Il termine “incinta” è – come ben sappiamo – ampiamente utilizzato nella lingua italiana per descrivere una donna in stato di gravidanza, ma pochi conoscono le radici storiche e linguistiche di questa parola. La sua origine affonda le radici nel Medioevo, con un’etimologia che richiama tradizioni antiche e simbolismi profondi.

La parola “incinta” trova le sue prime attestazioni nel XIII secolo. Un esempio significativo è il verso di Jacopone da Todi, poeta e mistico francescano, che usa il termine in un contesto religioso: «Spirito Santo, amor sommo e paterno, / riempié lei del suo santo governo: / incinta si trovò la pulzelletta». In questo caso l’aggettivo “incinta” è utilizzato per descrivere la Vergine Maria e intende sottolineare la sacralità della maternità.

L’etimologia di “incinta” è senz’altro affascinante. Il termine deriva dal latino medievale “incincta”, che è a sua volta un rifacimento paretimologico del latino classico “inciens -entis”, che significa “gravida”. Questo collegamento linguistico si basa sul verbo latino “incingĕre”, che significa “cingere” o “recingere”. Secondo Isidoro di Siviglia, un influente studioso e arcivescovo del VI-VII secolo, il prefisso “in-” ha qui un valore negativo, trasformando “incincta” in “non cincta”, ovvero “senza cintura“. Questo richiamo alla cintura non è casuale: nell’antichità, le donne gravide evitavano di cingersi l’addome per non comprimere la pancia, un’usanza che si riflette direttamente nella parola.

L’associazione tra il termine “incinta” e l’idea di una donna che non porta una cintura suggerisce una condizione di apertura e vulnerabilità, ma anche di sacralità e rispetto. La gravidanza, infatti, era vista come un momento in cui il corpo della donna si apriva alla vita, un evento naturale ma anche carico di significati simbolici. Non sorprende quindi che il termine sia stato adottato non solo nel linguaggio comune ma anche in quello poetico e religioso.

Un esempio dell’uso poetico del termine “incinta” si trova nell’opera di Giuseppe Parini, poeta illuminista del XVIII secolo. Nella sua ode “Alla Musa” dedicato alla dea Giunone Parini scrive: «Scenderà in tanto dall’eterea mole / Giuno, che i preghi de le incinte ascolta», dove l’aggettivo “incinte” viene sostantivato per indicare collettivamente le donne in gravidanza e conferendo al termine un’aura di solennità.

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