A Belve Crime Eva Mikula, ex del killer della Uno Bianca: "Mi diceva 'Se parli la tua vita è finita'"

La donna, ex compagna di Fabio Savi, uno dei killer della Uno Bianca oggi condannato all'ergastolo, racconta la sua versione nel programma di Francesca Fagnani.

Eva Mikula sarà ospite della prima puntata di Belve Crime, spin off del fortunato programma di Rai 2 condotto da Francesca Fagnani. Il suo nome è noto a chi è stato giovane o adulto negli anni ’90, perché era la compagna di Fabio Savi, famigerato e spietato killer della cosiddetta banda della Uno Bianca, di cui faceva parte assieme ai fratelli e ad altri appartenenti alla Polizia di Stato.

Mikula, che oggi ha 50 anni, ha conosciuto Savi poco dopo il suo arrivo in Italia dalla Romania, nel 1992, quando lavorava come hostess, modella e ragazza immagine; da lì, negli anni, la sua figura è sempre stata dipinta con la connotazione della “donna del killer”, “la complice”, etichette che lei ha sempre rifiutato con decisione, definendosi vittima a sua volta della furia dell’ex partner.

Alla domanda di Fagnani, “Come faceva a continuare a dormirci a a farci colazione?” Eva Mikula risponde:

Che altro potevo fare? […] Un uomo che la sera ti mena e la mattina ti porta un fiore è normale? Le volte che io ho avuto gli occhi neri, che mi ha strappato i capelli, e le minacce che ho ricevuto, quante volte m’ha puntato la pistola, non se lo ricorda. Diceva che mi avrebbe uccisa e buttata in un burrone, tanto non mi avrebbe cercata nessuno.

E alla richiesta di spiegazioni sul perché non ha mai presentato una denuncia, Mikula ricorda la professione di poliziotto del compagno: “Fabio mi disse sempre ‘Noi siamo in tanti, se tu parli, la tua vita è finita'”.

Ma c’è un’altra parte, nella testimonianza televisiva di Mikula, destinata a far discutere; come riporta RaiNews, Fagnani chiede alla donna a chi vorrebbe chiedere scusa, e lei risponde di aspettarsi, in realtà, delle scuse.

‘La banda fu arrestata grazie a me’, afferma Mikula. Ma la conduttrice ribatte: ‘Ha parlato solo dopo l’arresto’. La donna racconta di essere stata ‘insultata per trent’anni’ e minacciata.

Quando la giornalista le chiede a chi dovrebbe delle scuse, la risposta sorprende: ‘Le attendo. Dai familiari delle vittime’.
‘I familiari, in generale, non devono chiedere scusa a nessuno’, replica Fagnani.

Fonte: RaiNews

Un’affermazione, questa, a cui, sempre secondo quanto riportato da RaiNews, ha risposto Alberto Capolungo, presidente dell’Associazione familiari Vittime della Uno Bianca. “Non siamo certo noi a doverci scusare né mai lo faremo, tra l’altro non l’abbiamo mai offesa e non le abbiamo augurato alcun male – ha replicato Capolungo – lei ha fatto delle scelte di vita che forse le saranno costate, che non le saranno piaciute in seguito. Possiamo concederle che era molto giovane e non sapeva a cosa andava incontro. Se poi ha dato un contributo all’epoca dei processi, in qualche maniera le sarà stato riconosciuto dai magistrati. Tant’è vero che non ha fatto neanche un giorno di galera. Ma da qui a diventare una vittima che deve entrare nell’associazione, ce ne passa […] noi non colpevolizziamo e non le auguriamo la morte, il suicidio o altro, semplicemente non abbiamo a che fare con lei. Però lei Fabio Savi se l’è scelto, noi abbiamo subìto le azioni dei banditi”.

La banda della Uno Bianca, così chiamata per via dell’auto usata durante i loro agguati, è stata una delle più feroci organizzazioni criminali attive in Italia a cavallo tra gli anni ’80 e ’90; dal 1987 al 1994 si contano più di 100 azioni armate compiute dalla banda, guidata dai tre fratelli Savi, Roberto, agente in servizio alla Mobile di Bologna, Fabio, meccanico ma anche lui ex poliziotto, e Alberto, con la complicità di altri memri della polizia, Marino Occhipinti, Pietro Gugliotta e Luca Vallicelli.

Rapine a mano armata, agguati a militari, a caselli e a furgoni portavalori, sparatorie nei campi nomadi, esecuzioni, per un totale di 24 morti e 114 feriti.

Fabio Savi viene arrestato il 24 novembre 1994 in un autogrill sull’autostrada per l’Austria, in compagnia di Eva Mikula, mentre pochi giorni prima era toccato a Roberto, arrestato a Bologna. Tutto era partito da un appostamento a Santa Giustina, Rimini, dove venne individuata un’auto sospetta, guidata proprio da Fabio Savi, nel corso dell’indagine condotta dai magistrati Daniele Paci e Paolo Giovagnoli.

Trattenuta e interrogata, Mikula fornisce nomi, movimenti, aiuta a ricostruire le scene dei crimini, rendendosi una testimone chiave per incastrare la banda. Nel 1996 le condanne per tutti: ergastolo per i fratelli Savi e per Marino Occhipinti, 28 anni per Gugliotta (ridotti poi a 18), 3 anni e 8 mesi per Luca Vallicelli, per favoreggiamento. Mikula, invece, viene assolta dalle accuse più gravi, mentre le viene data una pena sospea per false dichiarazioni e porto d’armi.

“La mia pena è infinita, a vita – scrisse nel libro pubblicato nel 2021, Vuoto a perdere, scritto con il giornalista Marco Gregoretti – Vivo nel baratro del mio passato, nascondendomi nell’oblio per affrontare e sconfiggere ogni giorno il pregiudizio”. Ciononostante, l’opinione pubblica si è sempre divisa e continua a dividersi sulla sua figura, tra innocentisti e colpevolisti, fra chi la vede vittima e chi carnefice.

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!