Task Masking: perché sul lavoro fingiamo di essere produttivi (e ci sentiamo in colpa)

Capita di ritrovarsi in un circolo vizioso nel quale non si ha una reale mole di attività che tengono impegnati, eppure di trovare sempre qualcosa da fare e arrivare a dire "non ho tempo per fare tutto". Si tratta di task masking, che oltre a essere un trend con tanto di video di suggerimenti online su come farlo, può nascondere un disagio più grande.

Il mondo del lavoro si sta evolvendo radicalmente di anno in anno, grazie alle novità tecnologiche, agli strumenti a disposizione dei lavoratori, ai cambiamenti socio-culturali e generazionali. Ma, anche in Italia, la maggior parte delle aziende non sta al passo con i cambiamenti. E mantiene la mentalità delle generazioni passate, che hanno sempre messo la quantità di lavoro all’apice delle priorità. Le persone della generazione Z sono le prime ad aver modificato il pensiero riguardante il lavoro, lo stress, il bilanciamento tra vita lavorativa e privata. Ed è infatti da loro che parte il trend del task masking, che nasconde però un disagio non indifferente.

Cos’è il task masking e perché colpisce anche chi lavora tanto

Fare task masking, dall’inglese “mascheramento delle mansioni”, significa mettere in pratica una serie di atteggiamenti che fanno sembrare di essere molto impegnati sul lavoro. Il task masking è essenzialmente l’arte di fingere produttività, di essere sempre impegnati e di fretta per portare a termine compiti, mansioni, scadenze. Lo si fa ad esempio spostandosi rapidamente da un ufficio all’altro, con fogli, faldoni o il portatile sottobraccio. Oppure facendo call e telefonate, fissando il pc con aria concentrata e le cuffie alle orecchie.

Si tratta di una pratica sempre più diffusa: secondo un sondaggio di Workhuman è addirittura il 36% dei dipendenti a fingere di essere oberato dal lavoro in sede. Ma è anche controversa e difficile da comprendere a pieno, perché nasconde diverse origini e significati. Da una parte, il task masking è visto come una ribellione delle generazioni più giovani alle consuetudini più antiquate delle aziende. Di pari passo con il quiet quitting, alla ricerca di un maggiore equilibrio tra lavoro e vita privata. L’esempio principale è l’obbligo di presenza in sede, per lavori che si potrebbero svolgere con più produttività anche da remoto.

La cultura predominante ancora oggi è quella che predilige la quantità di lavoro sopra la qualità. Mentre le nuove generazioni, anche grazie a fattori come la pandemia mondiale, mettono il proprio benessere psicofisico prima dell’iperproduttività e della carriera. Dall’altra parte infatti il task masking risulta anche come una conseguenza alla paura del burnout e al terrore del fallimento. I dipendenti sentono costantemente la pressione di dover fare e dimostrare di lavorare e produrre. A lavoro e nella vita privata, programmare tante attività, anche per finta, potrebbe nascondere un disagio interiore, la paura di non fare e non valere.

Differenze tra task masking e multitasking

Il task masking potrebbe essere confuso con il multitasking. In realtà, potrebbero essere pensati come opposti veri e propri. Il task masking, in particolare, è la finzione di star facendo multitasking, di star producendo molte cose. Se si analizzano più profondamente però potrebbero avere più somiglianze di quanto si possa pensare. Con multitasking si intende la pratica di portare a termine più attività contemporaneamente, nella vita come nel lavoro.

Per molto tempo considerata una qualità, specialmente nei dipendenti, che risultavano più produttivi se facevano più cose insieme, oggi è dimostrato come risulti più efficiente e preciso il single tasking, nonostante sia difficile sradicare una cultura e una mentalità in voga da quasi un secolo. Il task masking vuole dare l’impressione di essere costantemente impegnati o concentrati in qualcosa. L’importante è far vedere di fare, ed essere convinti di avere da fare. Che si facciano tante task contemporaneamente, o ci si concenti in maniera univoca su un compito alla volta.

Burnout, sovraccarico cognitivo e l’illusione della produttività

Come dicevamo, la cultura ancora predominante è che essere occupati sia equivalente ad avere valore. Questo capita sia sul lavoro che nella vita personale, e ne deriva l’illusione che fare tante cose, spesso superficiali, serva a risultare utili e di successo. L’illusione della produttività, come metodo per giudicare il valore professionale di un dipendente porta quest’ultimo a soffrire di senso di inadeguatezza e forte pressione, per evitare il fallimento e dimostrare di essere capace.

Si unisce a questa sensazione di illusione il sovraccarico cognitivo che nei lavori di oggi sembra portare sempre più stress nel lavoro. Troppe informazioni da elaborare tutte insieme, il multitasking come unica vera risorsa invece di prediligere la qualità delle attività. Appuntamenti, mail, riunioni e informazioni da ricordare. Tutto questo porta a pensare come inevitabile arrivare al burnout. In sostanza, ci si riempie la giornata, o si finge di fare qualcosa per sentirsi produttivi.

Questo alimenta il sovraccarico cognitivo, il cervello è sempre attivo e in cerca di stimoli, anche se finti o meno impegnativi di quello che si mostra al datore di lavoro. Il fatto di non avere reali obiettivi, ma solo mansioni per riempire le giornate porta a sentirsi inconcludenti, a esaurimento mentale e fisico, alimentando così la burnout culture. Il task masking si trasforma quindi nel mascheramento non tanto per gli altri (capi, colleghi o amici), ma per se stessi. Perché stare fermi potrebbe far emergere un malessere che si cerca di nascondere o sotterrare con la mole di attività.

