Charlie Hebdo è noto per usare una satira decisamente spinta, che talvolta rasenta il limite della malignità.

Negli anni, il giornale satirico francese non ha risparmiato dalle sue vignette caustiche nessun genere di argomento, dagli attentati terroristici fino alle grandi tragedie del terremoto di Amatrice o del ponte Morandi; neppure quando al centro del mirino è finita proprio la sua redazione, devastata dall’attentato del 7 gennaio 2015, nel quale hanno perso la vita dodici persone.

Talvolta il black humour è stato usato per esorcizzare dolori e paure di una nazione intera sconquassata dal terrorismo, altre volte – come appunto nei casi del sisma nel Centro Italia o del dramma del ponte di Genova – è stato giudicato solo un esempio di cattivo gusto.

Il fatto è che lo stile del giornale, piaccia o no, è proprio questo, e non ci si può aspettare niente di diverso. Perciò, non è sorprendente che nella nuova copertina si parli del Mondiale di calcio femminile, che si gioca proprio in Francia.

Nel numero uscito il 12 giugno, infatti, campeggia il disegno dell’illustratore Biche, che ha voluto rappresentare un pallone da calcio incastrato in una vagina, come se ne fosse il clitoride, in un disegno che ricorda molto L’origine del mondo di Gustave Courbet.

Ad accompagnare il tutto, la didascalia “On va en bouffer pendant un mois!“, che è traducibile come “Ci abbufferemo per un mese intero”, ma che prende anche il là da un gioco di parole tipico della lingua francese.

Nel gergo informale, infatti, il termine “bouffer” è usato nell’espressione “bouffer la chatte“, con cui ci si riferisce al cunnilingus. Il doppio senso, insomma, è piuttosto esplicito, e non necessita di ulteriori spiegazioni.

L’ennesima copertina discutibile di Charlie Hebdo è finita, naturalmente, nell’occhio del ciclone, con molti che, in Francia, ne hanno chiesto la sospensione per l’estrema misoginia che esprime. Altri, come il giornalista Cristophe Beaugrand, l’hanno invece giustificata ricordando l’ormai nota avversione del giornale verso lo sport.

Avversione che, però – chissà perché – la redazione non ha sentito l’esigenza di manifestare in occasione della vittoria francese ai Mondiali di Russia 2018, ad esempio, o, andando a ritroso nel tempo, sul Mondiale del 1998 che si è giocato proprio in Francia.

Eppure, la metafora era servita su un piatto d’argento: un paio di palloni a rappresentare i testicoli maschili, perché no?

Nessuno, però, ci ha pensato. Mentre per il Mondiale femminile la mente è volata subito a clitoridi e vagine. Insomma, se satira deve essere, perché non può essere fatta con par condicio e libera da sessismi vari?

E le atlete impegnate nella competizione come hanno preso questa beffarda immagine? C’è chi, come l’ex calciatrice francese Laure Boulleau, non l’ha trovata divertente, ma crede che “potrebbe far ridere altri. È così che libertà di espressione continua ad avanzare”, dimostrando quindi un approccio davvero politically correct, e chi, come la centrocampista USA Samantha Mewis, spera di poter smentire gli scettici e i polemici con il gioco.

Del resto, sul Mondiale femminile sono state spese molte parole, forse persino troppe, da parte di chi ne denigra il gioco, la tecnica e la tattica, basandosi spesso solo sul fatto che a parteciparvi siano le donne. La contrapposizione di ruoli e generi è evidentemente ancora troppo forti per alcuni, per accettare che anche il “sesso debole” abbia talento e capacità per tirare calci al pallone.

Se poi a questo si aggiunge che, in Italia, qualcuno alla componente sessista ha voluto aggiungere quella razzista, rivolgendo commenti decisamente inopportuni al capitano, Sara Gama, “colpevole” solo di avere un padre congolese (e a chi importa se è nata e vive in Italia da tutta la vita) che le ha regalato una pelle mulatta, si comprende benissimo che Charlie Hebdo, a conti fatti, non è altro che lo specchio di una realtà in cui, evidentemente, basta una donna che gioca a calcio per mettere in discussione la virilità di un uomo, o una tonalità appena diversa di pelle per legittimare qualcuno a sentirsi “più italiano” di altri.

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