

Quest’educazione può giungere dalle associazioni culturali e di promozione sociale dei diversi territori italiani, ma anche e soprattutto in famiglia e a scuola, i luoghi in cui i giovani trascorrono più tempo. Perché forse le generazioni attuali saranno punite dalla giusta e lodevole iniziativa di WildSide e Tlone, ma la speranza nel futuro è che non ci sia più bisogno di iniziative come questa.

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