"Diritti che qui sono banali in Iran li paghiamo con il sangue": la lotta di Rayhane Tabrizi - INTERVISTA

"Ci metto la faccia sui social e nelle manifestazioni, parlo liberamente e a viso scoperto: un piccolissimo contributo a confronto di chi in Iran ha messo la sua vita in strada. Chi esce in Iran non sa se la sera tornerà o non tornerà a casa.”

Dopo l’omicidio di stato di Mahsa Amini, le piazze di Teheran si sono riempite. La morte della giovane donna, torturata e percossa a morte, ha acceso la miccia di un malcontento che da tempo covava nella Repubblica Islamica. Il mondo rimane solidale e nelle varie città del globo le comunità iraniane raccontano e partecipano alla lotta. Rayhane Tabrizi, da 14 anni in Italia, racconta la lotta, la distanza e la forza che sottende a questa rivendicazione politica e sociale che lotta per un cambio democratico e non per la mera concessione di qualche diritto.

Tabrizi inizia spiegando di essersi convertita a un’altra religione, una libertà che, specifica, in Iran non avrebbe avuto :“La libertà che ognuno ha di scegliere di credere in Iran equivale alla pena di morte”. E infatti in Iran nessuno conosce il suo cambio di credo.

Tabrizi si racconta a pezzi, spiegando come la sua vita in Italia, le libertà acquisite e conquistate l’abbiano spinta a scendere in piazza: “Qui vivo e ho la libertà di parola. Quello che recentemente è successo mi ha portato al punto di decidere di non tornare nel mio Paese finché non cambia il governo. Ci metto la faccia sui social e nelle manifestazioni, parlo liberamente e a viso scoperto: un piccolissimo contributo a confronto di chi in Iran ha messo la sua vita in strada. Chi esce in Iran non sa se la sera tornerà o non tornerà a casa”.

Facendo protesta e sensibilizzazione dall’Italia corri dei rischi rispetto alla tua relazione con l’Iran?

“Sicuramente sì, diciamo che non sarà un gesto saggio tornare perché sicuramente il mio nome è già stato segnalato e so di non essere l’unica. Siamo tanti e se vedi, nelle manifestazioni metà di chi partecipa non porta la mascherina. Abbiamo già avuto infiltrati dall’ambasciata dentro ogni manifestazione, sicuramente hanno il nome di tutti noi, ma per ottenere una cosa di grande valore devi anche pagare quello che noi stiamo pagando. Non torneremo in Iran finché non cambia governo”. Tabrizi si ferma, sorride :  “Questo però fa vedere quanto è grande, quanto forti sono la nostra speranza e convinzione che questo governo cambierà.”

Pensi che cambierà in fretta?

“È questione di mesi, non durerà tanto. Tanti di noi diciamo che per Nowruz, il nostro capodanno persiano, che cade il 21 marzo, saremo in Iran e festeggeremo la libertà e la democrazia vera”.

Nelle manifestazioni, per quanto riguarda la partecipazione da parte delle persone non iraniane, vedete un buon grado di coinvolgimento?

“Devo dire la verità. Io sono rimasta stupita dal coinvolgimento delle donne in Italia, nonostante l’Iran sia un paese abbastanza sconosciuto e lontano. Quando mi presento dicendo che sono iraniana, tanti pensano che io parli arabo o che in Iran si indossi il burqa, che le donne non possano guidare e che siamo un paese molto indietro. Nonostante tutta questa ignoranza, nel senso di non conoscenza del mio paese, sono rimasta veramente stupita dalla partecipazione. E devo dire che sono grata per quello che le donne italiane stanno facendo. Tagliarsi una ciocca di capelli è un simbolo, un simbolo che parte da noi e che racconta che stiamo lottando per tutto, non solo per rimuovere l’obbligo del velo.”

Vogliamo proprio rimuovere l’oppressione, questa mancanza di libertà in qualsiasi cosa, dalla libertà di parola alla libertà di scegliere come vivere, sia per gli uomini che per le donne. Perché sì, è molto più evidente la mancanza di libertà per le donne, ma anche gli uomini in Iran non hanno la libertà. Per dire, un uomo in Iran non può uscire in pantaloncini e non può uscire con le maniche corte. Donne e uomini non possono camminare in strada insieme, una coppia non può tenersi per mano o baciarsi. Sono diritti che magari per un europeo, che nasce con una libertà del genere, sono veramente cose banali e che invece noi dobbiamo pagare con il sangue per ottenere.”

Parlando di informazione, quali sono le richieste del movimento?

