La strage di Atlanta (8 morti) e l’ondata di violenza contro le persone asiatiche

La strage di Atlanta avvenuta lo scorso 16 marzo ha messo in luce la questione, mai sopita, del razzismo nei confronti delle persone asiatico-americane, che, specie nell'ultimo anno, dallo scoppio della pandemia da Covid-19, ha subìto una forte recrudescenza.

La sera del 16 marzo, un uomo armato ha attaccato tre centri per massaggi nei sobborghi di Atlanta, in Georgia. Otto persone sono state uccise, sei delle quali erano donne di origine asiatica.

Gli attacchi sono avvenuti in tre diverse sparatorie. Il primo centro colpito è stato il Youngs Asian Massage Parlor, vicino a Woodstock, dove sono morte quattro persone. Successivamente, l’uomo si è diretto alla Gold Spa, ad Atlanta, dove sono state uccise altre tre persone. Dall’altra parte della strada, è stata colpita un’altra donna alla Aromatherapy Spa.

Alle 20.30 di martedì sera, dopo tre ore di ricerca, è stato arrestato a bordo di una Hyundai nera il 21enne Robert Aaron Long, in possesso di un’arma compatibile con quella della strage. L’uomo ha negato di aver commesso un atto razzista e, secondo i media americani, avrebbe ammesso un problema di dipendenza dal sesso, dicendo che dietro alle motivazioni del gesto ci sarebbe stato l’intento di “eliminare la tentazione dei centri massaggi”.

La tragica vicenda non può però non sollevare la questione dell’ondata di violenza anti-asiatica che, soprattutto dopo lo scoppio della pandemia da Covid-19, ha visto una forte recrudescenza.

L’ondata di violenza anti-asiatica in America

Dopo lo scoppio della pandemia da Covid-19, si sono manifestati in America numerosi episodi di razzismo e violenza nei confronti degli asiatici-americani, complice anche il clima di odio e razzismo diffuso dal precedente Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. L’associazione no-profit Stop AAPI Hate (dove l’acronimo AAPI sta per Asiatici Americani delle isole del Pacifico) nel 2020 ha ricevuto più di 2800 segnalazioni, 240 delle quali erano delle aggressioni fisiche, e le violenze sono purtroppo continuate nel nuovo anno.

La questione del razzismo nei confronti delle persone asiatiche in America è sempre stata fino a ora una questione non del tutto percepita, sebbene una tendenza latente all’intento della cultura americana, offuscata da una ben più evidente forma di odio razziale nei confronti di altre minoranze, prima tra tutte quella afro-americana. A contribuire a formare nella coscienza degli americani questa percezione falsata di un fenomeno comunque presente, che, anche a causa della pandemia, ha subìto un violento aumento nell’ultimo periodo, è stato negli anni il mito della “minoranza modello”, diffuso nel 1966 dal sociologo William Petersen.

L’uomo nel suo articolo pubblicato sul New York Times, dal titolo “Success Story, Japanese-American Style”, contrappone gli asiatici-americani, di cui loda l’abitudine al duro lavoro, l’importanza accordata all’istruzione e le solide strutture familiari biparentali, alla comunità degli afroamericani. Questo stereotipo ha portato in generale negli anni la cultura bianca mainstream americana a sentirsi autorizzata ad “usare” gli asiatici-americani come modello comparativo per criticare e svergognare altri gruppi minoritari, tra cui soprattutto, appunto, gli afro-americani.

La cosa è stata poi ribadita anche recentemente, nel 2017, da Andrew Sullivan, che, sul New York Mag, così scriveva:

Oggi gli asiatici-americani sono tra i gruppi etnici più prosperi, istruiti e di successo in America. Come mai? Non può essere che abbiano mantenuto solide strutture familiari biparentali, che abbiano avuto reti sociali che si sono prese cura l’una dell’altra, che abbiano dato enorme importanza all’istruzione e al duro lavoro, e che quindi abbiano trasformato i falsi stereotipi negativi in stereotipi veri e positivi, vero? Non potrebbe essere che tutti i bianchi non sono razzisti o che il sogno americano vive ancora?

In entrambi i casi si tratta però di due modi subdoli, che hanno origine dalle stesse convinzioni, per rifiutarsi di accettare e riconoscere le responsabilità del razzismo, e dunque le proprie, quelle cioè di una cultura e civiltà che su quel razzismo è stata purtroppo fondata e da cui ancora non ha ancora davvero preso le distanze.

Il falso mito originato dalle teorie di Petersen, e le convinzioni che ne sono derivate e si sono solidificate nel tempo, ha però anche la colpa di aver offuscato la percezione di quel sentimento di razzismo nei confronti delle persone asiatiche che c’è sempre stato, sebbene, almeno fino ad ora, a livelli inferiori rispetto a quello nei confronti dei neri.

Nel 1974 lo scrittore asiatico-americano Frank Chin diceva una frase piuttosto eloquente, che ben chiarisce questo scenario: “I bianchi ci amano perché non siamo neri”.

Ma come si evince da questa frase, siamo di fronte a una situazione che è ben lontana dall’essere percepita come profonda e reale integrazione.

Lo ribadisce ai giorni nostri anche Anne Anlin Cheng, studiosa di razza comparata e autrice di La malinconia della razza, che così si esprime al riguardo nel suo articolo pubblicato sul New York Times, dal titolo Cosa rivela questa ondata di violenza anti-asiatica sull’America:

Gli asiatici-americani sono sempre considerati in una posizione di “non vittoria” tra i bianchi e i neri americani. Si pensa che siano “bianchi adiacenti”, ma ovviamente non potranno mai appartenere al club. Sono persistentemente razzializzati, eppure spesso non contano nell’equazione razziale americana.

I recenti episodi di violenza subiti dalle persone asiatiche-americane ha quindi sollevato con veemenza una questione che era solo sopita, ma non inesistente, riproponendo la questione del razzismo sistematico e culturale che la civiltà americana ha sviluppato negli anni anche nei confronti delle persone di origine asiatica.

Il fatto che la storia americana, nel suo lontano passato come in tempi recenti, abbia sperimentato e messo in atto un maggiore odio razziale nei confronti della cultura afroamericana, con le conseguenze che purtroppo vediamo ogni giorno, non deve indurre i suoi cittadini e il mondo in generale a sottostimare altre simili manifestazioni, sebbene, solo apparentemente, di minore entità e pericolo. E i fatti di questi giorni ce lo confermano, purtroppo.

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