La giornata del 25 novembre, quella in cui si ricorda quanto la violenza nei confronti delle donne sia una piaga sociale che non si può ignorare, a tutte le latitudini e in ogni sua sfumatura, ci ha lasciato tante belle campagne di sensibilizzazione, altrettanti slogan e qualche immancabile strascico polemico, dovuto anche ad alcuni messaggi di marketing non propriamente riusciti (vedi Taffo).

Ma la verità è che, all’indomani delle celebrazioni e archiviato il momento delle belle parole, il quadro sulle violenze e sui femminicidi, anche solo relativamente al nostro Paese, è tutt’altro che roseo. E non solo perché la cronaca ci racconta ancora di 96 donne uccise nei primi dieci mesi del 2019 – 40 sicuramente per femminicidio – o di quella donna su tre che nel corso della propria vita subisce una qualche forma di violenza; a far avere la percezione di quanto ancora sia lunga la strada per arginare davvero un problema che affonda le proprie radici in un sistema culturale e sociale difficile da scardinare è proprio ciò che sta alla base di tutto: ovvero la mentalità, così fortemente influenzata da anni e anni di sistema patriarcale e maschilista da avere serie difficoltà a cambiare.

Che sia questo il vero punto di partenza per prendere in considerazione il fenomeno lo testimonia il report Istat rilasciato proprio in occasione del 25 novembre e incentrato sul peso, enorme, giocato tuttora dagli stereotipi di genere nella visione della violenza ai danni delle donne.

Per farvi capire di cosa stiamo parlando, partiamo da uno dei più elementari cliché riguardanti la divisione dei ruoli in famiglia: ancora oggi, alle soglie del 2020, per il 32,5% del campione intervistato dall’Istati – e parliamo di uomini e donne – “gli uomini sono meno adatti a occuparsi delle faccende domestiche“, mentre per il 31,5% “è l’uomo a dover provvedere alle necessità economiche della famiglia“.

Già questo dovrebbe darci l’idea di quanto sia difficile provare a proporre argomenti come il gender pay gap, ad esempio, soprattutto se pensiamo che, benché tale mentalità sia più diffusa fra le persone avanti con gli anni e meno istruite (65,7% dei 60-74enni), in generale sono molte le persone fra i 18 e i 74 anni a pensarla così – il 58,8%, con un significativo 45,3% di giovani – senza particolari differenze tra uomini e donne.

La violenza è (ancora) colpa delle donne

Fonte: web

Le cose peggiorano proprio quando si affronta il tema della violenza nei confronti delle donne. Leggiamo dal comunicato stampa Istat:

Sul tema della violenza nella coppia, il 7,4% delle persone ritiene accettabile sempre o in alcune circostanze che ‘un ragazzo schiaffeggi la sua fidanzata perché ha civettato/flirtato con un altro uomo’, il 6,2% che in una coppia ci scappi uno schiaffo ogni tanto. Rispetto al controllo, invece, sono più del doppio le persone (17,7%) che ritengono accettabile sempre o in alcune circostanze che un uomo controlli abitualmente il cellulare e/o l’attività sui social network della propria moglie/compagna.

Alla domanda “perché alcuni uomini sono violenti con le proprie compagne/mogli”, il 77,7% degli intervistati ha risposto che le donne sono considerate oggetti di proprietà (84,9% donne e 70,4% uomini); risposta che sembra soprattutto voler provare a interpretare la mentalità degli uomini violenti. A questa segue un 75,5% che risponde “perché fanno abuso di sostanze stupefacenti o di alcol” e un altro 75% per cui la violenza interpreta “il bisogno degli uomini di sentirsi superiori alla propria compagna/moglie”. La difficoltà di alcuni uomini a gestire la rabbia è indicata dal 70,6%, e a pensarlo sono soprattutto le donne.

C’è un 63,7% di popolazione che considera causa della violenza le esperienze violente vissute in famiglia nel corso dell’infanzia, mentre il 62,6% trova la causa della violenza maschile nella non accettazione dell’emancipazione femminile. Un 33,8% associa la violenza a motivi religiosi.

C’è, per fortuna, anche qualche spiraglio di luce: il 64,5% degli intervistati consiglia a una donna vittima di violenza di denunciare, il 33,2% di lasciare il partner violento, il 20,4% di rivolgersi a un centro antiviolenza (25,6% di donne contro 15,0% di uomini), il 18,2% di rivolgersi ad altri servizi o professionisti, come consultori, psicologi, avvocati. Solo il 2% suggerirebbe di chiamare il 1522 [il numero antiviolenza, ndr.].

Ma fra i dati che più fanno male e invitano a riflettere ci sono quelli che indicano chiaramente come la gran parte delle persone pensi tuttora che anche la donna abbia una certa corresponsabilità se resta vittima di uno stupro. Leggiamo ancora da Istat:

Persiste il pregiudizio che addebita alla donna la responsabilità della violenza sessuale subita. Addirittura il 39,3% della popolazione ritiene che una donna è in grado di sottrarsi a un rapporto sessuale se davvero non lo vuole. Anche la percentuale di chi pensa che le donne possano provocare la violenza sessuale con il loro modo di vestire è elevata (23,9%). Il 15,1%, inoltre, è dell’opinione che una donna che subisce violenza sessuale quando è ubriaca o sotto l’effetto di droghe sia almeno in parte responsabile.

Il 12, 7% di uomini e il 7,9% – complessivamente per il 10,3% della popolazione –  spesso le accuse di violenza sessuale sono false, mentre un 7,2% pensa che “di fronte a una proposta sessuale le donne spesso dicono no ma in realtà intendono sì“. Altro dato agghiacciante: per il 6,2% le donne serie non vengono violentate.

Anche in questo caso, il solo dato positivo è che le persone sembrano aver preso coscienza dello stupro coniugale, tanto che appena l’1,9% ritiene che non esista violenza laddove un uomo obblighi la propria moglie/compagna a un rapporto sessuale non voluto.

La suddivisione geografica

Esaminando il report Istat emerge anche una differenza di pensiero rispetto al contesto geografico in cui ci si trova: gli stereotipi più frequenti si trovano infatti nel Mezzogiorno (67,8%), soprattutto in Campania (71,6%) e Sicilia, mentre sono meno diffusi al Nord-est (52,6%), con il minimo in Friuli Venezia Giulia (49,2%).

Sardegna (15,2%) e Valle d’Aosta (17,4%) hanno i livelli più bassi di tolleranza verso la violenza, mentre Abruzzo (38,1%) e Campania (35%) i più alti.

La componente regionale ha comunque mero valore statistico; ciò che ci lascia interdetti è che, a fronte di tante campagne e di un movimento sempre più ampio e battagliero mirato proprio a porre l’accento sulla violenza di genere, ci siano ancora tante persone per cui il blame the victim è normalità; che stigmatizzano le donne per i loro comportamenti, le loro scelte di vita, persino per un abbigliamento, e che riescono, in qualche modo, a trovare una “giustificazione” a un atto aberrante e criminale, togliendogli così un po’ della sua gravità.

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