Margherita è morta, ma da donna sposata alla donna della sua vita

Margherita aveva 53 anni, un tumore all'ultimo stadio e un sogno: sposare la donna che era sua compagna di vita da 25 anni. Margherita se n'è andata, e non vedrà la celebrazione della prima unione civile a Milano, ma il suo desiderio si è realizzato.

“Voglio sapere che lei, quando io non ci sarò più, sarà al sicuro. Che potrà avere la mia pensione e la mia reversibilità: non stiamo chiedendo la luna”

Se n’è andata Margherita, l’insegnante affetta da un tumore giunto ormai all’ultimo stadio, che nel luglio scorso ha lanciato un appello al premier Matteo Renzi affinché velocizzasse il processo di attuazione della legge Cirinnà, quella, per intenderci, sul riconoscimento delle unioni civili anche per le coppie omosessuali.

Voleva sposare la sua compagna di una vita prima che quella ingiusta malattia la portasse via, che il cancro la uccidesse senza che avesse il tempo di poter fare qualcosa per tutelare la donna che per 25 anni le è stata accanto, sempre.

Margherita raccontava nelle pagine di Repubblica del loro primo incontro, di com’era nato quell’amore tra lei, donna sposata di 28 anni, e quella collega maestra che l’aveva colpita e disorientata sin dalla prima volta in cui l’aveva vista; di tutte le difficoltà del loro percorso insieme, dell’accettazione non immediata della sua famiglia, dei loro viaggi alle Maldive, nello Sri Lanka, in Turchia. Dettagli di un amore normale, di una vita familiare qualunque, racconti di quotidianità di cui ancora oggi molti si sorprendono o si scandalizzano, o che pensano riservata esclusivamente a coppie di sesso diverso.

Da quando la malattia si è presentata, nel 2003, Margherita si è sottoposta a tre cicli di chemio, ma il tumore non ne ha proprio voluto saperne di mollarla e, a distanza di dieci anni, ha fatto la sua ricomparsa; la sua compagna non ha mai potuto godere della legge 104, dato che, per lo Stato italiano, lei e Margherita come coppia non esistono. Poi l’approvazione della tanto sospirata legge Cirinnà, l’esultanza… ma non bisogna cantare vittoria troppo presto, dal Ministero degli Interni non giungono i decreti necessari per sbloccarla, e tutto rimane fermo.

Così Margherita rivolge un accorato appello al premier, chiedendogli di fare di tutto per sveltire i tempi e dare a lei e alla sua compagna, ma anche a moltissime altre coppie omosessuali, l’opportunità di potersi sposare nel proprio paese, senza il bisogno di andare all’estero, di diventare una famiglia riconosciuta agli occhi della legge e perciò da essa tutelata sotto ogni punto di vista. Lo fa per proteggere la sua partner, per non lasciarla sola anche dopo che lei non ci sarà più, trattata come un’estranea anche se per 25 anni hanno vissuto, da famiglia, sotto lo stesso tetto.

Milano celebrerà la sua prima unione civile ma Margherita non la vedrà, perché non ce l’ha fatta. Si è spenta il 1° agosto nella clinica Casa Vidas dove era ricoverata dal 10 luglio. Ma si è spenta da donna sposata.

Ecco come è andata.

Salvo cavilli legislativi (che ci auguriamo non ci saranno) verrà ufficialmente trascritta, una volta approvati tutti i decreti del caso, l’unione tra lei e la sua compagna, celebrata il 27 luglio proprio a Casa Vidas. Una vittoria per lei, “una vittoria corale“, come ha sottolineato la partner dopo la verbalizzazione dell’unione, ottenuta grazie all’impegno della clinica, alla sensibilità del Comune ma soprattutto alla tenacia di Margherita, alla sua caparbietà, alla volontà di ferro che l’ha spinta a lottare fino al suo ultimo giorno per difendere il suo amore, la cosa più preziosa della sua vita.

Il 27 luglio a Casa Vidas è suonata la marcia nuziale, c’è stato lo scambio degli anelli fra la commozione generale degli invitati, c’è stato il tempo per la gioia ed i sorrisi. E, mentre ancora si discute tanto sulla cosiddetta questione gender, tra pregiudizi latenti e convinzioni infondate, e tanto ci sarà da lavorare affinché si giunga ad una vera equiparazione di diritti tra le coppie etero e quelle omosessuali, quello di Margherita resta senza dubbio l’esempio di una vera storia d’amore e di devozione, che, come tutte le altre, merita rispetto.

Margherita si è arresa alla malattia, ma non alla burocrazia né ai preconcetti, e lo ha fatto solo dopo aver realizzato il suo sogno: quello di essere una sposa.

Nella speranza di non dover più, un giorno, parlare dei matrimoni fra persone dello stesso sesso come di un evento “eccezionale” o fuori dal comune, ma solo come dell’unione tra persone che si amano, noi ammiriamo infinitamente il coraggio di Margherita e della compagna, che hanno dimostrato come per amore si sia sempre disposti a lottare, fino alla fine.

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