“Cosa c’è dietro? Quali sono le nostre richieste? Noi non chiediamo di modificare le regole. Noi non vogliamo più questo governo. Questo è un messaggio molto chiaro. Sarebbe importante che anche gli Stati agissero, non solo i cittadini.

Cosa chiedete a livello istituzionale agli stati Europei?

“La cosa più importante in questo momento, e che, per esempio, in Germania già è stata fatta, è richiamare l’ambasciatore e chiudere l’ambasciata. Le persone che lavorano in ambasciata sono collegate al governo e questo governo per noi non è più accettabile.

In Europa stiamo cercando di capire qual è l’organizzazione che dà assistenza al governo iraniano. In America già sappiamo che il gruppo NIAC, un gruppo di colletti bianchi, sostiene la Repubblica Islamica e lavora anche nel riciclaggio di denaro. Uno dei nostri obiettivi è scoprire l’equivalente che fa lo stesso in Europa, mostrando un volto di facciata della realtà in Iran.

Infine chiediamo anche di rafforzare qualsiasi sanzione contro l’Iran e chiudere le trattative commerciali”.

Come percepite la differenza di reazione dell’Europa nei confronti della Russia, rispetto a quella nei confronti dell’Iran?

“Sicuramente c’è una differenza, ma bisogna essere un po’ realisti. Ogni governo fa il suo interesse. L’Iran è il candidato migliore per sopperire alla crisi del gas russo e questa è diventata l’arma migliore contro lo stesso popolo. L’Europa ha paura di agire per timore di non ricevere il gas. Però, non dobbiamo dimenticare che oltre il gas il governo iraniano è quasi arrivato a compiere il processo di costruzione dell’arma nucleare. Sostenere un governo criminale non è un vantaggio per l’Europa.”

Il supporto globale ti sembra quindi diverso a seconda dell’interesse?

“Bisogna anche considerare il fatto che i paesi arabi non stanno sostenendo il movimento in Iran per il semplice motivo che il movimento è un movimento femminile. Questo non vuol dire che gli uomini non stiano combattendo, anzi vinceremo insieme, ma che è partito dalle donne. Il fatto è che se le donne iraniane vincono – togliamo il se perché di sicuro vinceremo –  sarà un grande rischio per tutti i paesi arabi in cui le donne vivono sotto l’oppressione maschile e religiosa.

Darà il coraggio a tutte le donne, almeno nel mondo islamico e nel mondo arabo, di far sentire la loro voce. In questo momento siamo un movimento che sarà molto pericoloso per tanti paesi che stanno controllando le donne.”

Twitter accorcia la distanza

Prima di iniziare l’intervista, ho chiesto a Tabrizi quanto la distanza renda complicato partecipare e come riesca a gestire il carico emotivo della lontananza dalla piazza e dal paese: “Vivo su twitter” mi ha risposto. Il digitale, con tutti i suoi demoni, i tracciamenti e la propaganda, sta comunque giocando un ruolo cruciale, sia per quanto riguarda la diffusione di informazioni sia per quanto riguarda la partecipazione di chi è lontano dall’Iran. Per chi risiede nel paese, sentire il supporto e vedere che la protesta è sentita e vista e ascoltata ha un impatto fortissimo. Significa non sentirsi soli.

Vuoi aggiungere qualcos’altro?

Non so chi leggerà o ascolterà questa intervista, ma vi chiedo supporto. Ora è davvero molto facile sostenere la lotta, basta condividere le notizie, informarsi ed informare, leggere i giornali e taggare i politici. Se le alte sfere ricevono continuamente una notizia, magari capiscono che c’è bisogno di un’azione. Perché noi, persone comuni, possiamo fare tanto ma ci servono anche i governi che devono sostenere ed aiutare chi manifesta”

I governi europei devono quindi garantire una vera tutela del diritto di protesta?

“Sì, sostenere i ragazzi in Italia che protestano. La maggior parte dei partecipanti sono studenti, quindi persone che hanno ancora famiglie e una vita in Iran. Io ho costruito una vita qui, il prezzo che pago per il mio dissenso è non vedere i miei genitori. Ma chi ancora sta studiando deve fare riferimento all’ambasciata e dovrà, eventualmente, rientrare in Iran con tutti i rischi del caso. La protesta deve essere protetta anche in Europa.”

Accompagniamo Tabrizi alla protesta in Porta Venezia, nell’aria sale l’eco del farsi e poi, dove prima era silenzio, l’urlo :“Donna, vita, libertà”.

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