Il mondo delle suore di clausura è un universo lontano dalla maggioranza di noi. Distanti dalla vita mondana e da tutto ciò che ne consegue, si pensa poco al loro stile di vita ascetico, senza ragionare davvero su cosa abbia portato queste donne a sceglierlo in giovane età o da più mature. Si pensa a donne rinchiuse (quasi segregate) nelle quattro mura di un monastero con la sola eco delle preghiere a far loro compagnia. Luoghi comuni che via via nel tempo hanno preso sempre più piede nella nostra società, allontanandoci invece da ciò che è la verità su questa particolare scelta di vita. Si tratta di donne comuni, come tutte le altre, le quali hanno scelto di propria iniziativa di vivere la loro vita isolate ma il contatto con la realtà e il mondo ce gli sta attorno non l’hanno di certo perso.

A raccontare una di queste particolari realtà al sito internet La donna sarda, è la comunità di suore di clausura di Oristano, in Sardegna. Una comunità antica, datata 1342, che attualmente nel 2017 accomuna dieci donne fra i 42 e i 95 anni provenienti da diversi comuni della Sardegna. La prima ad aprirsi è suor Maria Caterina, la più giovane del gruppo, che si è unita alla famiglia delle Clarisse di Oristano nel lontano 1997 e ancora oggi continua a mantenere viva la sua scelta. Sì, perché si parla di donne che vogliono farsi conoscere, ben lontano dai luoghi comuni imposti dalla società, che parlano apertamente delle loro abitudini, la loro vita nelle mura e del loro rapporto con l’esterno. La loro giornata tipica è regolata da ritmi serrati e fasce d’orario prestabilite: si comincia alle 5.15 con la sveglia mattutina e dalle 6 fino alle 9 si svolge il primo rito di preghiera, dopodiché ognuna svolge il suo ruolo nel monastero, differente in base ai vari turni. C’è chi coltiva, chi cucina: ogni monastero ha una sua autonomia che può essere simile oppure totalmente differente da un altro.

Queste suore, che indossano un saio nero raccolto in vita dal cingolo stretto con tre nodi, che rappresentano i voti di obbedienza, castità e povertà, rinunciano alle vanità del mondo, ma con il mondo mantengono aperto un canale di comunicazione.

Spiega il sito internet La donna sarda, parlando del monastero di Oristano. Comunicazione che avviene in diversi modi: quella con la famiglia, per esempio, può avvenire nel parlatoio, durante determinati orari di visita. Ma non è il solo mezzo da loro utilizzato. Con lo svilupparsi del mondo e soprattutto della tecnologia moderna, ecco che anche la comunità clericale si è modernizzata di conseguenza. Il monastero di Oristano ha infatti aperto una Pagina Facebook ufficiale che funge da agglomerato per tutte le news del monastero ma anche come “parlatoio social” per tutti coloro che vogliono condividere con loro le proprie gioie o tristezze.

Uno dei pro è rappresentato dalla curiosità della gente che non sa come viviamo. In questo modo possiamo avvicinare le persone al nostro vivere quotidiano. I contro per ora non si sono rivelati, ma non escludo che possano essere una conseguenza di questo boom mediatico, perché nel momento in cui ci si espone, tutto ciò che si dice potrebbe essere strumentalizzato.

Ha spiegato Suor Maria Caterina a La donna sarda, argomentando il perché di questo progetto social. Un modo quindi per smuovere anche la comunità cattolica a partecipare attivamente e per sfatare ogni mito legato alla vita di clausura.

Ed è grazie a queste volontà che è nato anche il progetto fotografico “La luce delle Clarisse” curato dalla macchina fotografica di Gabriele Calvisi e che mette a nudo tutte le verità della quotidianità monacale. Un progetto nato dall’esigenza di farsi conoscere partendo quindi dalla loro stessa città, la bella Oristano. A quanto detto da Suor Caterina, le vocazioni delle giovani donne moderne sono sempre meno, il perché potrebbe essere riconducibile alla frenesia della società di oggigiorno e degli smartphone che ormai sono parte integrante delle nostre giornate:

Non si ascolta il cuore e le scelte si fanno senza fermarsi a pensare, sia nel caso della vocazione in generale, che della clausura. È necessario liberarsi dall’essere sempre reperibile al cellulare, se non ti fermi, non scoprirai mai quello che vuoi.

Infine, uno degli argomenti più interessanti trattati nell’intervista è sicuramente stato quella ella vanità, qualità indiscussa di noi donne. Come può esserci quindi vanità in un luogo così sacro? Non c’è alcuna bugia dietro le parole di Suor Maria Caterina: non si deve esagerare ma la vanità delle donne resta poiché è nella stessa natura femminile.

Noi siamo suore ma siamo donne prima di tutto.

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