
Ché stupri e torture non restino impuniti: il coraggio di 36 donne Achi Mayan
Durante la Guerra civile del Guatemala erano molto diffusi gli stupri sistematici nei confronti delle donne Achi Mayan: ora 36 di loro hanno ricevuto giustizia.

Durante la Guerra civile del Guatemala erano molto diffusi gli stupri sistematici nei confronti delle donne Achi Mayan: ora 36 di loro hanno ricevuto giustizia.
La guerra è guerra. Dicono così coloro che sono pronti a giustificare tutto. La legge positiva è fallibile, perché nella storia e nella contemporaneità si sono susseguiti gruppi che hanno acquisito il potere con la forza, imponendo enormi e brutali negazioni dei diritti umani. Ma c’è la legge morale che riguarda tutti e tutte, indipendentemente dal luogo del mondo, dall’etnia (una delle tante parole assurde che usiamo, dato che i popoli sono inclini a incontri e migrazioni), dalla religione o dalla sua assenza. Che poi una corte di giustizia abbia dato ragione a 36 donne Achi Mayan che hanno denunciato chi le aveva stuprate e torturate durante la guerra civile è comunque un riconoscimento importante, perché sanziona un postulato fondamentale: i diritti umani vanno sostenuti, e chi nega i diritti umani va perseguito.
La nostra premessa era doverosa, perché il contesto in cui furono torturate le donne Achi Mayan, che hanno coraggiosamente, denunciato i loro violentatori è quello della Guerra civile guatemalteca. Che è un po’ un paradosso, perché non riguardò solo il Guatemala, dato che ci furono spinte al conflitto da parte degli Stati Uniti e altri stati, cosiddetti occidentali e democratici, vendettero armi a chi voleva sedare la voce dei rivoltosi con la forza.
La Guerra civile in Guatemala fu lunghissima e prese un arco temporale che va dal 1960 al 1996. Prima del’60 c’erano state delle elezioni democratiche, in cui avevano prevalso forze e partiti favorevoli alle classi sociali più povere, formate per lo più da contadini e contadine di origine Maya e Iadina. Ma appunto gli Stati Uniti avevano incoraggiato e contribuito a organizzare un colpo di stato che nel 1954 aveva di fatto introdotto una dittatura militare in Guatemala.
Contro il governo si sollevarono quindi i ribelli, capeggiati ancora da coloro che sostenevano la classe agricola, la quale si batteva per le gigantesche sperequazioni in termini di proprietà terriera nel Paese. E il governo continuò, per oltre 35 anni, a usare la forza contro i ribelli e chi li sosteneva: omicidi, stragi, ricorso alla sparizione forzata tipica delle dittature, torture e stupri caratterizzarono questo periodo profondamente buio.
Lo stupro in questi contesti è piuttosto comune per alcune ragioni. Non c’è soltanto la violenza imposta da chi vuole annientare l’avversario, o l’abuso di potere, ma c’è anche dell’altro. Nei casi di guerriglia etnica infatti, lo stupro sistematico volto al mettere incinta la sopravvissuta rappresenta anche una forma di genocidio genetico, attraverso l’imposizione di geni e prole indesiderata nella parte più debole – perché subalterna e meno difesa nella battaglia – della guerriglia.
Tra il 1981 e il 1983 in particolare, accadde quindi un fenomeno molto comune nelle guerre che hanno un retroterra etnico e socio-culturale: nei remoti villaggi agricoli del Guatemala – scrive il New York Times – le ragazze e le donne venivano prelevate dalle cosiddette “pattuglie civili di difesa”, ovvero paramilitari sostenuti dal governo contro i ribelli, tenute prigioniere e violentate per intere settimane. Tra loro c’erano Candelaria Xolop Morales, che all’epoca aveva 19 anni, e Paulina Ixpatá Alvarado, che fu tenuta prigioniera per 25 giorni con la cugina e altre donne: quest’ultima ha raccontato come tutte loro ce l’hanno fatta a sopportare, o più che altro a sopravvivere alla violenza.
Nel 2014, 36 delle donne Achi Mayan che erano state stuprate in quegli anni hanno intentato una causa legale contro i loro aggressori e il giudizio è arrivato solo nel 2025. Purtroppo molte altre erano morte intanto. Per la testimonianza e la sentenza, hanno viaggiato molte ore per raggiungere la Corte Suprema del Guatemala e guardare per l’ultima volta in faccia i loro aguzzini. Hanno atteso oltre 40 anni, ma alla fine sono riuscite a ottenere la giustizia che meritavano.
A maggio 2025 le donne Achi Mayan querelanti, dopo aver presentato 160 prove contro 3 ex paramilitari, hanno assistito alla condanna degli imputati a 40 anni di carcere ciascuno, per il reato di crimini contro l’umanità sotto forma di violenza sessuale. A pronunciare la sentenza è stata proprio una giudice, di nome Maria Eugenia Castellanos. Fondamentale la testimonianza di Paulina Ixpatá Alvarado, che, come riporta Reuters, ha raccontato al processo tra le altre cose:
“I soldati sono arrivati a tarda notte, mi hanno buttata a terra e mi hanno violentata. È andata così tutta la notte”.
Dopo la sentenza, le querelanti sopravvissute si sono riunite fuori dalla corte di giustizia per intonare un’invocazione ai propri antenati Maya. Si tratta del secondo processo di questo tipo contro ex militari, commissari militari e membri civili della “pattuglia di difesa”. Nel primo processo, terminato nel 2022, 5 tra questi uomini sono stati condannati a 30 anni di reclusione.
Ma c’era stato anche un altro precedente nel 2016: un tribunale ordinario aveva condannato due ex ufficiali per aver ridotto in schiavitù sessuale 15 donne della comunità Q’eqchi, anche loro di origine Maya, all’interno della base militare di Sepur Zarco. Stanno scontando una pena complessiva di 360 anni di carcere e per le sopravvissute, oggi chiamate “nonne di Sepur Zarco”, è stato stipulato un programma di risarcimento, che tuttavia sembra andare abbastanza a rilento.
Vorrei vivere in un incubo di David Lynch. #betweentwoworlds
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