Perché il maschicidio non esiste e il femminicidio non è il generico omicidio di una donna

Parlare di "maschicidio" banalizza il concetto di femminicidio  e ignora le sue radici sistemiche. Gli "omicidi delle donne in quanto tali" non sono solo una questione numerica, ma il risultato di una lunga storia di oppressione e disuguaglianza.

“Perché quando una donna uccide un uomo non parliamo di maschicidio?”. La domanda ricorre nei commenti ad articoli in cui si parla di femminicidio.

A porla sono persone, per lo più uomini ma non solo, che vogliono perorare una presunta equità di trattamento tra maschi e femmine nelle responsabilità dei crimini ma, così facendo, dimostrano solo di non conoscere i dati, non riconoscendo il fenomeno sistemico e culturale della violenza di genere.

L’ignoranza sul tema, nel senso etimologico del termine, non riguarda del resto solo persone che si occupano d’altro, ma anche rappresentanti del mondo politico, giornalistico e intellettuale che dovrebbero invece avere una conoscenza precisa e un approccio non ideologico sull’argomento, almeno quando lo trattano.

Paradigmatico, in questo senso fu il titolo di Libero, che nel 2020 titolò a tutta pagina: “Più maschicidi che femminicidi”, riportando i dati degli omicidi di uomini e di donne in maniera del tutto slegata dal movente e dall’autore o dall’autrice del reato.

Cos’è il femminicidio e cosa dovrebbe essere il maschicidio (se esistesse)

Il termine femminicidio è stato introdotto dalla sociologa e criminologa Diana E. H. Russell negli anni ’70, in prima battuta come femicidio, per indicare l’uccisione di una donna per motivi di genere, enfatizzando le dinamiche di potere, controllo e misoginia.

L’ONU definisce il femminicidio come “l’uccisione intenzionale di donne in quanto donne”, evidenziando come il movente del crimine sia legato al genere .

Il femminicidio implica cioè la dimensione culturale in cui questo tipo preciso di omicidio è agito in modo sistemico, che riflette il sistema sociale patriarcale in cui le donne sono considerate inferiori o subordinate. Non è quindi il generico omicidio di una donna, per esempio durante una rapina in banca, ma il culmine di una violenza di genere strutturale e spesso preceduto da un’escalation di comportamenti abusivi – stalking, violenza psicologica, fisica o economica – agita dall’uomo per rivendicare il potere sulla donna.

Per darsi il termine e prima ancora la possibilità stessa del maschicidio, dovrebbe esistere una società in cui gli uomini sono oppressi, considerati da millenni subordinati alle donne anche dalle istituzioni, dalle leggi e dalle religioni. Ergo, il maschicidio non esiste.

I numeri dell’omicidio in Italia e del femminicidio

Secondo i dati ISTAT del 2022, in Italia sono state uccise 319 persone, di cui 125 donne.
Quindi sì, la maggior parte degli omicidi hanno come vittime gli uomini, uccisi per lo più in contesti estranei alla sfera familiare o relazionale, spesso in episodi legati a criminalità o conflitti tra pari. Le vittime femminili, invece, per quanto inferiori numericamente sono state nella maggior parte dei casi (104 su 125) uccise in ambito familiare o affettivo.

Questo dato riflette una realtà di controllo e possesso che rende il femminicidio un fenomeno unico, radicato nella disuguaglianza di genere. Il femminicidio non si limita a contare le vittime femminili, ma considera il contesto e le motivazioni alla base di tali crimini, mettendo in luce il carattere sistemico della violenza di genere.

Una violenza storica e strutturale: il contributo di Christelle Taraud

La storica Christelle Taraud, nel suo libro Féminicides. Une histoire mondiale, offre una prospettiva globale e storica sul femminicidio, mostrando come sia un fenomeno antico, profondamente radicato nelle strutture patriarcali di molte società. Taraud descrive il femminicidio come una forma di controllo sociale che attraversa epoche e culture, e sottolinea come, ancora oggi, rappresenti il culmine di una lunga catena di oppressioni che si manifestano nella vita quotidiana delle donne.

Secondo Taraud, il femminicidio non è solo un crimine individuale (in quel caso si potrebbe adottare il termine di femicidio originariamente proposto da Russell), ma un atto collettivo che riflette le disuguaglianze sistemiche di una società: trattasi cioè di genocidio di genere (da qui femmini-cidio).

Questo fenomeno può assumere forme diverse a seconda del contesto, dal controllo sui corpi femminili (attraverso violenze domestiche o mutilazioni genitali) alle uccisioni legate al rifiuto di sottomissione o al tentativo di lasciare una relazione abusiva.

Perché il “maschicidio” è un falso concetto

L’uso del termine “maschicidio”, spesso invocato per suggerire una parità nelle violenze subite da uomini e donne, non ha quindi senso. Gli uomini non sono vittime di un sistema che li discrimina o li uccide in quanto uomini.

Cosa ancora più grave: un approccio ideologico al tema che rivendichi il “maschicidio” e un’analisi della violenza epurata dalla lente di genere, oltre a essere statisticamente e storicamente falso, impedisce di parlare di una responsabilità di genere e, quindi, di un ripensamento urgente quanto necessario dei modelli di genere possibile solo tramite un’adeguata educazione affettiva e al consenso a partire dalle scuole dell’infanzia.

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