Per Adelina Sejdini e per la sua lotta alla tratta delle migranti in Italia

L'8 novembre 2021 moriva suicida Adelina Sejdini, che per vent'anni ha lottato contro la tratta delle migranti in Italia, facendo arrestare molti membri della mafia albanese coinvolti nel racket della prostituzione. I suoi appelli per avere protezione dallo Stato italiano sono rimasti inascoltati.

L’8 novembre 2021 moriva suicida Adelina Sejdini, il cui nome resterà per sempre legato alla lotta contro la tratta delle donne ma anche alle storture burocratiche di questo Paese.

Nata a Durazzo, rapita e violentata in un bunker ancora minorenne, Sejdini arriva in Italia poco più che ventenne, nel 1996, su un gommone, e di lì a poco entra nel giro della prostituzione. Per due decenni la sua vita è fatta solo di abusi e maltrattamenti, fino a quando, nel 2017, trova la forza di ribellarsi e di denunciare il racket dei trafficanti di donne.

Grazie alle sue rivelazioni fa arrestare 40 persone e ne fa denunciare altre 80, tutte appartenenti alla mafia albanese che controlla lo sfruttamento della prostituzione in Italia. È consapevole del danno che ha causato all’organizzazione criminale, e in una trasmissione televisiva dice

Io se torno in Albania sono una donna morta, ho paura di essere ammazzata da quelli che ho fatto arrestare.

Ciò che chiedeva, dopo oltre vent’anni passati nel nostro Paese a collaborare anche con l’associazione City Angels, proprio per aiutare altre giovani prostitute a liberarsi dalla schiavitù, era la cittadinanza italiana, dopo aver abbandonato quella albanese. Ma, al terzo rinnovo del permesso di soggiorno, la procura di Pavia, dove Adelina Sejdini viveva, le rinnega lo stato di apolide, restituendole la cittadinanza originaria. Oltre al rischio, concreto, di essere rimpatriata in Albania, Sejdini si è vista di colpo togliere l’alloggio popolare che le spettava, ogni forma di supporto, anche sanitario, e il diritto alla pensione di invalidità, riconosciuto al 100% da una commissione medica, in quanto malata di cancro al seno.

Per protestare contro i cavilli burocratici che le avevano tolto tutto si reca a Roma, nella speranza di incontrare il presidente Mattarella o qualche funzionario del Ministero dell’Interno; lì, davanti al Viminale, il 28 ottobre 2021, in preda alla disperazione, Adelina Sejdini si dà fuoco, ma il suo drammatico gesto è inutile. Anzi, viene malmenata dalle forze dell’ordine che vogliono zittirla, e poi liquidata con un foglio di via dal dipartimento della Pubblica Sicurezza, come una criminale della peggior specie.

Soccorsa e trasportata all’ospedale Santo Spirito, gravemente ustionata, raccontava:

Ho presentato la domanda per avere una casa popolare, ma adesso me la sogno. I documenti non corrispondono più. E non posso accettare la cittadinanza albanese, dal momento in cui me l’hanno scritto ho gli incubi. Mi ammazzo piuttosto.

Purtroppo mantiene la sua parola l’8 novembre, quando si lancia nel vuoto nel Tevere da Ponte Garibaldi.

Io sono in Italia da 18 anni con un permesso di soggiorno per motivi umanitari in quanto vittima di tratta, permesso che mi è scaduto ad aprile e sono in attesa di rinnovo – aveva detto nel 2018, dopo la stretta sui permessi di soggiorno per motivi umanitari contenuta nel decreto immigrazione dell’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini – Mi impegno in prima linea, mi sono ribellata al racket, e ora mi hanno lasciata come un fantasma. Lo Stato italiano, tanti anni fa, mi ha convinta a denunciare, mi hanno promesso protezione, ora mi protegga fino alla fine.

Questa protezione, per Adelina Sejdini, conosciuta anche con il nome da attivista Adelina 113, non è mai arrivata. Lei, che è stata l’artefice dello smantellamento di un giro d’affari che specula sulla pelle delle giovani donne, che ha scritto libri, rilasciato interviste e persino parlato in Parlamento (l’ultima volta nel giugno del 2021), è stata abbandonata dalle istituzioni, soffocata dalla burocrazia che non le ha permesso di ricevere quella cittadinanza che l’avrebbe aiutata e che, dopo la sua morte, in molti hanno chiesto, simbolicamente, postuma.

Di lei rimane l’impegno per aver posto l’attenzione su una piaga che, purtroppo, permane: secondo il report del Dipartimento di Stato degli USA sul traffico di persone, nel 2023 l’Albania non ha ancora i criteri minimi per eliminare il traffico di persone: nessuna legge che vieti la moderna schiavitù, e un altissimo livello di corruzione del sistema giudiziario fanno sì che il racket della prostituzione continui a essere florido. Nel 2021 sono state identificate 110 potenziali vittime, contro le 81 del 2020. La battaglia di Adelina Sejdini non è finita.

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