Giorgia Meloni ci spiega, di nuovo, che se non siamo madri siamo donne incomplete

La risposta di Meloni alla domanda sulla "maternità come massima aspirazione" lancia un messaggio problematico perché tracima la legittima difesa dell'operato del proprio governo, e mostra uno scollamento dal Paese reale in nome della retorica e dell'ideologia maternalista, di cui questo governo ha fatto una bandiera.

Giorgia Meloni oggi ci ha spiegato, di nuovo, che se non siamo madri valiamo un po’ meno.
O comunque, in assenza di maternità, siamo donne monche, prive di quel “qualcosa che – la citazione è testuale – nessun altro traguardo ti può regalare”.

Affinché non si dica che abbiamo frainteso o decontestualizzato le sue parole, il contesto è quello della conferenza stampa a Montecitorio, tenutasi solo oggi dopo che la premier è stata costretta, per motivi di salute, a rimandare per due volte il tradizionale appuntamento di fine anno con i giornalisti, in programma prima il 21 dicembre, poi il 28.

Quanto alle parole, quella che segue è la trascrizione pedissequa di quelle scelte e pronunciate da Meloni in risposta alla domanda, riportata altrettanto fedelmente:

Hanno suscitato polemiche le parole della senatrice di Fratelli d’Italia Lavinia Mennuni che ha detto che la prima aspirazione delle ragazze deve essere diventare madri. Lei che ne pensa, è d’accordo?

Risposta della premier:

Ma guardi allora, intanto io ho sentito molto spesso polemiche su frasi di questo genere, anche su cose che ho detto io in passato, su quello che ha detto il ministro Roccella… Riguardo la dichiarazione alla quale lei fa riferimento, io non so dirle se la parola aspirazione sia una parola giusta, però posso dirle una cosa.
Io sono Presidente del Consiglio dei Ministri, sono forse la donna considerata oggi – che potrebbe diciamo temporaneamente (essere) considerata – tra le più affermate in Italia, e se lei mi chiedesse cosa scegliere tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri e mia figlia Ginevra, io non avrei dubbi. Come qualsiasi altra madre. Perché? – per questo dico non so se aspirazione sia la parola giusta… – Perché la maternità ti regala qualcosa che nessun altro traguardo ti può regalare!

Se, come dice Meloni, nessun altro traguardo può equiparare l’esperienza della maternità, va da sé che la donna che non è madre è, nel migliore dei casi, un’incosciente sciagurata, qualora abbia scelto di non avere figli; diventa invece una poverina da compatire, se l’essere senza figli non è stata una sua scelta ma condizione subita. Stando alla narrazione unica data da Meloni, anzi, la sua sarebbe la condizione più infelice di tutte.

Senza possibilità di esaurire qui tutti i temi, di fronte a una semplificazione tanto discriminatoria, è quanto meno doveroso l’invito ad alcune riflessioni; qui presentate sotto forma di domanda?

  1. Quanto il racconto dell’infertilità come massima sciagura per una donna, amplifica il dolore stesso delle donne childless e le priva degli strumenti per elaborare una possibilità tutt’altro che rara?
    Si stima infatti che nel mondo siano 186 milioni gli individui e 48 milioni le coppie sterili (il 15% di quelle in età fertile).
  2. Quanto, in assenza di narrative diversificate, le donne che apprendono di non poter avere figli – in genere tra i 25 e i 35 anni, dopo aver passato tutta la propria esistenza a prefigurarsi come madri e/o a viversi come potenziali tali sin da bambine, secondo aspettativa sociale – sono indotte alla disperazione?
    La scienza parla di trauma riproduttivo, equiparabile: le donne che si scoprono infertili tendono a sviluppare forme di depressione e stress gravi, simili a quelle delle persone con HIV o cancro.
  3. Quanto il contesto maternalista che guarda con compassione alle donne childless – senza figli non per scelta – delegittima le donne childfree, ma anche le altre esperienze di infertilità sociale, ovvero le storie, le motivazioni e le istanze di tante di noi che, pur essendo fertili e desiderando uno o più figli, non possono averne?

