Vuoi un figlio? Fingi di voler abortire, e avrai supporto economico e psicologico

Può sembrare una provocazione, e in effetti lo è. Ma il fondo "Vita nascente" stanziato dalla Regione Piemonte a supporto delle associazioni antiabortiste è il paradosso di una società che non supporta davvero la maternità, ma vuole costringere le donne a diventare madri a ogni costo.

Aggiornamento dell’8 febbraio 2024

La regione Piemonte ha annunciato che raddoppierà i fondi per l’anno 2024 per finanziare il progetto “Vita Nascente”, gestito da associazioni anti-abortisti allo scopo di intercettare e dissuadere le donne in gravidanza dall’aborto volontario, tramite l’assegnazione di un budget destinato all’acquisto di pannolini, passeggini e beni per l’infanzia, e all’organizzazione di eventi di formazione per le gestanti. Oggi come allora, l’iniziativa è promossa dall’assessore Maurizio Marrone (Fratelli d’Italia) e, rispetto ai 460 mila euro previsti dal 2022 (e di cui si dà conto e dettaglio nell’articolo che segue), si passa quindi ai 940 mila euro di soldi pubblici stanziati per il 2024.

La notizia ripropone quindi la questione argomentata di seguito in occasione del finanziamento del 2022. In particolare:

L’impiego di soldi pubblici in attività e associazioni espressamente contrarie al diritto all’aborto sancito dagli italiani e dalle italiane nel 1978, e ribadito nel NO al referendum abrogativo del 1981, si configura a tutti gli effetti come una grave violazione delle libertà individuali, e radicalizza il paradosso di una società che non supporta la maternità, ma vuole costringere le donne a diventare madri a ogni costo, anche e soprattutto quando non vogliono.

Soldi peraltro arbitrariamente sottratti alla costruzione di un reale sistema di welfare che sia volto a supportare le donne che scelgano o desiderino diventare madri, spesso senza poterlo fare, al di là delle ideologie. Ché poi resta l’unico modo per affrontare davvero la questione della natalità in Italia, con uno sguardo a lungo termine.


Articolo originale del 12 ottobre 2022
A differenza di come comunicato da molte testate e per essere precisi, il Fondo “Vita nascente” – indirizzato a organizzazioni e associazioni operanti nel settore della tutela materno infantile, tra cui figurano associazione antiabortiste contrarie ai diritti riproduttivi – era già stato approvato dal Consiglio Regionale del Piemonte ad aprile 2022. A passare a maggioranza, lunedì 10 ottobre, è stata la bozza della delibera attuativa, cioè il documento che esplicita e regola i criteri di accesso al finanziamento come previsto dalla legge di bilancio. Promosso dall’assessore Maurizio Marrone (Fratelli d’Italia), il Fondo “Vita nascente” è cioè ora operativo, con lo scopo dichiarato di “promuovere il valore sociale della maternità e sostenere le gestanti e le neomamme”.

Nel dettaglio, la delibera prevede uno stanziamento per il 2022 di 460 mila euro di soldi pubblici, così suddivisi:

  • 60 mila euro ai Comuni di Torino e di Novara e ai Consorzi Cissaca di Alessandria e Csac di Cuneo, in quanto “soggetti gestori delle funzioni socio-assistenziali individuati dalla delibera di Giunta 22-4914/2006*;
  • 400 mila euro a “progetti presentati da enti del Terzo settore iscritti agli elenchi approvati dalle Asl per azioni quali: ascolto e consulenza attraverso la presenza nei presidi sanitari; supporto alle donne in attesa per accompagnarle in una scelta individuale consapevole; progetti di sostegno alle mamme sia di natura economica sia attraverso la fornitura di beni di prima necessità; percorsi di sostegno psicologico individuale e di gruppo e di accompagnamento di auto mutuo aiuto” (dal comunicato stampa diffuso dal Consiglio Regionale del Piemonte in data 10 ottobre 2022).

In pratica, le associazioni iscritte a questi elenchi sono autorizzate a “cercare di convincere” la donna che ha deciso di abortire a proseguire la gestazione e diventare madre, in cambio un contributo economico, eventuali donazioni di alcuni beni tipo passeggini, carrozzine, seggiolino auto, pannolini, eccetera, e percorsi di supporto psicologico volti, non all’autodeterminazione della donna, quanto all’obiettivo del figlio.

Non è la prima volta che le associazioni apertamente contrarie al diritto all’aborto ottengono ruoli e/o beneficiano di soldi pubblici, all’interno di amministrazioni nella maggior parte dei casi, ma non in tutti, di centro destra: perché sia chiaro che il tema dell’autodeterminazione riproduttiva non è un diritto così indiscutibile neppure per la sinistra, spesso tiepida nell’opposizione e comunque predisposta a una narrazione retorica e sempre dolorosa dell’interruzione di gravidanza.

Gli episodi, in ogni caso, sono molteplici. Nel settembre 2020, per esempio, avevo documentato in questo articolo la mozione consigliare “Sostegno alla Vita Nascente” approvata durante il Consiglio comunale di Iseo, in provincia di Brescia, dalla maggioranza guidata dal sindaco Marco Ghitti (Fratelli d’Italia) in assenza dell’opposizione, che aveva abbandonato l’aula per protesta. Allo stesso modo, la vicenda mai conclusa dei Cimiteri dei feti dimostra come, in tutta Italia, i movimenti pro-life siano attivi nei luoghi della salute pubblica, con la complicità o il benestare della pubblica amministrazione e della politica tutta, a ogni evidenza mai davvero laiche e indipendenti.

