Festival senza donne? Se artisti e intellettuali non dicono di no

L'organizzazione adduce una giustificazione labile sul fatto che alcune donne invitate abbiano rifiutato causa Covid e chiosa: "Nel mondo della cultura e dell'arte è indifferente l'appartenenza a un genere". Peccato che i numeri della discriminazione di genere (nell'arte e in tutti gli altri ambiti sociali) parlino chiaro: l'appartenenza a un genere o all'altro non è mai indifferente. 

La premessa è che se lavori di parole, le parole contano. Quindi sgombriamo subito il campo dalla possibilità che le persone in questione siano state “fraintese” e parliamo di responsabilità; ma prima, in sintesi, i fatti.

Dalle pagine di Repubblica, Michela Murgia fa prontamente notare l’ennesimo problema di rappresentazione di genere in un evento culturale:

La quota media di partecipazione femminile ai programmi dei festival italiani degli ultimi dieci anni non supera infatti quasi mai il 15%, ma spesso è inferiore, fino ai casi dove si azzera del tutto. Uno è quello del Festival della Bellezza che si tiene all’Arena di Verona, dove il tema “Eros e bellezza” è sviluppato da 24 ospiti tutti maschi con l’eccezione della pianista Gloria Campaner, che accompagnerà Alessandro Baricco.

Sopra il titolo dell’articolo – Il festival della bellezza che esclude le donne -, per completezza di informazione e a rendere il tutto ancora più imbarazzante, campeggia l’illustrazione di Maggie Taylor, utilizzata a dire di quest’ultima sul manifesto dell’evento senza il suo consenso. L’artista peraltro contesta il fatto che

un festival su eros e bellezza stia usando la mia illustrazione “Girl with bee dress” che ha per soggetto una minorenne.

Ancora una volta non è questione di mettere o meno in discussione la buona fede dei singoli – parliamo di organizzatori e ospiti -, ma esiste una responsabilità conclamata nella “rimozione di genere”, sulla quale pesa un’aggravante che non può più essere ignorata quando a perpetrarla sono intellettuali ed eventi culturali.

Non si tratta, cioè, di doversi mettere a spiegare, di nuovo, a quello che la classe intellettuale novecentesca definiva “l’uomo della strada” perché le quote rosa non sono antimeritocratiche, bensì l’unica reale possibilità, in un contesto sociale, economico e politico come quello attuale di garantire almeno una minima parte della presenza femminile meritevole di sedere a consessi e vertici importanti.Si tratta, ahinoi, di doverlo spiegare a chi la cultura la fa e:

a) sceglie sistematicamente di farla al maschile (con qualche gentile concessione)

b) rifiuta la responsabilità sociale e culturale che deriva dall’essere intellettuale o personaggio pubblico, così facendo, sottoscrive e perpetra una narrazione del mondo in cui le donne non esistono (o vengono raccontate e rappresentate solo da uomini).

Posta la giustificazione scolastica del “non lo sapevo” e posta la facilità con cui una persona potrebbe colmare le proprie lacune (si veda il tweet di Valeria Parrella), è lecito aspettarsi che, una volta informati, almeno alcuni dei 24 ospiti prendano le distanze dalla cose e disdicano la loro presenza in segno di protesta.
Come Murgia ricorda fecero Milo Manara e altri illustratori nel 2016, in occasione di un Gran Prix de Angoulême, il Nobel del fumetto, a causa della presenza di soli maschi.

Invece no. Anzi.
Alessandro Baricco e Gloria Campaner (unica presenza in cartellone in accompagnamento al primo), firmano queste parole sul profilo social dello scrittore

Che è quanto di più contrario al concetto di responsabilità culturale e supporto alla cultura ricorsivo nei discorsi degli ospiti del festival.
Va notata, del resto (che tenerezza!), la scelta di mettere per esteso i nomi e i cognomi dei e delle componenti dell’Orchestra, che a voler pensare male sembra suggerire: “Noi di femmine ne abbiamo!”.

Che dire? Anche per Alessandro Baricco, a volte, vale il detto che “Un bel tacere non fu mai scritto”.

Uno poi spera che tra i commenti non pervenuti si possano ascrivere quelli di Morgan e Sgarbi, che invece postano, pure loro.


Il primo prova a metterci una pezza e diventa addirittura offensivo, mostrando di non aver capito nulla di donne, né di parità. Ma lui probabilmente non esiterebbe a definire queste parole un complimento o un’ode alle donne (la strada da fare è ancora lunga):

Il secondo fa quello che la cultura patriarcale prevede di fare da manuale: disinnescare il problema, sminuire la donna che alza la voce, e la “sua” battaglia (peccato che questa non sia lo schiribizzo personale di Murgia e di qualche femminista al suo seguito, ma un obiettivo fondamentale per il bene collettivo, senza distinzione di generi).

Mogol, che vuoi dirgli a uno che risponde (fonte Adnkronos):

Non sono d’accordo con le polemiche che si sono scatenate. Si deve ragionare in base ai valori espressi dalla manifestazione, in cui credo si parli di bellezza in senso generale, non penso fosse obbligatorio metterci donne, non è il criterio di scelta giusto in questa occasione. Allora se fossero state tutte donne si sarebbe parlato di scelta femminista? Non credo.

L’organizzazione adduce una giustificazione labile sul fatto che alcune donne invitate abbiano rifiutato causa Covid (ma dai? se le inviti dall’estero per forza!) e chiosa: “Nel mondo della cultura e dell’arte è indifferente l’appartenenza a un genere”.
Peccato che i numeri della discriminazione di genere (nell’arte e in tutti gli altri ambiti sociali) parlino chiaro: l’appartenenza a un genere o all’altro non è mai indifferente. 

Michele Serra dà ragione a Murgia e, a sua volta su Repubblica, in una lettera aperta all’autrice dall’epilogo infelice sin nel titolo – Cara Michela Murgia hai ragione, ma sarò al Festival della bellezza – attacca quella che sembra, a tutti gli effetti, una supercazzola: “Il problema è gravissimo e ineludibile”.

Altri tacciono. E viene il dubbio che sia meglio così.
Un po’ per tenere viva la speranza che, alla fine, qualcuno lo dica: “Io non ci sarò!”.
Un po’ perché, viste le premesse…

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