L’arte che fa parlare è (anche) quella che capovolge gli stereotipi. E sebbene non ci debbano essere limiti di genere in un mondo in cui la creatività è la base, in realtà di misoginia artistica in questi anni, sotto gli occhi, ne abbiamo avuta parecchia. La mostra femminista del Museo del Prado di Madrid che si chiama Invitadas e punta a mettere in luce il lavoro delle artiste donne, la loro storia nell’arte spagnola, il loro cammino spesso accidentato e “invisibile”.
Ma non solo: questa mostra vuole anche raccontare discriminazione di genere, di ruoli e anche di capacità che molte donne artiste hanno subito nei secoli. Una sorta di rivalsa in cui è lo stesso Prado a esporsi a mo’ di scusa: i fondi per Invitadas arrivano in parte anche da quelli del Museo. La mostra rimarrà esposta dal 6 ottobre 2020 a marzo 2021 ed è un cammino nel sistema artistico spagnolo a cavallo del XIX e XX secolo ma anche un modo per esporre alcune delle artiste più importanti del panorama nazionale.
Come si legge sul sito del Prado:
La mostra racconta il percorso epico che alcune donna hanno dovuto percorrere per liberarsi dai pregiudizi legati al genere.
Perché quello dell’arte che esclude le donne dalle mostre e dalle manifestazioni è un po’ il processo che si coglie in letteratura, dove la mancata partecipazione di autrici donne e intellettuali di sesso femminile è ormai evidente a tutti.
La mostra del Prado è il racconto su tela di come la donna ha vissuto ed è stata vista nel corso di un secolo. Un trionfo dei luoghi comuni che per anni hanno relegato le femmine intorno a un focolaio domestico, senza che fossero libere di esprimere desideri e ambizioni. Figuriamoci fare le artiste.
L’arte, per la donna, è spesso stata vista come un vezzo e non come un lavoro. Per questo Invitadas vuole capovolgere quello che è stato, raccontandolo: le opere esposte sono frutto dell’ingegno e della creatività di donne che, tra il 1833 e il 1930 hanno cercato come potevano di sfogare questa passione. Molte si dedicavano alla fotografia, altre per sbarcare il lunario facevano repliche di opere famose (di maschi, ovviamente).
A Rosa Bonheur e a tutte le donne che portano i pantaloni
I pantaloni sono stati uno dei simboli dell'emancipazione della donna: in molte si sono battute per permettere a tutte le donne di indossare il cap...
Ma Invitadas mette in evidenza soprattutto il lavoro di quelle donne che ci hanno creduto. Donne come Inocencia Arangoa, e la pittrice francese Rosa Bonheur sono protagoniste della battagli femminista del secolo. Che non hanno messo da parte la loro voglia di emergere in un mondo di uomini. E che hanno rotto schemi, innovato e, con coraggio, hanno trovato la loro strada che le ha portate fin qui, a essere protagoniste (finalmente) di un mondo che gli appartiene.
In gallery trovate alcune artiste della mostra.
La mostra del Prado per le donne artiste
Inocencia Arangoa è una delle artiste in catalogo di Invitadas, una delle prime artiste femministe di inizio secolo che si è sempre battuta per avere un ruolo, insieme alle colleghe, nella società dei tempi.
Rosa Bonheur, che voleva avere una "voce"
Tra le artiste di punta della mostra Invitadas c’è anche la pittrice francese Rosa Bonheur, incredibile personalità di inizio secolo che, oltre al suo lavoro artistico ha anche combattuto per la libertà personale delle donne. Tipo quella di usare i pantaloni, simbolo indiscusso della supremazia maschile che le donne volevano poter indossare senza troppe cerimonie.
La generazione del '27
Il gruppo di artiste che va sotto il cappello della Generazione del ’27 è un esempio di femminile che si impegna per l’arte, in tutte le sue forme: scrittura, giornalismo, pittura, scultura, fotografia. Maruja Mallo è forse una delle esponenti più famose. Surrealista, femminista, attivista politica fu esiliata proprio per la sua posizione di repubblicana all’arrivo di Franco in Spagna e visse fuori dal suo paese per 25 anni.
Il gruppo delle "SinSombrero"
Sempre della Generazione del ’27 fa parte il gruppo di donne denominate “Sinsombrero” in epoca recente, nel 2015, grazie a un documentario dedicato che ne ha fatto scoprire le incredibili opere e attività. Il nome arriva da un episodio emblematico: negli anni ’20 Maruja Mallo, Margarita Manso in compagnia di Salvador Dalí e Federico García Lorca, in pubblico, si tolsero il cappello, in un simbolo di ribellione in tempi in cui c’erano dei ruoli da rispettare le donne erano vestite e dovevano comportarsi in un solo modo, subordinato agli uomini. Del gruppo fanno parte pittrici come Marga Gil Roësset, Rosario de Velasco ma anche scrittrici e poetesse.
La lotta per la libertà attraverso l'arte
Quella che ha contraddistinto le artisti spagnole agli inizi del ‘900 è una lotta per la libertà. Di esprimersi attraverso l’arte proprio come gli uomini. Di avere la possibilità che il loro lavoro venisse riconosciuto. E di avere rispetto, proprio come i colleghi maschi, in un ambiente che per lungo tempo le ha ostracizzate.
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