Ci ha fatte riflettere il post pubblicato da Selvaggia Lucarelli alcuni giorni fa. Selvaggia, prendendo spunto dalla vicenda accaduta a Tiziana Cantone – morta suicida a soli 31 anni – ha condiviso un video molto toccante.
Abbiamo già espresso la nostra condanna più ferma in riferimento a ciò che ha subito Tiziana, ma vorremmo approfondire una questione che ha una relazione molto stretta con le dinamiche che l’hanno indotta al suicidio. Modalità ed esiti sono simili e scegliere di raccontare il cyberbullismo, è parlare di un inferno che alcuni ragazzi vivono ogni giorno e che distrugge l’esistenza di troppi.
La vicenda arriva dal Belgio e ha visto coinvolta la sedicenne Louise, morta suicida il 3 Settembre 2014 . Quello che ha dovuto subire lo ha raccontato il suo papà, costruendo un sito web – in collaborazione l’organizzazione Voo, impegnata nella sensibilizzazione contro la cyber violenza – sulla base dei messaggi che riceveva la figlia. L’intento? Mostrare al mondo intero quali siano gli esiti insanabili di dinamiche persecutorie.

Ogni episodio di suicidio o tentato suicidio dimostra che l’aspetto più difficile da affrontare da parte delle vittime, consiste nella riluttanza riscontrata da parte degli interlocutori ai quali si rivolgono quando chiedono aiuto. È difficile farsi credere quando si accenna a ciò che avviene via messaggio o via commenti, perché il suggerimento di ignorare ciò che si riceve non serve quasi mai a sottrarre dalla sofferenza le vittime.

Il sito interattivo in memoria di Louise parte dal desiderio di diffondere cosa realmente significhi essere vittime del cyberbullismo e quanto possa compromettere l’emotività, il dover vivere tra minacce e messaggi pieni di odio, offese e derisioni. Non è semplice leggere i messaggi sui palloncini, l’interattività del sito rende difficoltosa una consultazione veloce.
Ci sono stati alcuni casi di suicidio in Belgio a seguito di accanimenti dovuti a episodi di cyberbullismo, ma non era possibile contattare individualmente i genitori delle vittime e chiedere loro di prendere parte al progetto. Una scelta del genere avrebbe comportato nuovo dolore, e il nostro obiettivo è quello di sensibilizzare, ma nell’assoluto rispetto del dramma di ogni famiglia
ha raccontato Ramin Afshar, uno dei promoter dell’iniziativa This was Louise’s Phone (Questo era il telefono di Louise).

Gli organizzatori della campagna di sensibilizzazione sono riusciti a mettersi in contatto con il papà di Louise, grazie alla mediazione da parte delle forze di polizia che indagano in ambiente minorile. L’uomo li ha aiutati a costruire un’installazione di palloncini, su ognuno dei quali era riportato uno dei messaggi che Louise aveva ricevuto sul suo telefono. Dall’installazione è nato il sito web, originariamente pubblicato in francese, all’interno del quale gli utenti possono toccare con mano che aspetto abbia il cyberbullismo e la sofferenza delle vittime.

Leggere i messaggi cliccando di palloncino in palloncino è un pugno allo stomaco. A stento si riesce a credere a quanta cattiveria si possa indirizzare per puro divertimento, a quanto l’accanimento possa tramutarsi in autentica violenza. Ecco alcuni dei messaggi che Louise riceveva giorno per giorno:
“Già me lo immagino, Louise si è ammazzata, sai che figo?”
“Sei stupida, impiccati”
“Ucciditi, muori”
“Ritardata”
“Non auguro la morte a nessuno, ma con te faccio un’eccezione”
“Cambia tutto di te perché fai schifo”
“Almeno se muori qualcuno ti comprerà dei fiori”
Il cyberbullismo crea delle ferite invisibili, eppure mutilanti, e non è di alcun aiuto suggerire alle vittime di spegnere telefono e computer per mettere un freno alla degenerazione persecutoria, fatta di centinaia di commenti che bombardano fino a compromettere irrimediabilmente gli equilibri emotivi.

Per mia figlia è troppo tardi, ma insieme possiamo impedire che queste tragedie avvengano.
Il fenomeno bullismo non ha una natura esclusivamente virtuale, è diffuso negli ambienti scolastici, in quelli sportivi e in tutte quelle occasioni di aggregazione che dovrebbero essere parte integrante della crescita dei ragazzi. Dove non c’è supervisione chi è un bullo ha la possibilità di rendere la propria cattiveria sempre più crudele, forte della certezza di rimanere impunito. Ma è possibile fare della prevenzione, è possibile sensibilizzare, è possibile portare nelle scuole le testimonianze di chi ce l’ha fatta a salvarsi , ma anche attraverso il ricordo e la condivisione di storie come quella di Louise che, siamo certe, saprà toccare le coscienze di molti.
Articolo originale pubblicato il 28 settembre 2016
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