L'aborto non è (ancora) un diritto per tutte: perché è necessario aggiornare la 194

La legge 194 ha da poco compiuto 43 anni, ma molti aspetti legati all'aborto sono tuttora in discussione; per questo, c'è bisogno di aggiornare alcuni punti della normativa così com'è ora. Lo propongono le associazioni Amica e Luca Coscioni assieme all'onorevole Quartapelle.

La legge 194 ha da poco compiuto i suoi 43 anni di esistenza, ma a distanza di tempo sono ancora molte le problematiche legate alla sua applicazione, in primis per le ingerenze dei movimenti Pro Life e ultracattolici che ne chiedono a gran voce la soppressione, sull’onda anche di quanto recentemente accaduto, ad esempio, in Polonia, dove il diritto all’Ivg è stato praticamente eliminato.

Al di là delle spinte più estremiste che vorrebbero cancellare del tutto la 194, però, ci sono aspetti critici anche all’interno della legge stessa, così per come è stata scritta; aspetti che, allo stato attuale delle cose, non garantiscono ancora l’accesso all’aborto per tutte le donne, come spiegato nel corso di una conferenza stampa alla Camera dalle associazioni Amica – Medici Italiani Contraccezione e Aborto e Luca Coscioni, insieme alla deputata del Partito democratico, Lia Quartapelle.

La proposta è quella di un aggiornamento della legge, in particolare di alcuni suoi punti, come gli articoli 6 e 7, che afferiscono alle interruzioni di gravidanza per grave patologia fetale dopo la ventiduesima settimana; in particolare, l’articolo 6 riguarda i casi di aborto dopo i 90 giorni nei casi in cui:

  • la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna.
  • siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.

“La situazione è di una non-applicazione in larghe parti del nostro Paese, che porta quindi a differenze enormi, c’è un’applicazione praticamente a macchia di leopardo – spiega al Fatto Quotidiano Anna Pompili, presidente di Amica – Dall’altra ci sono difficoltà e ci sono problemi, oserei dire ingiustizie gravi, che sono generate invece dal dettato stesso della legge. Penso all’ingiustizia più grave che costringe le donne ad emigrare all’estero laddove venga fatta una diagnosi tardiva di grave patologia fetale”.

Lia Quartapelle la definisce invece una “buona legge”, ma che “sconta un po’ lo spirito dei tempi in cui fu approvata e il fatto che nel frattempo, sia dal punto di vista scientifico che dal punto di vista sociologico sono cambiate tante cose nella nostra società, e quindi un aggiornamento, che non vuol dire una modifica complessiva dell’impianto, ma un aggiornamento nei termini di legge, è auspicabile”.

Fra le proposte emerse nella conferenza anche modifiche all’articolo 5, che prevede un periodo di riflessione, fissato per legge a sette giorni, e all’articolo 9, che regola l’obiezione di coscienza e che, secondo Quartapelle, è la ragione che rende particolarmente difficile l’applicazione della 194 nel nostro Paese. L’eccezione principale al diritto di obiezione di coscienza, infatti, specificato nel comma 5 dell’articolo, è esclusivamente quello in cui l’aborto sia “indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo”.

Chiude Mirella Parachini, vicesegretaria dell’Associazione Luca Coscioni: “Non dimentichiamo che accanto all’aspetto ideologico che permea sicuramente la legge 194, esiste un aspetto squisitamente sanitario e io credo che sia ora di riportare la tematica dell’aborto nella sua casella di riferimento che è quella di un intervento medico, di tipo sanitario”.

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!