Restiamo concentratə su Andrea Giambruno. È tempo di parlare di tutti i Giambruni.

I fuori onda di Andrea Giambruno possono essere il punto di partenza di un #MeToo del giornalismo italiano, necessario per quanto tardivo, a patto di resistere alla tentazione di puntare la loro carica di fuoco sulla donna al potere coinvolta. Anche perché, così facendo, si finirà per archiviare l'"affaire Giambruno" giusto con un po' di indignazione social, e a beneficio della retorica di "Giorgia madre, donna, italiana, cristiana", da oggi un po' più simpatica in virtù di quella sorellanza innata che ispira la donna che ha intrecciato la sua strada con il Giambruno di turno, come ognuna di noi, spesso più volte nella vita.

Il ciuffo identitario, il blu Giambruno, il cognome che pare coniato da uno bravo per farci la macchietta del maschio alfa, che si tocca il pacco con l’ossessione di zio Paperone per la Numero Uno delle sue monete: tutto molto divertente.

La verità è che Andrea Giambruno non è divertente, è la prova registrata delle molestie che non sono casi isolati nelle redazioni delle testate giornalistiche e dei grandi uffici stampa.
La prova fissata che ha il potenziale di liberare le voci di tante di noi che, ogni volta che hanno provato a raccontare il paternalismo, gli abusi di potere, i ricatti e le molestie subiti nelle redazioni italiani, si sono scontrate con la connivenza al sistema abusante di colleghe, colleghi e superiori; finché conniventi in qualche modo lo siamo diventate a nostra volta, con il silenzio. Zittite, perché “sei esagerata”, perché “dai, non fare la santarellina o la vittima”, “dai, si scherza”; perché tanto non ci avrebbero credute, ma solo estromesse da nostri lavori.

È la deligittimazione sintetizzata perfettamente nelle parole di Maurizio Mannoni che, al primo fuori onda di Giambruno, aveva detto:

Posso spendere solo mezza parola in difesa di #Gianbruno? Per esperienza so che in studio in attesa della trasmissione si “cazzeggia”… per sciogliersi, allentare la tensione… spesso ho fatto il “gigione” con qualche collega anch’io… Altra cosa naturalmente quello che si dice.

Salvo poi trovarsi a “ritirare la comprensione” dopo aver visto, o meglio ascoltato, il secondo fuori onda.

La verità è che il primo video che a Mannoni “era sembrato tutto sommato non grave”, grave lo è ma riproduce un atteggiamento talmente accettato e consolidato da non sembrarlo, tutto sommato. C’è la gestualità testosteronica, ci sono i discorsi sessualizzanti, le allusioni che continuano sebbene la collega non rilanci il gioco, ma resti seduta alla sua postazione, fissando ostinata lo schermo, abbozzando qualche sorriso di circostanza e imbarazzo.

Si “cazzeggia” quando si “cazzeggia” insieme, in una situazione di parità; non quando chi detiene il potere “cazzeggia” da solo e da solo si autoassolve perché “c’è chi bestemmia in diretta”.

Vero è che il secondo fuori onda è la documentazione in presa diretta di un atteggiamente abusante, molesto e violento da manuale. Una testimonianza indecente, ma utilissima per liberare e legittimare finalmente le voci di tante giornaliste e inchiodare i tanti, tantissimi Giambruni che abitano le redazioni e in esse ricoprono ruoli di potere.

Fa sorridere amaro, peraltro, che la denuncia parta dal tg satirico di Antonio Ricci che, in materia di sessismo mainstream e male gaze ha fatto scuola, o quanto meno ha portato avanti una tradizione ben consolidata nell’intrattenimento all’italiana.

Detto questo, che ne vogliamo fare di questa storia?

I fuori onda di Andrea Giambruno possono essere il punto di partenza di un #MeToo del giornalismo italiano, necessario per quanto tardivo?

Nell’unica indagine italiana della FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana), risalente a quattro anni fa, l’85% delle giornaliste aveva dichiarato di aver subito molestie sessuali almeno una volta nel corso della vita professionale. A fronte di questi numeri verrebbe da dire che sì, potrebbe essere l’incidente sfuggito all’assenza di prove e alla connivenza del sistema per aprire un affaire Giambruno che inchiodi il settore alla propria responsabilità di genere.

Quello che sta accadendo in queste ore, però, va verso un’altra direzione: i fuori onda di Andrea Giambruno stanno facendo intrattenimento. Nel migliore dei casi, sono usati per tratteggiare la parodia della “famiglia non-tradizionale” di Meloni. D’altra parte, tocca constatare che stanno anche potenziando a loro modo la retorica di “Giorgia madre, donna, italiana, cristiana”, in nome dell’empatia e della sorellanza innata che ispira ogni donna che si trovi a contemplare di aver dedicato energie, progetti e tempo al Giambruno di turno. Del resto, chi di noi non ne ha incontrato almeno uno: sembrano principi, e invece sono lupi.

Beatrice Dondi – che per la cronaca è collega, non parente e neppure conoscente della sottoscritta – su L’Espresso si interroga su “quello che non torna nel ‘caso Giambruno’” perché, è un dato di fatto, questo clamoroso scoop, oltre a ‘colpire’ nel privato la premier Meloni, può ben giovare alla sua immagine. Ma anche senza sviluppare troppo il pensiero critico – per questo rimando all’articolo in questione – dovremmo stare attenti a non utilizzare i fuori onda di Giambruno come intrattenimento: sono documenti di una condotta abusante, che sappiamo appartenere a molti Giambruni del giornalismo.

Documenti di molestie. Forse dovremmo partire da qui; e attenerci ai fatti, visto che per una volta sono documentati da prove schiaccianti.

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