Si riaccende la polemica riguardante i diritti delle famiglie Arcobaleno, in merito soprattutto alla maternità surrogata e all’adozione di figli da parte di coppie omosessuali. Nelle scorse ore a Torino, una delle prime città italiane ad aver iniziato a trascrivere gli atti di nascita dei bambini riconosciuti come figli di coppie gay, sono comparsi dei manifesti che promuovono la campagna identificata con l’hashtag #stoputeroinaffitto.

Si tratta di un’iniziativa promossa dalle associazioni Pro Vita e Generazione Famiglia, che attacca duramente le famiglie formate da due persone omosessuali (e più nello specifico quelle formate da due uomini). L’idea alla base del manifesto è chiara: ci sono due uomini che spingono un carrello contenente un bambino, il quale ha un codice a barre stampato sul petto. I bambini non sono degli oggetti e non si acquistano – proprio come in questi ultimi mesi stanno facendo le famiglie Arcobaleno, è questo il sottinteso della campagna.

“Due uomini non fanno una madre” – si legge sul manifesto. Ma la sindaca di Torino, Chiara Appendino, non ci sta e replica su Twitter al messaggio lanciato da questa campagna:

“Ma due persone che si amano fanno una famiglia. Continuerò le trascrizioni e non smetterò di dare la possibilità a questo amore di realizzarsi. Un abbraccio”.

La Appendino, una delle pioniere nella registrazione delle famiglie Arcobaleno, non ha dunque intenzione di fare marcia indietro. D’altronde aveva chiaramente annunciato di voler proseguire sulla sua strada dopo le dichiarazioni del ministro Fontana, a capo del dicastero per la Famiglia e le Disabilità. Ricordiamo che il ministro aveva espresso in maniera decisa la sua intenzione sulle famiglie Arcobaleno e sulla maternità surrogata:

“L’iscrizione dei registri dello stato civile di bambini concepiti all’estero da parte di coppie dello stesso sesso facendo ricorso a pratiche vietate dal nostro ordinamento e che tali dovrebbero rimanere è in conflitto con il superiore interesse del bambino. Fino a quando io sarò ministro, gameti in vendita ed utero in affitto non esisteranno come pratica, sono reati. Difenderemo in ogni sede immaginabile il diritto del bambino di avere una mamma ed un papà”.

Ma torniamo ai manifesti contro le famiglie Arcobaleno. Le due associazioni che hanno dato vita alla campagna contro l’utero in affitto hanno annunciato che presto la loro iniziativa, partita a Torino, si diffonderà anche a Roma e a Milano, quindi hanno spiegato il significato dei manifesti:

“È una risposta decisa a tutti quei giudici e sindaci che, violando la legge e il supremo interesse del bambino, hanno disposto la trascrizione o l’iscrizione di atti di nascita di bambini come figli di ‘due madri’ o di ‘due padri'”.

In effetti, la legge italiana non consente il ricorso alla maternità surrogata per avere dei figli. A stabilirlo è l’art. 12, co. 6 della l. 40/2004, che prevede sanzioni penali per chiunque “realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità”. È un tema piuttosto delicato, soprattutto per quanto riguarda il passaggio seguente. Ovvero: non è possibile ricorrere all’utero in affitto in Italia, ma ci sono Paesi che lo permettono. Come legalizzare la situazione delle famiglie che hanno avuto un bambino da madre surrogata all’estero?

Il riconoscimento dei figli di coppie omosessuali nati in terra straniera è ancora oggi fonte di discussioni accese. La sindaca Appendino è stata una delle prime a permettere la trascrizione di questi bambini nei registri italiani, dando di fatto legittimazione alle famiglie Arcobaleno. Una legittimazione che oggi Pro Vita e Generazione Famiglia vogliono togliere loro. La comunità LGBTQ ha risposto chiaramente ai manifesti che sono comparsi nelle ultime ore, considerati omofobi soprattutto in considerazione del fatto che l’utero in affitto è una pratica utilizzata nel 90% dei casi da coppie eterosessuali. L’attivista Cathy La Torre ha commentato:

“Gli indegni manifesti di Pro Vita insozzano le nostre città con chiari connotati omofobi e mi chiedo: chi li finanzia? Hanno le autorizzazioni per le affissioni? E se sì, i comuni sanno che ne risponderanno?”.

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