A questo punto del discorso, Meloni introduce un’altra osservazione fortemente problematica:

Se il concetto è questo lo condivido. Qual è il concetto che non condivido? Il concetto che io non ho condiviso, non condivido e non condividerò mai è che un traguardo debba toglierti l’opportunità dell’altro.
Cioè, molto spesso quando io mi sono occupata e quando ci siamo occupati di politiche per la maternità e per la natalità ci è stato detto: le politiche per la maternità e per la natalità sono nemiche del lavoro delle donne. Non lo accetto. E il modello non sono io! Guardi, si citava prima Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea: sette figli; Roberta Metsola, Presidente del Parlamento europeo: quattro figli. Si può fare, si può fare.
Allora qual è il messaggio che secondo me va dato? Il messaggio che secondo me va dato è: non c’è bisogno di rinunciare una cosa per un’altra, fai tutte le scelte libere della tua vita…

Segue un elenco di strumenti e provvedimenti intrapresi dal governo nell’anno trascorso (dai fringe benefit figli a carico agli asili nidi gratis dal secondo figlio in poi)  che, secondo la premier, dovrebbero mettere le donne in condizioni di figliare spensierate.
Il messaggio di Meloni è, di nuovo, problematico perché tracima la legittima difesa dell’operato del proprio governo, e mostra uno scollamento dal Paese reale in nome della retorica e dell’ideologia maternalista, di cui questo governo ha fatto una bandiera.

A questo proposito, alcuni recenti dati ci dicono che:

  1. Una donna su cinque lascia il lavoro dopo la maternità.
    – dal dossier “Occupazione femminile” del Servizio studi della Camera
  2. Nel 2022 si sono dimessi 61mila neo-genitori: il 73% sono donne.
    Il 63% delle neo mamme si è dimessa per l’incompatibilità tra casa e lavoro.
    Per gli uomini, invece, la motivazione principale è il passaggio a un’altra azienda.
    – dati Ispettorato Nazionale del Lavoro, 2023
  3. Oltre la metà degli italiani sarebbe felice di avere almeno due figli, se potesse.
    – Alessandra Minello, Non è un Paese per madri, Laterza, 2022

La realtà dei dati ci dice che il problema della denatalità non è da ascriversi a un inedito desiderio delle donne di non avere figli – cosa vera solo per due donne su dieci in Italia (sempre Minello, 2022) – bensì al fatto che la maternità è, dipende dai punti di vista, un privilegio (per poche!) e una rinuncia inevitabile ma dolorosa ad altri ‘traguardi’ (per tante!). Né si tratta, per le donne che vorrebbero uno o più figli, di ridimensionare aspettative o velleità di carriera, bensì di rinunciare all’indipendenza economica minima e necessaria per garantire a se stesse e all’eventuale prole una vita dignitosa. Perché, ricordiamolo, la dipendenza economica dal partner è strettamente legata alla violenza di genere, nonché uno dei principali fattori che trattengono le donne nelle case con i propri abuser.

È chiaro che la Presidente del Consiglio non possa ignorare questi dati, se non colpevolmente, e cioè ai fini della propaganda maternalista e riproduttiva, che la allinea ai discorsi delle già citate Mennuni e Roccella e alle scelte definite provita, in realtà anti-choice, del suo governo.

Infine Meloni chiude, con la solita vis da guerriera italiana, donna, madre, cristiana:

Io voglio smontare il racconto che se tu metti al mondo un bambino ti precludi altre possibilità, che in parte è un racconto in parte no, perché è vero che le donne sono ancora troppo discriminate soprattutto per il fatto di essere potenziali madre o madri, quindi io voglio lavorare su questo perché non accetterò mai di piegarmi all’idea che la maternità debba diventare nemica di altre possibilità che hai nella vita. Nient’altro di quello che puoi fare nella vita secondo me ti può regalare le emozioni che ti regala la maternità, ma questo non deve precluderti tutti gli altri traguardi che vuoi portare avanti: questo è quello per cui io lavoro e questo è diciamo anche dimostrato da quello che in questo anno il governo ha portato avanti.

In questa risposta, riportata qui per intero, c’è tutto:

  • il privilegio che elegge modelli performativi e si camuffa sotto la retorica del merito e del se vuoi puoi;
  • la colpevolizzazione di chi non ce la fa;
  • lo scollamento dalla realtà delle donne, che è fatta di desideri di maternità o di non maternità, diversi ma altrettanto legittimi, e di bisogni, ugualmente disattesi;
  • il frazionamento tra le brave madri di famiglia, le poverine a cui è preclusa la gioia più grande e le sciagurate che, possono, ma non vogliono figli (ché divide et impera è la vecchi ma sempre buona lezione patriarcale per opprimere le donne!).

C’è persino quel ribadire orgoglioso 

Sono forse la donna considerata oggi tra le più affermate in Italia 

di chi si fa chiamare il Presidente del Consiglio dei Ministri, di cui verrebbe voglia di ridere come di uno strafalcione grammaticale, se non fosse l’infelice bandiera di chi pensa che una donna al potere debba maschilizzarsi, amministrare la res publica come se fosse un uomo e stare attenta a tenere a basa il suo essere donna, amministrando le istanze delle donne con paternalismo patriarcale.
Come un uomo. 

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