Da Meloni all'affaire Boccia: i sani valori delle famiglie tradizionali... degli altri

Il personale è politico, ma non per la politica. Una riflessione sui doppi standard del governo della politiche famigliari e dei valori cristiani.

Se fosse la trama di un film in concorso a Venezia, sarebbe uno spasso. Se non un premio, andrebbe assegnata almeno una menzione speciale alla sceneggiatura, per la capacità di restituire un ritratto umano, troppo umano, dell’uomo medio e borghese.

La storia è quella di un cittadino qualunque, nato a Napoli, città che per antonomasia fa da sfondo alla commedia umana. È uno che si dà da fare per raggiungere il potere; e ce la fa. Ma il problema del potere, una volta che ce l’hai, è non perderlo. Lui in questo si arrabatta, non benissimo, ma bisogna pur riconoscergli un certo talento. Non è da tutti essere il Ministro della Cultura e tenere botta dopo aver fatto navigare Colombo grazie agli spoiler dal futuro di Galileo Galilei, spostato Times Square a Londra, trasformato Dante Alighieri nel “fondatore del pensiero di destra in Italia”, aver tolto qualche millennio alla tua stessa città natale, votato i libri finalisti allo Strega senza averli letti.

L’incipit neorealista vira insomma presto alla comicità surreale, ma non è finita. A questo punto, l’uomo qualunque che ce l’ha fatta manda tutto all’aria perché perde la testa per una donna (un cliché da commedia romantica), che però non è la sua legittima consorte e ciò innesca una serie di vicissitudini grottesche (commedia all’italiana) che sconfinano nella spy story (le registrazioni video con gli smart glasses all’interno di Montecitorio e le registrazioni audio). Da lì, tutto precipita, e si consuma il dramma dei quindici minuti di intervista al direttore del Tg1 Chiocci: le dimissioni rassegnate nelle mani della premier Meloni e per ora respinte, la barba incolta, lo sguardo dimesso, un graffio in piena fronte, l’esibizione delle ricevute, le lacrime e le scuse:

“Poi chiedo scusa a Giorgia Meloni, che mi ha dato fiducia per l’imbarazzo che ho creato a lei e, evidentemente, al governo. Chiedo scusa anche ai miei collaboratori”.

Il finale è aperto, e ancora tutto da scrivere: con le nuove registrazioni in possesso di Maria Rosaria Boccia, le decisioni di Meloni e del governo, il tema della sicurezza e dell’accesso a luoghi e informazioni riservate, la possibilità di un’inchiesta per peculato perché, mentre il ministro ha ribadito di non aver mai usato soldi del ministero per pagare viaggi, vitto e alloggio a Boccia, la donna racconta un’altra storia.

Non si tratta di un film, e c’è poco da ridere. Ci sono implicazioni politiche serie sul tavolo, a partire dal modus operandi di un esponente del governo in carica che, più che ingenuo, è irresponsabile e apre a una serie di rischi tutt’altro che privati. Se all’inizio alcuni hanno invocato il diritto alla privacy, appare evidente che l’affaire Boccia-Sangiuliano non sia la storia di una scappatella o di un’infatuazione che attiene alla sfera personale.

Vale anzi la pena analizzare anche un altro modus operandi, a tal proposito. C’è un grande paradosso che accomuna azioni e omissioni di molti esponenti del governo in carica che, se da una parte tendono a far calare con grande facilità la coperta della privacy su questioni in cui il privato oltre a essere politico è spesso “cattiva politica” (soldi pubblici, sicurezza nazionale, trasparenza nell’assegnazione delle cariche, etc.), dall’altra agiscono una politica orientata a entrare nel privato dei cittadini e, in particolare, nella definizione valoriale e legale delle famiglie e nelle lore scelte riproduttive.

Dal cortocircuito di un politica che invade il privato (leggi autodeterminazione) dei propri cittadini, e in particolare delle proprie cittadine, ma vuole tenere per sé i propri intrallazzi sentimentali e parentali che hanno risvolti politici, ampliamo ulteriormente la prospettiva. Pensiamo alle vicissitudini famigliari di alcuni esponenti del governo, a partire da Meloni con l’affaire Giambruno ovvio, per arrivare, tra gli altri, ad Arianna Meloni e Lollobrigida, e allo stesso Salvini: è evidente che i più strenui sostenitori dei valori della famiglia tradizionale e cristiana, non abbiano famiglie tradizionalmente e cristianamente intese, e siano i primi a subire i limiti di un’istituzione che scricchiola sotto il peso del suo stesso anacronismo.

Visto da qui, l’inganno dovrebbe vedersi bene: parafrasando lo slogan leghista, “Crediamo nei valori delle famiglie tradizionali e le supportiamo, ma a casa loro.” 

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