La lotta di Barbara Mura: "Mio figlio morto per farmaci acquistati stampandosi le ricette"

La donna da due anni va in giro per scuole e associazioni cercando di sensibilizzare i giovani e i genitori sul problema, e di porre l'accento su quanto sia facile, per i ragazzi, stamparsi le ricette da soli.

Due anni fa Gabriele Murgia, appena diciottenne, moriva per un mix letale di psicofarmaci, alcol e droghe; e da quel momento la madre Barbara Mura, sta portando avanti una battaglia per sottolineare quanto sia facile ottenere dei farmaci falsificando le ricette.

Anche suo figlio, dice, si stampava da solo le ricette degli psicofarmaci che poi assumeva, seguendo una tendenza estremamente pericolosa diffusa tra i giovani.

Assistita dall’avvocata Sara Dettori, Mura ha presentato un esposto in Procura per denunciare le falle del sistema di prescrizione medica. “Le ricette che utilizzava mio figlio Gabriele – ha spiegato – erano trascritte al computer e siglate con firme false, di medici in pensione. Andava a comprare medicine con dei fogli compilati da lui e siglati. Per questo dico e ripeto che serve un nuovo sistema di vendita di certi farmaci”.

“Io ho vissuto una tragedia nonostante fossi convinta di essere una mamma attenta, che cercava di proteggere il proprio figlio – ha aggiunto, sottolineando come, purtroppo, essere un genitore presente non sia sufficiente, visto che all’esterno della famiglia – c’è il condizionamento, la quotidianità riferita al gruppo che frequenti, si tende a fare quello che fanno gli altri. E i social purtroppo hanno effetti devastanti”.

Dal momento della morte del ragazzo di Porto Torres, sua madre ha intrapreso un percorso di informazione e sensibilizzazione che la porta in giro per le scuole, per le associazioni e le aggregazioni, portandola a contatto con studenti e genitori. “Vado ovunque mi invitano – racconta a La Nuova Sardegna – non lo chiedo io. Ci sono Paesi che si stanno muovendo, lo faccio per divulgare quello che ho conosciuto dopo la morte di mio figlio. Mi è apparso davanti un mondo che ignoravo, estremamente pericoloso per questi ragazzi. C’è una moda che è diventata normalità, pastiglie da mischiare con alcol e bibite per potersi sballare. Bibite da ‘sporcare’ [ovvero macchiate con gocce di psicofarmaci, ndr.] Loro non lo vivono come un pericolo perché quei farmaci li trovano anche a casa nell’armadietto, li utilizzano i genitori. Non li considerano una droga e invece sono il passo che precede poi la voglia e la curiosità di provare altro”.

Dopo la morte di Gabriele Murgia, gli inquirenti hanno analizzato documenti e file del suo computer, accertando che seguiva un tutorial trovato su Internet per preparare le ricette, che dovevano naturalmente avere requisiti precisi. Poi le stampava e metteva una sigla, apponendo il nome di un medico in pensione. “É da allora che penso che ci vorrebbe un sistema che blocca un medico non più attivo, almeno nell’emissione delle ricette. E anche qualcosa che consenta alle farmacie di gestire con attenzione e sicurezza determinate situazioni che, ormai si sa, esistono”.

“Quando è accaduta la tragedia di Gabriele, gli amici mi dicevano che mio figlio non era drogato, non avevano la percezione del pericolo e mancava la comprensione del fatto che dietro c’era comunque la dipendenza – spiega ancora Murgia – Una amica di Gabriele mi aveva voluto parlare per dirmi che non era colpa mia ciò che era accaduto. Noi ragazzi abbiamo tutto a disposizione, mi disse, basta nulla per avere ciò che vediamo sui social con esempi che arrivano anche da persone molto conosciute”.

Ciononostante, Barbara Mura non riesce a non colpevolizzarsi: “Penso che forse avrei potuto fare di più, controllare con maggiore attenzione, capire cosa cercava anche sui social. Ma anche così ho capito che i ragazzi sono sempre più avanti dei genitori. E oggi quando racconto di Gabriele molti neanche capiscono come è morto mio figlio. Perché non realizzano la gravità della situazione”.

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