La pubblicità è da sempre stata lo specchio della società, e con lei si è evoluta negli stili, nel linguaggio e negli argomenti, rappresentando sempre e comunque un importante centro di raccolta dell’attenzione. Per questo, oltre alla mera funzione commerciale oggi i creativi di spot e pubblicità mirano moltissimo proprio all’impatto sociale dei contenuti da loro proposti, appoggiandosi sempre più a fatti che coinvolgono l’attualità, la cronaca e le grandi battaglie civili per creare messaggi che vadano al di là della semplice attrattiva per il target.

E non parliamo, in questo senso, solo di pubblicità progresso, ma di contenuti di vario genere, che non disdegnano comunque di interpretare questa nuova funzione di propaganda positiva.

Il caso più recente è quello di Gillette, che nell’ultimo spot, girato da Kim Gehrig, ha evidenziato in maniera molto chiara gli stereotipi che, ancora oggi, coinvolgono gli uomini. Il tutto partendo proprio da quello che è ormai il suo slogan storico, “il meglio di un uomo”.

Che, se un tempo significava proporre solo modelli di uomini bellissimi, muscolosi, virili, adesso assume tutt’altra valenza, e una nuova interpretazione decisamente meno superficiale e più profonda.

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Il marchio di Procter & Gamble (P&G), ha infatti provocatoriamente deciso di rimettere in discussione, rovesciandolo, il modello tradizionale, che proponeva un tipo di mascolinità “tossica”, caratterizzata da aggressività, zero empatia, machismo, ritenuto dannoso per gli uomini in primis, e sostituendolo con una serie di contenuti che prendono spunto da alcuni avvenimenti recenti. Ad esempio, le notizie sul #MeToo, gli episodi di bullismo e, più in generale, tutto ciò che riguarda il problema di sessismo e discriminazione: per questo, nello spot – visibile a questo link – si vedono scene di sessismo nei film, sul posto di lavoro, ma anche di violenza tra ragazzi, il cui sottofondo è una voce che si chiede se questo siano davvero il meglio di un uomo.

La risposta arriva pochi fotogrammi dopo, quando si vedono uomini che dividono i ragazzi che si stanno picchiando, o ragazzi che riprendono gli amici per dei commenti inappropriati alle ragazze.

Il messaggio è molto bello, ma evidentemente non tutti hanno apprezzato, tanto che alcuni movimenti – principalmente di uomini, è chiaro – media e, in generale, quella parte di politica molto improntata al conservatorismo l’hanno giudicata offensiva, e hanno già fatto sapere che boicotteranno Gillette.

Alcuni esempi? La rivista statunitense di estrema destra The New American, tanto per citarne una, che ha attaccato Gillette e il suo messaggio pubblicitario adducendo che quest’ultimo rifletta “molte false supposizioni”, e giustificando la posizione con frasi come “gli uomini sono il sesso più selvaggio, questo spiega il loro dinamismo”. Mentre Paul Joseph Watson, conduttore radiofonico con posizioni estremamente vicine alle destra americana, ha rilevato in Gillette la volontà di far passare “tutti gli uomini come aspiranti abusatori sessuali”.

Chiaro che il fatto che lo spot sia stato girato da una donna non possa che aver acuito il rancore e lo sdegno di questi uomini, eppure il messaggio a noi sembra chiaro e tutt’altro che equivoco o teso a dare un’immagine di mascolinità perversa o criminale: lo slogan in lingua originale recita “the best man can be”, che in italiano si tradurrebbe letteralmente come “il meglio che un uomo può essere”.

Dunque non solo il meglio di ciò che un uomo è, ma anche, e soprattutto, quello che di meglio un uomo può diventare: smettendo di fare apprezzamenti sul seno o il lato B delle colleghe al lavoro, ad esempio, o insegnando al figlio che sedare una rissa, anziché fomentarla, è un gesto degno di stima.

Dunque cosa c’è di tanto offensivo da scomodare addirittura l’intera ala conservatrice del “sesso forte”, arrivando persino al boicottaggio dell’intero brand? Davvero questi uomini sentono venir meno il loro essere tali nel momento in cui a sponsorizzare l’immagine di una lametta non è più il bel modello che, a torso nudo, si rade davanti allo specchio, davvero il problema si pone quando si prova a rendere anche nei 30 secondi di spot un’idea che – ahinoi – è assolutamente più fedele alle realtà e attuale rispetto ai tempi per quello che sono davvero oggi? Davvero questi signori sono preoccupati del fatto che mostrare un padre che separa due bambini intenti a picchiarsi possa mettere a repentaglio la virilità maschile, promossa invece pienamente da quel prototipo maschile dell’uomo – per citare un altro famosissimo spot – “che non deve chiedere mai”?

Ma soprattutto, viene da chiedersi se chi oggi critica la pubblicità ne comprenda davvero e fino in fondo lo slogan: quel “meglio che un uomo può fare”, che significa anche “che può essere”; e se realmente costui o costoro pensano che “il meglio”, per ogni uomo, sia crescere pensando di poter non rispettare le donne, di prendersi ciò che vuole con ogni mezzo, di superare gli altri pestandoli, se necessario, è lampante che il problema non riguardi più la pubblicità, chi l’ha diretta o il messaggio, ma un intero modo di vivere, di pensare e di agire.

Chiaro che se la filosofia è questa, non solo lo spot Gillette è rivoluzionario, ma rende ancora più evidente quanto, per questi signori, il “meglio” sia ancora molto, molto lontano da raggiungere.

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