Task masking: come smascherare (e gestire) le maschere del fare

Per questo motivo è necessario imparare a rendersi conto quando si sta entrando o si è già nel loop delle maschere del fare. Smascherare e gestire il task masking non è semplice, proprio perché diventa un’abitudine, un circolo vizioso che porta a burnout, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, ma da cui non si riesce facilmente ad uscire. È bene iniziare con la presa di consapevolezza mettendosi in dubbio. Prima di comprendere se effettivamente si sta facendo task masking, è necessario mettere in discussione il proprio comportamento con una serie di domande.

Infatti la tecnica migliore è domandarsi, ascoltarsi veramente ed essere onesti con se stessi nelle risposte. Le domande da porsi sono, ad esempio: “quello che sto facendo in questo momento ha davvero un’utilità/un’urgenza, o posso rimandarlo o saltarlo?”; “se smettessi di fare tante cose, di essere produttivo, cosa accadrebbe realmente?”; “il mio valore per gli altri e per me stesso dipende da quanto produco, da ciò che faccio, o da altro?”. Tutte queste sono domande che fanno iniziare un percorso di autoconsapevolezza, ma non è facile, specialmente all’inizio, dare le risposte senza un aiuto, anche di un professionista.

Dei segnali che possono far comprendere di aver bisogno di modificare il proprio comportamento perché si nasconde qualche malessere sotto la mole di attività sono:

  • difficoltà, fino all’impossibilità, a stare senza far niente. L’azione è necessaria, di qualsiasi genere;
  • sensazione di dover sempre giustificare il proprio tempo facendo qualcosa, riempiendo il tempo libero in qualche modo;
  • tendenza a stancarsi sempre a fine giornata;
  • senso di colpa se non si sta facendo nulla o non si hanno programmi per i giorni successivi,
  • sensazione di sopraffazione, di non avere tempo per fare tutto,
  • insofferenza al silenzio e alla solitudine.

Strategie per uscire dal loop del “fare per non sentire”

Il loop del task masking è pericoloso, perché può portare a conseguenze anche gravi per la salute psico-fisica. Se ci si sente sopraffatti e non si riesce a gestire il mascheramento è fondamentale chiedere aiuto, e iniziare un percorso con un professionista, che può offrire il giusto supporto riguardo ciò che si sta nascondendo. Tuttavia, è possibile attuare, quando non si sente la necessità di essere seguiti, delle strategie utili per uscire dal loop del “fare per non sentire”.

1. Consapevolezza

Come dicevamo, il primo passo è cercare di prendere consapevolezza per riconoscere se c’è qualcosa che non va, se si sta facendo task masking e perché. Scrivere su un diario le domande che abbiamo elencato prima è un buon esercizio. La scrittura aiuta a riportare fuori dalla propria mente i pensieri e i dubbi, e a trovare una lettura da un’altra prospettiva. Trascrivere le domande come “ciò che sto facendo serve davvero?”, permette di essere più onesti nel trovare una risposta.

2. Meditazione

La meditazione e altre pratiche di mindfulness sono molto utili per imparare a prendersi del tempo. Chi fa task masking non ha mai un momento libero per pensare e lasciare fluire la mente. Ma per trovare una soluzione è necessario iniziare ad ascoltare i propri pensieri e le sensazioni. Anche fare passeggiate può aiutare chi non trova sollievo nella meditazione.

3. Niente obiettivi

Non tutte le attività alimentano il task masking, esistono cose che si possono fare senza un obiettivo in particolare, senza voler dimostrare qualcosa. Va bene infatti cercare anche di oziare, ma passare da avere tutte attività programmate a non fare niente è quasi impossibile. Allora si può iniziare sostituendo le task lavorative e personali con hobby fini a se stessi.

Per raggiungere un po’ di consapevolezza che non è necessario sempre fare bene, essere produttivi, fare cose solo per ottenere un risultato, ma anche solo per il piacere di farle e trascorrere del tempo, impegnati ma senza la pressione di fruttare.

4. Confini e limiti

Quando si sta organizzando una giornata o la settimana, che sia lavorativa o di attività personali e sociali, si può attuare la strategia di darsi dei limiti. Pianificare troppe cose (attività in casa, persone da vedere, compiti lavorativi settimanali) per riempire il vuoto rischia di ritorcersi contro e portare a non riuscire a fare tutto, andare in sovraccarico.

È bene allora non superare un numero di attività programmate, imparare a dire di no a qualcosa o qualcuno, mettendo come priorità se stessi, e non ciò che si vuole dimostrare. Insomma, imporre dei confini, anche pratici e numerati, affinché risulti più facile rispettarli. Superato il numero di eventi/task pianificati, non se ne possono aggiungere, solo sostituire a seconda delle priorità.

5. Ascoltarsi e darsi valore

Infine, tutte queste strategie dovrebbero portare all’aspetto più importante, ovvero imparare ad ascoltare se stessi. Capire davvero ciò che si prova quando si fa task masking, intuire cosa si cela dietro il desiderio di riempire le giornate. E soprattutto, è necessario cercare di volersi bene e restituirsi il proprio valore personale.

Il valore di una persona non sta in quanto produce, quante cose fa, ma nell’essere, nel vivere il quotidiano e impegnarsi in ciò che fa. Ci hanno insegnato per secoli che il valore si dimostra facendo tanto e bene. In realtà i valori personali sono altri, sono le intenzioni con cui si fa un lavoro o si organizza un incontro.

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