Il nostro articolo sul post pubblicato da Carolina Marconi in cui spiegava di essere risultata “non idonea per l’adozione” ha scatenato diverse polemiche, e una serie di commenti e di messaggi arrivatici in redazione hanno tenuto a sottolineare l’inesattezza delle parole della donna, spiegando come alle persone malate di cancro la possibilità di adottare non sia preclusa, ma solo subordinata a un lasso di tempo che deve necessariamente passare.

Abbiamo quindi deciso di fare chiarezza sul tema, sicuramente complesso e delicato, avvalendoci anche del parere di una persona appartenente alla “comunità adottante”.

Prima di tutto occorre precisare che in questo articolo faremo riferimento al solo contesto delle adozioni nazionali, perché l’iter delle adozioni internazionali è ovviamente sottoposto alla normativa vigente dei vari Paesi, e alcuni Paesi non concedono in assoluto l’adozione agli ex pazienti oncologici (come la Russia, ad esempio). Detto ciò, è vero che, in generale, un’aspirante adottante che abbia avuto un cancro – in questo caso parliamo di tumore mammario – e abbia seguito una terapia oncologica deve aspettare 5 anni per poter effettivamente adottare, perché questo è il periodo giudicato “limite”, dopo la quale la persona può considerarsi guarita.

Sappiamo tuttavia che questo riferimento temporale è assai labile, perché alcuni carcinomi mammari possono ripresentarsi anche dopo la boa dei 5 anni, e fare con assoluta esattezza una diagnosi probabilistica di sopravvivenza è quindi tutt’altro che facile, come abbiamo spiegato anche in questo articolo.

Va inoltre detto che il limite dei 5 anni è, di fatto, stato scelto in maniera giurisprudenziale, perché la legislazione italiana presenta un enorme vuoto normativo su questo tema.

La legge n. 184/83, che regola appunto l’adozione nazionale, stabilisce infatti, tra i criteri necessari a fare richiesta di adozione, quello di essere

coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni, o per un numero inferiore di anni se i coniugi abbiano convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per un periodo di tre anni, e ciò sia accertato dal Tribunale per i minorenni.
Tra i coniugi non deve sussistere e non deve avere avuto luogo negli ultimi tre anni separazione personale neppure di fatto.
L’età degli adottanti deve superare di almeno diciotto e di non più di quarantacinque anni l’età dell’adottando, con la possibilità di deroga in caso di danno grave per il minore.
Non è preclusa l’adozione quando il limite massimo di età degli adottanti sia superato da uno solo di essi in misura non superiore a dieci anni.

Specifica inoltre che

Il tribunale per i minorenni dispone l’esecuzione di indagini volte ad accertare la capacità di educare il minore, la situazione personale ed economica, la salute, l’ambiente familiare dei richiedenti, i motivi della domanda. Tali indagini possono essere effettuate ricorrendo ai servizi socio-assistenziali degli enti locali, alle competenti professionalità delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere.

Pur parlando di accertamenti anche rispetto al profilo della salute, nella legge non vi è alcuna specifica che riguardi i malati oncologici, né un limite temporale posto prima che questi possano fare domanda di adozione (che ha una validità di tre anni, trascorsi i quali deve essere ripresentata).

Il termine dei 5 anni, quindi, è più che altro una conditio sine qua non imposta dalla stessa comunità adottante e generalmente dai giudici che valutano le domande; a fare giurisprudenza, in questo senso, fu il caso di una donna di nome Bianca colpita da carcinoma mammario nel 2011, che con il marito si vide respingere la domanda di adozione dal Tribunale dei Minori di Torino nel 2014, perché non erano ancora trascorsi 5 anni dalla sua malattia.

È chiaro che, volendo porre un limite temporale, l’intento sia soprattutto quello di tutelare il diritto del minore, già abbandonato, evitando di esporlo a un ulteriore, eventuale abbandono del genitore adottante in caso di sua morte per tumore; è vero anche che un tumore, purtroppo, può essere diagnosticato dopo il completamento dell’iter di adozione, ma in generale l’orientamento scelto dai giudici sembra volto proprio a garantire maggiori tutele in questo senso all’adottato.

Non tuti, però, sono d’accordo con l’imposizione dei limite dei 5 anni; così Elisabetta Iannelli, avvocato e segretario Favo (Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia):

Di solito i tribunali fanno valutazioni puntuali sui casi concreti basandosi sulle perizie dei consulenti medici. Il problema sorge quando, prima di iniziare l’iter per l’accertamento dell’idoneità all’adozione, viene sconsigliato agli aspiranti genitori adottivi di presentare la domanda al tribunale se non sono ancora trascorsi cinque anni. Da cosa non si capisce: dalla prima diagnosi? Dall’ultima recidiva? Non si sa, perché non c’è una linea guida che lo dica.

Questo termine, in realtà, ha un valore soprattutto statistico: serve, per esempio, per valutare i progressi della medicina e a dare un’idea di quanto, in media, sia aggressiva una neoplasia. Ma l’utilizzo di questo parametro (non previsto da alcuna norma) in modo astratto e generico rischia di tramutarsi in arbitrio e discriminazione, mentre la valutazione dello stato di salute deve essere fatta sul caso concreto tenendo conto di una molteplicità di fattori che sono molto diversi da tumore e tumore, da persona a persona.

La cosa fondamentale sarebbe quindi colmare la lacuna normativa con una legge ad hoc che stabilisca, una volta per tutte, dei criteri universali che riguardino l’adozione nazionale. Per questo, qualche giorno fa la senatrice Boldrini ha raccolto l’invito lanciato da Aiom anche attraverso la sua petizione sul diritto all’oblio del malato oncologico, presentando in Senato un Ddl per garantire ” ai malati oncologici, una volta guariti, il diritto all’oblio, cioè il diritto ad accedere al lavoro, a un mutuo o a un prestito, a stipulare un’assicurazione e anche a ad adottare un bambino”.

Il Ddl porrebbe come condizione imprescindibile che il paziente oncologico venga considerato guarito “a 10 anni dall’ultima terapia in assenza di recidive” (5 nel caso di under 18); così facendo il limite temporale ora previsto in via giurisprudenziale si allungherebbe, ma sarebbe effettivamente “fissato” da una legge.

In questo caso, però, sopraggiungerebbe un altro tipo di riflessione, ovvero quella sull’effettiva volontà di tutelare anche il diritto alla genitorialità della persona guarita dal tumore, visto che 10 anni di attesa, dal punto di vista anagrafico, possono rivelarsi davvero molti per alcune persone, soprattutto alla luce dei già citati criteri previsti per legge che non concedono adozioni nei casi in cui si superino i 45 anni di differenza d’età tra l’adottato e l’adottante.

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