Parliamo anche della comunità LGBTQ+ dell’Afghanistan: è in pericolo

Con il precipitare della situazione afghana anche i membri della comunità LGBTQ+ temono per la propria vita: benché nessun omosessuale sia più stato condannato a morte dal 2001, con il ritorno al potere dei talebani le cose potrebbero cambiare.

Quello che è successo in Afghanistan nell’ultimo mese ha ovviamente scosso le coscienze occidentali, che subito si sono attivate per fornire aiuto concreto alle donne, le cui libertà conquistate negli anni dopo la caduta del regime talebano del 2001 sono ora di nuovo messe in discussione (nonostante le promesse del portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid, dopo la presa di Kabul del 15 agosto, che ha assicurato l’accesso all’istruzione e nessun burqa per la popolazione femminile afghana). Le immagini strazianti delle madri che affidavano i propri figli ai militari britannici, per assicurare loro un futuro lontano dai pericoli, passandoli attraverso il filo spinato tra le braccia dei soldati hanno fatto il giro del mondo aprendo uno squarcio, una ferita terribile anche in quella parte di mondo geograficamente lontana da Kabul e da tutto ciò che sta accadendo nel Paese.

Ma la situazione, in Afghanistan, è drammatica anche per gli uomini non talebani, e per la comunità LGBTQ+, i cui membri temono ovviamente per la loro vita, adesso.

La situazione degli omosessuali prima dell’ascesa al potere dei talebani

Nel Paese, in cui è applicata la legge islamica, omosessualità e travestitismo non sono più state considerati reati punibili con la pena di morte proprio dopo la caduta del primo regime talebano, nel 2001, nonostante in alcune zone rurali rimaste sotto il controllo del regime fondamentalista islamico gli omosessuali possano essere condannati a morte, in virtù della legge che permette ai capi villaggio di decidere della vita o della morte dei loro abitanti; in generale, ovviamente, l’omosessualità è considerata indegna ed è perlopiù collegata a prostituzione e pedofilia, ma fino a questo momento, almeno, i gay afghani non correvano il rischio di essere giustiziati per il proprio orientamento sessuale.

Le cose, tuttavia, potrebbero volgere in peggio con il nuovo regime talebano, soprattutto alla luce delle affermazioni del giudice Gul Rahim, che ha detto di ritenere giusto condannare gli omosessuali a morte per lapidazione o schiacciandoli sotto un muro di tre metri. Per questo, oggi i membri della comunità LGBTQ+ afghana temono per la propria vita, e scelgono di rimanere nell’ombra, come alcuni di loro hanno raccontato all’Insider.

“Se ci scoprono, ci uccideranno”

“Non è esagerato dire che i gay verranno eliminati e sterminati dai talebani, proprio come hanno fatto i nazisti – ha dichiarato Nemat Sadat, il primo personaggio pubblico in Afghanistan a difendere i diritti LGBTQ+, che ha lasciato il Paese nel 2013 per le minacce di morte ricevute proprio per la sua esposizione sul tema dei diritti degli omosessuali – La gente mi sta scrivendo ‘questo è il mio passaporto, ecco tutte le mie informazioni, per favore fammi uscire da questo paese, morirò'”.

Insider ha raccolto le testimonianze di alcuni appartenenti alla comunità LGBTQ+, proteggendoli con nomi fittizi al fine di tutelarne l’identità; c’è chi, come Rameen, un tempo si esibiva nei locali clandestini per drag queen e oggi vive quello che descrive come un incubo; rifiuta di incontrare il compagno con cui fa coppia da tre anni perché, dice, “Se i talebani scoprono di noi, ci condanneranno a morte”.

Come lui anche Ghulam rifiuta non solo di incontrare il partner, ma persino di lasciare la propria casa. È terribile sentire uomini, come Sayeed, ritenersi spacciati:

Mi è chiaro che non appena i talebani sapranno che sono un omosessuale, mi uccideranno senza nemmeno pensarci.

Come detto, l’omosessualità è sempre stata considerata illegale nel Paese, anche sotto il controllo americano, come riferisce Hamid Zaher, un altro che è riuscito a uscire dal Paese già nel 2001 e che, dopo aver vissuto in Turchia, ha potuto chiedere asilo in Canada nel 2008, ma nessuno ha mai comunque rischiato la morte.

Prima potevano essere messi in prigione, o picchiati. Ma ora se i talebani li arrestano, li uccideranno.

Come aiutare la comunità LGBTQ+ afghana

Rainbow Railroad, un ente di beneficenza canadese che aiuta le persone della comunità LGBTQ+ a sfuggire all’oppressione nei loro Paesi d’origine, ha esortato i governi ad accogliere i rifugiati afghani; il solo Canada, del resto, ha in programma di reinsediare più di 20.000 afghani, dando priorità proprio alle minoranze, comprese attiviste donne e persone appartenenti alla comunità LGBTQ+.

Ci sono due modi per contattarci – ha spiegato al Time Kimahli Powell, direttore esecutivo dell’associazione non profit – intervento diretto sul nostro sito web o tramite referral di partner. Le richieste che abbiamo ricevuto dall’Afghanistan sono venute principalmente da privati. Penso che quello che vedremo ora, quello che stiamo già vedendo ora, sarà un esodo di massa. E quindi, sulla scia del rapido evolversi della situazione, penso che vedremo le persone LGBTQ+ diventare potenziali bersagli, il che significa più raggio d’azione per noi.

Altre iniziative, nel frattempo, sono state prese: un gruppo di migranti queer afghani ha ideato una raccolta su Go Fund Me, per dare alle persone i fondi necessari per fuggire dal Paese ottenendo documenti legali, accesso ai viaggi e alloggio, anche se, a causa della crisi nel Paese, il sito non permette attualmente di prelevare il denaro e pone tutte le raccolte fondi web relative all’Afghanistan in fase di revisione. In generale, si può consultare questo elenco in cui compaiono tutte le associazioni che accettano donazioni per aiutare gli sfollati afghani.

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