
Perché dire Medio Oriente è sbagliato (e cosa dovremmo dire)
Nawal al-Sa'dawi ha spiegato una volta perché non si dovrebbe dire Medio Oriente: cosa sapere sul colonialismo delle parole e sulle espressioni correttamente decolonizzate.

Nawal al-Sa'dawi ha spiegato una volta perché non si dovrebbe dire Medio Oriente: cosa sapere sul colonialismo delle parole e sulle espressioni correttamente decolonizzate.
“Medio Oriente” è una delle espressioni che sentiamo dire molto spesso al telegiornale, oppure quando leggiamo un articolo la vediamo per iscritto, o ancora la ascoltiamo nei dibattiti pubblici e privati che possono riguardare una determinata area del mondo. Si tratta di un’espressione inoffensiva? No: è questo il punto di vista su Medio Oriente che sosteneva la scrittrice e attivista femminista Nawal al-Sa’dawi, la quale ha proposto anche dei modi alternativi per definire alcune zone del mondo, spogliando così il linguaggio della sua valenza coloniale.
Su Instagram è spuntato uno spezzone di una vecchia intervista di Nawal al-Sa’dawi. Non sappiamo quando è stata girata, sicuramente prima del 2021, anno in cui la scrittrice è morta, ma non ha molta importanza, dato che le sue parole hanno ancora una loro validità intrinseca: se non si smette di utilizzare una locuzione, un pensiero contrastante su quella determinata locuzione è ancora valido. Queste sono infatti le parole di Nawal al-Sa’dawi:
“Appena sento Medio Oriente mi innervosisco. Perché questa è una lingua coloniale. È come Terzo Mondo, come post-coloniale. Medio Oriente, medio cosa? Medio per chi? Devi chiedertelo. La conoscenza viene quando ti chiedi perché. Chi l’ha chiamato così? Perché ci chiamano Medio Oriente? Siamo stati chiamati così e dobbiamo studiare la storia. Siamo stati chiamati così perché eravamo una colonia britannica quindi l’Oriente era medio rispetto a Londra. E l’India veniva chiamata estremo Oriente, rispetto a Londra perché l’India era anche essa una colonia. Così ora, quando vado a Londra, dico: ‘Vado nel Medio Occidente’. E la gente ride. Quando vado negli Stati Uniti dico: ‘Vado nell’estremo Occidente’. E la gente ride, ma nessuno ride quando lei dice Medio Oriente. Questo è colonialismo, e linguaggio coloniale. E noi dobbiamo decolonizzare il linguaggio”.
È un punto di vista interessante quello di Nawal al-Sa’dawi perché punta il dito sull’aspetto coloniale del linguaggio. Il linguaggio, che è fondamentale nella comunicazione verbale, non è lo stesso in ogni tempo e in ogni contesto. Le parole che pronunciamo possono essere frutto di un determinato periodo storico o politico, e non sempre i retaggi del passato risultano positivi. Sicuramente non è positivo il periodo del colonialismo, ovvero quello in cui l’Europa prese a piene mani dalle nazioni africane, asiatiche e oceaniche, con intento predatorio. Di quel colonialismo esistono ancora tanti piccoli strascichi e testimonianze inquietanti, che come per tutta la storia vanno ricordate. Tuttavia riconoscere che una parola è colonialista non significa negare la storia non significa operare una damnatio memoriae, ma significa a maggior ragione avere la consapevolezza di un significato negativo. Tanto che sempre nella sua intervista Nawal al-Sa’dawi ci fornisce delle alternative più interessanti a Medio Oriente ed estremo Oriente.
Potremmo aprire una parentesi infinita sul punto di vista dell’osservatore e la scrittrice ha sicuramente ragione quando dice quale sia il punto di vista che ha partorito l’espressione “Medio Oriente”. E se stessimo parlando di fisica e non di geografia, la teoria della relatività ci direbbe che siamo in torto, perché è sempre l’osservatore che conta. Ma la geografia ha fortunatamente dei punti fermi e questi punti fermi sono gli oceani e i continenti, i punti cardinali, la rosa dei venti. Ed è così che potremmo sostituire Medio Oriente con Nord Africa ed estremo Oriente con Sud-ovest Asiatico. Perché queste espressioni valgono indipendentemente dall’osservatore, indipendentemente dal tempo e dalla politica di quel determinato tempo. Quindi, a meno che non ci sia un giorno un fenomeno inverso alla deriva dei continenti, vanno bene.
Il ragionamento fatto da Nawal al-Sa’dawi non è propriamente nuovo: Malcolm X esaminò l’intero dizionario, al fine di provare a capire quali erano le parole degli eurodiscendenti che avevano influito sul destino degli afrodiscendenti. Tuttavia quel discorso tratto dall’intervista di Nawal al-Sa’dawi ha bisogno anche di alcune precisazioni. Fermo restando che il concetto di Medio Oriente è assolutamente condivisibile, la scrittrice parla anche di Terzo Mondo e il concetto è condivisibile lo è a un patto: questa precisazione è importante perché la scrittrice non è più tra noi e quindi non potrebbe spiegarlo lei.
L’espressione Terzo Mondo viene usata quasi sempre con una connotazione dispregiativa o comunque relativa: la connotazione dispregiativa ha a che vedere con il fatto che l’espressione identifica dei Paesi ritenuti poveri, mentre la connotazione relativa identifica dei Paesi in via di sviluppo, ovvero sviluppo in relazione a Europa e Stati Uniti. In questa ultima accezione si comprendono le parole di Nawal al-Sa’dawi. C’è però un ma: Terzo Mondo non significa questo, bensì è un nome che è stato dato nel corso della Conferenza di Bandung nel 1955 a quei Paesi che erano terzi, ovvero non appartenevano né al blocco Nato né al patto di Varsavia. La connotazione dispregiativa o relativa è stata aggiunta successivamente, ma come ci insegna proprio Nawal al-Sa’dawi non è quella corretta.
Vorrei vivere in un incubo di David Lynch. #betweentwoworlds
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