Con la riapertura di quasi tutte le attività lavorative e la possibilità per i cittadini di muoversi liberamente all’interno della propria Regione il rischio che il contagio riparta è inevitabilmente cresciuto.

In questi giorni, a tal proposito, sta facendo molto parlare di sé la formula matematica del prof. Erin Bromage, docente di Biologia specializzato in Immunologia dell’Università di Dartmouth, nel Massachusetts, con la quale ha provato a calcolare il rischio di contrarre il Covid-19 in un determinato ambiente.

Quali sono i luoghi – secondo la sua formula – dove il rischio è maggiore?

Attraverso alcuni studi sappiamo che la maggior parte delle persone contrae il virus a casa. Una persona si infetta e porta il virus tra le mura domestiche, dove un contatto prolungato con gli altri familiari favorisce nuovi contagi.”

Questo, secondo il professore, dimostrerebbe che a determinare l’infezione è la carica virale cui si è esposti. Nel caso del Sars-Cov-2 basterebbe una carica molto bassa.

“Alcuni studi hanno stimato che basterebbero appena 1000 particelle per contrarre l’infezione. Questo significa che può avvenire con 1.000 particelle infettive inalate in un unico respiro, oppure con 100 particelle in 10 respiri o 10 in 100 respiri.”

Un’eventualità non molto rara visto che in un unico respiro, una persona inala in media da 50 a 5000 particelle.  Un singolo starnuto rilascia circa 30.000 goccioline. La maggior parte è minuscola e si sposta su grandi distanze. Quando una persona è infetta, le goccioline di un singolo colpo di tosse o di uno starnuto possono contenere fino a 200 milioni di particelle virali.

“Se lo starnuto o il colpo di tosse non è diretto verso di voi, le goccioline più piccole possono comunque rimanere sospese nell’aria per alcuni minuti: basterà entrare in quella stanza pochi minuti dopo e fare qualche respiro contrarre potenzialmente l’infezione”.

L’esposizione moltiplicata per il tempo rappresenta quindi la formula di base dell’infezione. (Infezione = esposizione al virus x tempo). Partendo da questa formula matematica, Bromage avrebbe individuato i luoghi in cui il rischio di essere contagiati è maggiore.

 “A parte la terribile situazione delle residenze sanitarie assistenziali (RSA), i luoghi più a rischio sono le carceri, i luoghi in cui si svolgono cerimonie religiose al chiuso e luoghi di lavoro, come gli impianti di confezionamento, call center e uffici. In generale, qualsiasi ambiente chiuso, poco ventilato e affollato, può essere un luogo di diffusione del virus”.

Tra i tantissimi esempi analizzati dal prof. Bromage c’è anche il caso del coro di una chiesa nello stato di Washington:

“Nonostante tutte le precauzioni per ridurre al minimo il contagio, la maggior parte dei coristi sono stati in gran parte contagiati da un singolo portatore asintomatico. Il coro aveva cantato per oltre due ore, all’interno di una sala prove al chiuso. Cantare spiega l’esperto – rilascia le goccioline con una certa efficacia. 
Risultato? 45 dei 60 membri del coro hanno sviluppato sintomi e ci sono stati 2 decessi. Tra i contagiati, il più giovane aveva 31 anni, ma l’età media era di 67 anni ”.

Lo stesso avverrebbe anche nei ristoranti affollati e privi di areazione, negli uffici, nelle palestre e nei luoghi in cui si celebrano feste e cerimonie religiose: le misure di distanziamento sociale non sono state sufficienti in questi ambienti dove le persone hanno trascorso molto tempo.
In tutti questi casi, le persone sono rimaste esposte al virus presente nell’aria per un tempo prolungato (anche diverse ore).

Le norme di distanziamento sociale servono a proteggerci dalle brevi esposizioni o quando ci troviamo all’aperto. All’esterno – osservando le misure anti-contagio – la carica virale si “diluisce nell’aria” e non c’è abbastanza tempo per raggiungere le quantità di virus in grado di causare l’infezione. Gli effetti dei raggi solare, del calore e l’umidità, inoltre, possono mettere a rischi la sopravvivenza del virus, riducendo al minimo il rischio di contagio all’aperto”, conclude l’esperto.

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