Durante la trasmissione di Rai 1, Da noi a ruota libera, lo scorso 29 marzo, l’attrice Valeria Fabrizi ha risposto con una frase razzista alla presentatrice Francesca Fialdini che aveva definito “bellissima” una vecchia immagine, mostrata sul grande schermo in studio, che ritraeva Fabrizi giovane, insieme al marito. Questa la frase della protagonista di Che Dio ci aiuti:

Bellissima no. Sembro una neg*a, una ragazza di colore. Non mi riconosco.

Alla quale, Fialdini cerca di rimediare con il seguente: “Voglio dire, a parte il fatto che sarebbe una bellissima versione di te”.

La vicenda, come ovvio, ha scatenato parecchie polemiche. Vedere ancora una volta il riferimento alla pelle nera assumere una valenza negativa è francamente svilente e inaccettabile in una società civile. In questo caso siamo certamente di fronte a una forma di razzismo non consapevole, ma per questo non meno grave, e che proprio per questo non viene spesso riconosciuto come razzismo vero e proprio o viene declassato a semplice scivolone, gaffe, indelicatezza. Ed è proprio questo il fatto grave: non riconoscere la gravità della parola, non certe delle intenzioni dell’attrice, che dal suo profilo si è poi scusata.

Lo sottolinea bene l’attivista e politico Jacopo Melio dal suo profilo Instagram, da cui posta anche la scena:

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La cosa che più mi ha infastidito, al di là della frase, sono stati i titoli dei giornali che hanno definito quello della Fabrizi “una gaffe”, “uno scivolone”, “una leggerezza”. Ora: nessuno vuole mettere “Suor Costanza” alla gogna, sia chiaro, ma sminuire ancora una volta l’espressione del razzismo solo perché apparentemente inconsapevole, significa non affrontare il problema in modo efficace. Le parole sono importanti. Possiamo cambiare la cultura solo se abbiamo il coraggio di condannare certe “gaffe”, “scivoloni” e “leggerezze”, iniziando a chiamarle con il loro nome anche quando, appunto, si tratta di situazioni in cui sembra non esserci una reale volontà a denigrare, eppure si applicano comunque stereotipi, pregiudizi e luoghi comuni dannosi. Poi, dopo, possiamo di certo perdonare e anzi già lo abbiamo fatto, ne sono certo. Ma almeno che faccia bene alla causa e porti tutti quanti a crescere, sviluppando maggiore consapevolezza, perché la pezza del “non fa parte di me” non è mai la soluzione. Il razzismo e l’intolleranza passano anche da qui, tra una battuta e l’altra. Sono dentro di noi anche senza volerlo. Stiamoci attenti.

Ed è proprio questo che non riusciamo e non vogliamo accettare: che i media e i giornali ancora non siano in grado di denunciarlo per quello che è, ossia una forma di razzismo, e che con l’uso del linguaggio, scorretto e a sproposito, contribuiscano loro stessi a diffondere la falsa idea che siamo di fronte a un fatto quasi normale. In definitiva, che un pensiero razzista, offensivo e discriminatorio – sebbene involontario e senza malignità – sia associabile a una svista.

La stessa reazione della presentatrice, che, senza dubbio spiazzata dalla frase, ha cercato di rimediare come poteva – e forse dalla delicatezza e sensibilità di Fialdini qualcosa di più ci aspettavamo – ci dice che purtroppo ancora oggi, nella nostra cultura, siamo quasi del tutto impreparati a riconoscere e a parlare di razzismo, che continua a essere un tabù. E lo è, purtroppo, anche chi con le parole ci lavora e svolge il ruolo di giornalista che veicola contenuti e messaggi e contribuisce a fare cultura.

Dal suo profilo Twitter anche Oiza Q. Obasuyi, scrittrice e attivista dei diritti umani, dice la sua, sottolineando la questione dello “scivolone”:

Questa scena su Rai 1. Razzismo in diretta, così, en passant. Su “A ruota libera”. La beffa in tutto ciò è che questo schifo finisce nelle pagine di “meme trash”. Viene chiamato “scivolone”. No è il razzismo italiano sbattuto in TV.

Come accennato, la risposta di Valeria Fabrizi con le scuse è arrivata quasi immediata dal suo profilo Instagram:

Sono molto addolorata. Il colore della pelle per me è indifferente e chi mi conosce sa che scelgo le persone per il loro cuore. È stato uno scivolone involontario che non fa parte della mia anima . Un’espressione infelice che non si deve ripetere . Mi scuso con tutti, vi abbraccio sempre con affetto.

Una risposta che però non trova la piena approvazione dell’attivista e scrittrice italiana Espérance Hakuzwimana Ripanti, che così controbatte tramite le sue stories del profilo Instagram, parlando della sua esperienza personale di ragazza nera in Italia:

Se fosse stato davvero indifferente come dice lei, signora @valeria_fabrizi_officialpage, il colore della mia pelle non sarebbe il motivo per cui alla mensa delle elementari non volevano mangiare al tavolo con me, mi urlavano parolacce dalle auto in corsa, mi offendevano come ultimo baluardo di forza e arroganza, credono che io sia un prostituta da quando ho 10 anni, non mi danno una casa o un lavoro, mi sputano addosso in treno o, guardi un po’, mi chiamano neg*a.

E poi aggiunge:

Dire che non vede i colori vuol dire che non vede me. E io trasparente in questo mondo non voglio essere. Ci ho scritto un libro su questa cosa. Si chiama E POI BASTA perché speravo di non doverle ripetere mai più queste cose. Eppure.
Delle scuse su Instagram (come dei quadratini neri di 10 mesi fa) non me ne faccio niente. Non mi ridanno la dignità che le persone come lei mi tolgono a forza di “scivoloni volontari”. Mi spiace @valeria_fabrizi_officialpage ma l’unica cosa infelice qui è l’incapacità sua e di chi non riconosce la gravità di questo fatto. E anche chi non ne parla con i toni adeguati.
E non, non mi vanno bene queste “scuse”, non mi va mai bene niente se il niente è tutto ciò che mi date per poter aspirare a una vita decente.

Le fa eco anche Bellamy Okot, attivista e fondatrice del sito afroitaliansouls.it, che dalle stories del suo profilo Instagram darkchocolatecreature, così si esprime:

Un paese in cui la parola razzismo è tabù, anche quando il razzismo ti viene sbattuto in faccia letteralmente. Un paese in cui punire il razzismo è estremamente complicato (se ti va bene è un’aggravante) perché non ci sono abbastanza leggi per questi tipi di reati, e quelle che ci sono, si ha difficoltà ad applicarle.

Okot, insieme all’attivista e scrittrice femminista Irene Facheris, ha infatti affrontato la questione del razzismo nei media nelle due puntate del podcast Razzismo made in Italy. E così conclude affrontando un discorso ben più ampio sul tema:

La frase uscita ieri si commenta da sola e purtroppo non mi stupisce che quella donna la pensi così. Se ci sono ragazze nere italiane che crescono desiderando di essere bianche, facendo di tutto per avvicinarsi il più possibile ai canoni caucasici, con metodi più o meno pericolosi, è perché in questo paese il concetto di bellezza è sempre stato incompatibile con la pelle nera, i capelli afro, lineamenti e corporatura tipicamente associati alla fisicità delle donne afrodiscendenti. Per questo abbiamo dedicato una puntata ai canoni di bellezza. La decolonizzazione deve avvenire anche lì.

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