L’impiego di soldi pubblici in attività e associazioni espressamente contrarie al diritto all’aborto sancito dagli italiani e dalle italiane nel 1978, e ribadito nel NO al referendum abrogativo del 1981, si configura a tutti gli effetti come una grave violazione delle libertà individuali, e radicalizza il paradosso di una società che non supporta la maternità, ma vuole costringere le donne a diventare madri a ogni costo, anche e soprattutto quando non vogliono.

I dati, e le loro conseguenze, sono a disposizione di chiunque voglia leggerli con onestà, senza dover per forza metterci sopra la lente della propria ideologia. Con una media di 1,3 figli per donna (a fronte del tasso di mantenimento della popolazione a 2,1), il tasso di fertilità italiano è tra i più bassi d’Europa: un fenomeno destinato a far saltare il nostro sistema welfare nel prossimo futuro. Al tempo stesso, studi come Non è un Paese per madri (Laterza, 2022) della demografa Alessandra Minello, ci dicono che oltre la metà degli italiani sarebbe felice di avere almeno due figli, se potesse, e che se è vero che la scelta childfree volontaria cresce a livello globale, essa riguarda in Italia meno di due donne su 10: per le altre, la non maternità non è una scelta, e spesso è una condizione subita per mancanza di mezzi o compatibilità tra progetti lavorativi e familiari.

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare a questo punto, però, tale scenario socio-demografico, oltre a non poter diventare l’alibi per la violazione dei diritti riproduttivi e della dignità delle donne e delle persone con utero, non beneficia in alcun modo di iniziative come il Fondo “Vita nascente” che, invece di utilizzare i soldi pubblici per una politica integrata che supporti la volontà riproduttiva delle molte donne e persone messe in condizione di non procreare, giocano la carta della morale pro vita, antiabortista e di una gratificazione immediata e ricattatoria, quanto insufficiente sia alla crescita psico fisica del bambino che si pretende ‘salvato’, sia a sostenere i suoi genitori.

L’attività delle associazioni pro vita, a ben vedere, non si configura ‘solo,’ né sarebbe cosa di poco conto, come pratica vessatoria che colpevolizza di nuovo le donne e pretende di monitorarne corpi; ma è nei fatti un modo arbitrario di gestire i soldi pubblici per tamponare e controllare singole situazioni, senza generare un sistema virtuoso e connesso di politiche sociali, economiche e del lavoro in grado rendere questo Paese un po’ più a misura delle donne che vogliano essere madri. E dei padri: i perenni dimenticati di questo discorso, ma senza i quali è difficile che noi donne ci si trasformi tutto d’un tratto in incubatrici di bambini, felici di procreare due o tre figli a testa in cambio di qualche bolletta pagata o di un passeggino nuovo. La provocazione del titolo Vuoi un figlio? Fingi di voler abortire, e avrai supporto economico e psicologico, per quanto appunto sia tale, illustra una possibilità non così remota in un contesto non normato e strutturato.

Al netto di legittime (tocca ribadirlo, perché lo stigma persiste!) scelte childfree e del diritto (in pericolo!) di ricorrere all’aborto, anche limitandosi a indagare la questione dal punto di vista delle donne che vorrebbero ma non possono ‘permettersi’ un figlio, la soluzione non sta in irrisori fondi per la vita nascente: mancano i servizi per l’infanzia e, laddove ci sono, sono inaccessibili a livello economico, per capienza ridotta o insufficienti a livello orario; i congedi parentali sono iniqui, e continuano a veicolare il messaggio che i figli sono ‘responsabilità delle donne’; il mercato del lavoro instabile offre retribuzioni basse a fronte di poche o nessuna garanzia.

La divisione dei ruoli sulla base del sesso biologico attuale è ferma al primo Dopoguerra italiano, quando ancora la società poteva illudersi – ed era già in errore – di confinare di nuovo le donne in casa a fare figli, possibilmente tanti, per il lavoro e per la patria. Finché il sistema Paese continuerà a scaricare sulla donna oltre l’80% del lavoro non retribuito di cura e assistenza, finché la ripartizione dei ruoli non cesserà di essere sessista; finché parità di accesso al lavoro, alla carriera e equità di retribuzioni non saranno solo proclami ma realtà oggettive; finché non saranno attuate politiche di supporto alla genitorialità e alla crescita dei figli strutturali e sistemiche, il tasso di natalità italiano non tornerà a crescere.

Noi donne non ci rimetteremo a far figli per senso di responsabilità nei confronti di uno Stato che, quando diventiamo madri – ma anche se non facciamo figli – ci discrimina e ci penalizza e, in quanto donne e quindi potenziali procreatrici, ci considera percentuali di scarto nella logica improntata alla produttività e alla performance. Fare figli, a differenza di un tempo in cui serviva manodopera fuori e dentro i campi, non è più necessario, ed è un costo economico e sociale che spesso, anche quelle di noi che vorrebbero, non possono permettersi.

Di certo non ci metteremo a fare figli per qualche centinaio di euro o una fornitura di pannolini; né perché qualcuno si sarà adoprato per lasciarci senza alternative, sperando di costringerci a partorire. Abbiamo sempre abortito, anche quando il Codice Rocco ci vietava il controllo delle nascite in quanto “attentato all’integrità della stirpe”; abortivamo anche prima. Continuano ad abortire le donne in quelle parti del mondo in cui l’interruzione di gravidanza non è, o non è più, un diritto. Continueremo a farlo anche qui, ma farlo in sicurezza è un nostro diritto.

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!
  • Senza palle