Inps: niente assegno di invalidità se c'è attività lavorativa (anche minima)

Per avere diritto al sostegno economico pubblico di 287 euro al mese, erogato ai disabili parziali, non bisogna più avere nessun tipo di reddito. Immediata la protesta delle associazioni a tutela dei più fragili: "È una scelta che mina l'inclusione sociale".

Niente assegno di invalidità se si lavora, a prescindere da quanto si guadagni. Per avere diritto al sostegno economico pubblico, si parla di 287 euro al mese, non bisogna più avere nessun tipo di reddito. A stabilirlo, con il messaggio n. 3495 del 14 ottobre 2021, l’Inps sulla base dell’interpretazione di alcuni pronunciamenti della Corte di Cassazione.

L’Istituto nazionale di previdenza sociale modifica così le indicazioni sull’assegno mensile di assistenza, che prima spettava di diritto a tutti gli invalidi parziali (dal 74 al 99%), donne e uomini tra i 18 e i 67 anni, con un reddito personale non superiore ai 4.931 euro l’anno.

Come si legge sul sito Inps, nella nota del Direttore generale Gabriella Di Michele, non svolgere nessuna attività lavorativa, non solo è una delle condizioni di erogabilità della prestazione ma, al pari del requisito sanitario, è un elemento costitutivo del diritto alla prestazione assistenziale.

In altre parole un invalido parziale non può praticare nessun mestiere per non perdere l’assegno di 287 euro mensili, diventando così invalido al 100% per il mercato del lavoro. Immediata la protesta di diverse associazioni nazionali che si sono unite in un appello rivolto alle massime istituzioni politiche per denunciare le conseguenze sociali di questa decisione.

In un comunicato congiunto, destinatari il Parlamento e il Governo, le associazioni CoorDown, Uniamo e la Federazione italiana malattie rare (Fimr), parlano di questa scelta dell’Istituto di previdenza come un “inquietante segnale per la disabilità e per l’inclusione sociale!”, e aggiungono:

“L’impatto, al di là del residuale ‘risparmio’ per le casse INPS, è grave per le persone con disabilità già a bassissimo reddito, per le loro famiglie, per la possibilità di svolgere lavori con orari limitati e magari con finalità più terapeutiche e socializzanti che di reale sostentamento. Una scelta che in questi giorni sta gettando nello sconforto molte persone e molte famiglie. Una scelta miope che sospinge le persone all’auto isolamento, alla rinuncia di percorsi di autonomia, di inclusione”.

E se per l’Inps la giurisprudenza legittima questo cambio di rotta, per le organizzazioni a tutela dei più fragili non è così ma una soluzione possibile esiste, ossia quella di “modificare o fornire interpretazione autentica della norma originaria sull’assegno che riconosca quale condizione di inattività lavorativa la medesima già prevista per tutti per l’iscrizione alle liste di collocamento”.

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