Perché il monologo di Francesca Fagnani a Le Iene non ci ha convinto

La presentatrice di Belve, conduttrice per una sera de Le Iene, è stata protagonista di un monologo sui diritti delle donne, nel quale ha raccontato alcuni episodi che l'hanno coinvolta in prima persona.

Come di consueto, anche per la puntata del 30 novembre una delle dieci donne scelte da Le Iene ha affiancato Nicola Savino come conduttrice per una sera. Questa volta è toccato a Francesca Fagnani, che si è resa protagonista di un monologo sul tema dei diritti delle donne e, in particolare, delle giornaliste.

La conduttrice di Belve ha parlato della necessità di raggiungere la parità nel mondo del giornalismo (così come in tutti gli altri):

“In tutte le redazioni in cui ho lavorato, anche le più progressiste, ho guadagnato meno dei colleghi maschi di pari livello e questo purtroppo è solo uno dei problemi perché è un mondo dove può accadere, com’è successo alla collega Greta Beccaglia, che ti tocchino il culo in diretta e che il tuo collega sempre in diretta dica: “Non te la prendere, vai avanti”. La verità è che sul tema della parità anche noi, che facciamo informazione e che vogliamo insegnare agli altri come si fa, non siamo meglio di loro”.

Difficile darle torto (anche se il “non te la prendere” del conduttore Micheletti è stato forse decontestualizzato un po’ troppo, dato che lo stesso è intervenuto in difesa di Beccaglia nello stesso servizio) ma c’è senza dubbio un problema strutturale nel trattamento riservato alle donne anche nel mondo del giornalismo.

Fagnani infatti esordisce con:

“Negli ultimi anni ho visto accadere molte cose bizzarre nel mondo del giornalismo: talk show dove il politico di turno può scegliere le domande e scegliersi pure il giornalista che gliele fa, trasmissioni che ti invitano come giornalista ma poi si aspettano che tu faccia l’ultras di Salvini, di Conte, di Letta o di Draghi. Poi mi sono persino abituata alla domanda, dopo che si sono decisi gli altri ospiti, “ma come donna chi invitiamo?”, come se fosse un obbligo la quota rosa del talk. Una categoria da proteggere, come i panda”,

È chiaro che sia frustrante e ingiusto che la domanda “come donna chi invitiamo?” debba arrivare dopo aver invitato gli ospiti uomini ed è triste che tale attenzione sia frutto di un “obbligo” non percepito come necessità da chi quegli inviti li fa, ma è anche vero, e questo nel monologo della giornalista non traspare, che se non vi fosse questo obbligo (legale nel caso delle quote rosa, “politicamente corretto” nel caso dei talk show), di invitate donne ce ne sarebbero gran poche.

È la drammatica realtà dei fatti della rappresentanza mediatica a rendere le donne “categoria protetta”. E non piace a nessuna sentirsi “come un panda”, ma quella che va combattuta è la minaccia, non la protezione.

Fagnani poi continua raccontando alcuni episodi che l’hanno coinvolta direttamente per sottolineare come spesso siano le donne stesse a non sostenersi l’una con l’altra:

“Sono stata invitata a una trasmissione dove c’era una donna, che faccio persino fatica a definire collega, tanto è meritata e prestigiosa la sua carriera: una vera regina del giornalismo. Ho sempre apprezzato le sue parole e ne ha spese tante per chiedere posti di potere per le donne, però ho capito che questo per lei vale solo se quei posti sono lontani dal suo. Infatti, alla vigilia della trasmissione, mi hanno fatto sapere che questa giornalista non gradiva la mia presenza, perché attorno a sé voleva solo colleghi maschi. Ma come, proprio lei? La stessa donna che rimprovera gli uomini di non darci lo spazio che meritiamo?”.

Fagnani non ha voluto fare il nome della “regina del giornalismo“, anche se sui social qualcuno ha avanzato delle ipotesi. Per quanto tale avvenimento possa corrispondere al vero, senza una denuncia diretta, sembra più uno sfogo personale verso un torto subito, che (per quanto possa essere magari a ragione) si scaglia contro una donna, all’interno di un monologo pensato per tutelare proprio le donne da un sistema oppressivo, frutto del patriarcato.

Ciò non significa che le donne non possano essere colpevoli di opprimere altre donne, ma Fagnani ha perso un’occasione, scegliendo di incentrare il proprio discorso su un torto personale senza allargare il ragionamento in modo più costruttivo. La discriminazione e la disparità di genere non vengono perpetrate soltanto dagli uomini, è vero, ma l’origine è sempre di matrice patriarcale.

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