'Una donna' non vale l'altra, ma il PD è più misogino della Destra?

La destra - misogina, maschilista e conservatrice - ha saputo fare spazio attorno a una donna giovane (per lo standard politico), a ogni evidenza più regina che ancella del patriarcato e capace di ottenere il consenso e la fiducia di una società che odia le donne.

Una donna non vale l’altra, e Giorgia Meloni non può essere salutata come una vittoria femminista visto che a rompere il soffitto di cristallo è stata la donna italiana più emblematica del patriarcato. Saranno le donne e tutte le minoranze discriminate a pagare, in termini di diritti e de-emancipazione, il suo governo. Eppure, la Storia politica del nostro Paese nelle urne del 25 settembre 2022 è stata lei, prima premier d’Italia, a coniugarla al femminile; tocca riconoscerlo e farci i conti. Ogni analisi che voglia sminuire la portata politica e culturale di queste elezioni è pura bandiera, incapace di autocritica.

Il Paese reale è questo, e questo vuole. Bisogna dirlo. E, mentre il centro sinistra gioca a palleggiarsi la patata bollente della responsabilità, va detto anche che la destra – misogina, maschilista e conservatrice – ha saputo fare spazio attorno a una donna giovane (per lo standard politico), a ogni evidenza più regina che ancella del patriarcato, non subordinata ma leader rispetto ad accoliti o alleati maschi. Una donna non a caso, perché Giorgia Meloni è l’unica leader capace di ottenere il consenso e la fiducia di una società che odia le donne.

Nel frattempo la sinistra dei diritti e della parità ha parlato tanto di donne e di persone marginalizzate, di diritti da difendere e da conquistare, mentre dirimeva le beghe tra i galli del suo pollaio, senza mettere in discussione il machismo dei propri vertici.

Guardiamo ai dati delle donne in queste elezioni 2022: poco più di 4 candidati su 10 sono donne, nonostante le (o forse dovremmo dire grazie alle?) garanzie previste dall’articolo 18 bis della legge elettorale per tutelare la parità di genere; e solo il 39,6% dei capolista donna*, che si ritrovano più numerose nelle liste dalla seconda posizione in giù.

Il potere, insomma, se lo sono tenuto non saldo ma stretto nelle mani ‘leader senza leadership’, tutti maschi. Politici vecchi, se non anagraficamente, per scuola e incapacità di comprenderne le istanze di parità reale. È una folla di uomini che parla di diritti delle donne e delle soggettività marginalizzate, senza cognizione di causa e senza cedere parola alle colleghe, né porsi in ascolto delle persone interessate. Paternalismo e mansplaining, a ben vedere è stata questa la ricetta del cambiamento proposta dal PD che, a chiamarlo partito di centro sinistra oggi ci vuole coraggio: un patriarcato liberale, meno aperto alle donne di quanto non sia stato il fronte di destra.

Eppure tra le fila del PD, come tra quelle del Terzo Polo Calenda-Renzi, donne in gamba ce n’erano e ce ne sono: Elly Schlein su tutte, è già stato detto da più voci, è stata un’occasione mancata! I maschi della sinistra italiana, però, si sono astenuti dal fare gruppo attorno alle signore della politica, non per maggiori competenze ma per ego e cecità. Hanno salutano con galanteria la riapertura della Conferenza delle Democratiche, e ceduto alle donne qualche sedia quando si è trattato di correre per le amministrative o persino in un paio di gruppi parlamentari: non la leadership di coalizione e partito, quella se la sono riservata, anche in assenza di meriti, carisma e favor di popolo.

Chissà, insomma, che la sconfitta non serva a fare il PD e, più in generale, il centro sinistra; e magari pure a mandare avanti donne non solo quando c’è da incassare la sconfitta, come è avvenuto con Serracchiani: spedita a far da portavoce della Caporetto dei maschi di partito, per la prima volta in questi giorni dietro le quinte del loro ego ferito, incapaci di autocritica e responsabilità.

* Sulle donne candidate alle elezioni politiche 2022 e sulla discriminazione di genere qui.
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