La sartoria ha offerto per anni alle donne un modo per sfuggire alle tradizionali aspettative della classe media e per rendersi indipendenti, fino a quando gli uomini non hanno preso il sopravvento anche in questo settore.

Nel diciannovesimo secolo, come anche in quelli precedenti, la creazione degli abiti era un’occupazione riservata alle sarte donne. Ora le cose sono molto cambiate e l’introduzione di appositi macchinari in grado di confezionare i vestiti ha sostituito in larga misura l’handmade.

La democratizzazione della moda è avvenuta a scapito delle donne, che vedevano nella sartoria un’opportunità senza precedenti di professionalità e indipendenza finanziaria dai loro mariti. Le donne hanno quindi perso un ruolo molto importante all’interno della società tra la metà del diciannovesimo secolo e l’inizio del ventesimo.

Secondo la storica Wendy Gamber, sarebbero stati gli uomini (provenienti in larga parte dal commercio di sartoria per uomini) a “spodestare” le donne in questo campo. Questi uomini “cercarono di ‘ridurre’ l’arte femminile della sartoria a una scienza” durante il diciannovesimo secolo, introducendo questi nuovi macchinari progettati per rendere la sartoria più semplice ed efficiente e per raggiungere un mercato più ampio.

Nonostante i risultati ottenuti con questi sistemi non fossero in alcun modo all’altezza di quelli ottenuti dal lavoro di sarte professioniste, il nuovo approccio alla sartoria fu un successo e danneggiò irreparabilmente il lavoro delle sarte. Anche quelle donne che aveva creato sistemi simili non potevano competere con la potenza industriale e di marketing degli uomini, dato che il mondo degli affari e del commercio erano perlopiù riservati a loro.

“Lo stesso sviluppo che ha preannunciato la ‘democrazia’ per il consumatore ha prodotto una perdita di lavoro per la sarta”, ha scritto Gamber, con conseguente perdita dell’autorità costruita negli anni in questo settore. Un mondo, quello dell’abbigliamento femminile, che ora è nelle mani degli uomini d’affari.

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