"Prima ti stupro, poi ti sposo": la lotta delle donne al matrimonio riparatore
Anche in Italia in passato era una prassi consolidata (e consentita dalla legge). Ma ora anche Giordania e Tunisia dicono no al matrimonio riparatore.
Anche in Italia in passato era una prassi consolidata (e consentita dalla legge). Ma ora anche Giordania e Tunisia dicono no al matrimonio riparatore.
Quando pensiamo ai grandi passi fatti dalle donne nella storia e soprattutto in un passato relativo agli ultimo secolo, pensiamo alle scienziate come Rita Levi Montalcini, alle artiste come Frida Kahlo, alle tante atlete, alle donne in politica e così via. E pensiamo anche a tutte quelle che hanno fatto molto, nella loro vita, per i diritti umani delle loro simili. Pensiamo a Rose Parks per i diritti degli afroamericani, a Rosa Luxemburg per i diritti delle donne lavoratrici, a Franca Viola per aver messo fine alla consuetudine del matrimonio riparatore. Perché il matrimonio riparatore era in Italia – ed è ancora in altre parti del mondo – un orrore, una spada di Damocle cui le donne sono sottoposte: prima avviene lo stupro, poi il crimine degli uomini viene nascosto, occultato dal matrimonio, come se questo servisse per cancellare la violenza commessa. Ma qualcosa sta cambiando.
In queste settimane qualcosa sta cambiando soprattutto in Tunisia. Il parlamento ha votato infatti una modifica dell’articolo 227 bis del codice penale, che prevedeva l’assoluzione completa per chi avesse violentato una minorenne se poi l’avesse anche sposata. Ora però sarà usato il pugno di ferro con gli stupratori, che potranno andare in carcere per cinque anni per un crimine del genere o dieci se fanno parte della stessa famiglia della vittima. Per noi, dal punto di vista femminile, sono sempre troppo pochi, ma è pur sempre un punto di partenza. In tutte le società, si sa, i cambiamenti culturali sono molto lenti, ma quando abbracciano progressi e diritti non possiamo che esserne felici.
Anche la Giordania è alle prese con un processo simile: revocare l’articolo 308 del codice penale. Il problema era simile a quello della Tunisia: il fenomeno degli stupri sulle ragazze di età inferiore ai 15 anni erano diventati parte del tessuto della società, una consuetudine cui non ci si può e non ci si deve abituare nella maniera più assoluta. Mancano solo alcune formalità, ma la legge è pronta a prendere il volo e a eliminare per sempre quest’orrore rappresentato dal matrimonio riparatore.
Per chi non conoscesse la materia, consigliamo la visione di un film di Pietro Germi, dal titolo “Sedotta e abbandonata“. Si tratta di una commedia neorealista, per cui tutto è reso grottesco da una narrazione divertente, ma in realtà è lo specchio di una tragedia che attanagliava la Sicilia come tutta l’Italia negli anni ’60. Nella storia, Agnese Ascalone, minorenne, viene sedotta dal fidanzato della sorella, che dapprima acconsente a un matrimonio riparatore, affinché la legge non lo metta in galera in quanto stupratore, per poi decidere che Agnese è comunque «disonorata». Il padre di Agnese, Vincenzo, le proverà tutte per salvare l’«onore» della famiglia, mentre la figlia è costretta a sopportare vergogna, umiliazioni, delusioni e anche violenze – emblematica è la scena in cui una levatrice attesta la perdita della verginità e forse anche una gravidanza. Il film è una pietra miliare del cinema italiano e serve anche per capire meglio la condizione della donna in quegli anni.
Franca Viola era una ragazza come tante. Nel 1965 aveva appena 18 anni e fu violentata nella sua città, Alcamo, da un mafioso locale. Contravvenendo alla consuetudine dell’epoca, si rifiutò di sposarlo e quindi di salvare lo stupratore dal carcere, come prevedeva il codice penale italiano all’epoca. Codice penale che nel 1981 fu rivisto e fu abrogata la norma che salvava i criminali sessuali che avrebbero sposato le loro vittime. In pratica, in passato il consenso della donna anche in Italia non serviva a nulla: non serviva né a rifiutare a una violenza sessuale né a impedire un matrimonio che avrebbe salvato dalla galera lui, ma avrebbe rinchiuso lei per tutta la vita (all’epoca non esisteva neppure la legge sul divorzio).
Vorrei vivere in un incubo di David Lynch. #betweentwoworlds
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