*** Aggiornamento del 4 maggio 2021 ***

Anche la Suprema Corte di Cassazione conferma la pena che la Corte d’Appello bis ha stabilito nei confronti di Antonio Ciontoli, accusato di omicidio volontario con dolo eventuale per la morte di Marco Vannini e perciò condannato a 14 anni di carcere.

La Corte si è espressa in via definitiva sul caso del ventenne di Cerveteri ucciso, nella notte tra il 17 e il 18 maggio del 2015, da un colpo di pistola mentre si trovava nella villetta dei genitori della fidanzata, ponendo di fatto fine a un caso giudiziario che per anni ha riempito le pagine di cronaca dei media, soprattutto perché, nel secondo grado del primo processo, la pena di Ciontoli era stata diminuita da 14 a 5 anni, suscitando numerose proteste.

Assieme a lui vengono condannati la moglie Maria Pezzillo e i figli, Federico e Martina (fidanzata di Marco), tutti a nove anni e quattro mesi, con l’accusa di concorso anomalo in omicidio volontario. Secondo quanto si legge nelle motivazioni della sentenza, la morte di Marco sarebbe stata evitabile se i Ciontoli avessero allertato subito i soccorso senza dire il falso.

Marina Conte, mamma di Marco che per anni si è battuta per avere giustizia per suo figlio, e Valerio Vannini hanno accolto la sentenza con molta commozione.

Non finirà qua – ha detto Marina – io continuerò a portare in alto il nome di mio figlio, magari aprendo un’associazione per poter aiutare i giovani. Gli hanno levato la dignità in quella casa: dire che mio figlio faceva il bagno davanti a mio suocero vuol dire questo. Marco è stato spogliato di dignità. La scorsa settimana me lo sono sognato: mi diceva ‘mamma andrà tutto come deve andare’. Non l’ho detto neanche a mio marito. Era bello, stava al mare. Ci siamo battuti per 6 anni, la paura c’è sempre, ma ci abbiamo creduto fino alla fine.

Nella serata del 3 maggio, dopo la sentenza, i Ciontoli, secondo i loro legali, si sarebbero costituiti in carcere.

Nell’articolo originale, che riportiamo, abbiamo ripercorso la storia di Marco partendo proprio da quella sentenza della Corte d’Appello nel processo bis che ha permesso di arrivare alle condanne definitive.

*** Articolo originale del 30 settembre 2020 ***

È finalmente arrivata quella giustizia che Marina Conte e Valerio Vannini aspettavano da cinque anni, quella per la morte del loro unico figlio Marco, ucciso da un colpo di pistola partito mentre si trovava a casa dei genitori della fidanzata.

I giudici del processo di appello bis, deciso dalla Cassazione dopo le sentenze contrastanti dei due gradi di giudizio nel primo procedimento, hanno infatti condannato a 14 anni Antonio Ciontoli, suocero di Marco e sottufficiale della Marina Militare, ovvero colui che effettivamente sparò il colpo, ma anche i figli, Martina (fidanzata del ragazzo) e Federico, e la moglie, Maria Pezzillo, a 9 anni e 4 mesi. L’accusa è, rispettivamente, di omicidio volontario con dolo eventuale per Ciontoli (quindi non più omicidio colposo), e di omicidio volontario anomalo per gli altri membri della famiglia, tutti presenti in quella tragica notte tra il 17 e il 18 maggio 2015 quando Marco moriva nella vasca da bagno di casa Ciontoli, dove si trovava, dopo essere stato raggiunto dallo sparo.

È una sentenza, questa, che come dicevamo rappresenta una vittoria per Marina, che dal primo momento si è battuta affinché fosse data giustizia a suo figlio, dopo la beffa del secondo grado nel primo processo; in quell’occasione, infatti, la pena di Ciontoli era stata ridotta dai 14 anni stabiliti in primo grado a 5, per omicidio colposo. Proprio la mamma di Marco ha espresso la sua gioia in seguito alla lettura della nuova sentenza nel dibattimento bis.

È una grande emozione, finalmente dopo più di cinque anni siamo riusciti a ottenere quella giustizia che aspettavamo. Finalmente è stato dimostrato quello che era palese fin dall’inizio. Se fosse stato soccorso subito Marco sarebbe qui. La giustizia esiste e per questo non dovete mai mollare.

Marina ha anche aggiunto di aver sempre sperato di arrivare a questo giorno:

Ci confidavo, perché la famiglia Ciontoli dice che noi avevamo sete di vendetta, ma non è vero; io non ho mai avuto sete di vendetta, io volevo soltanto la giustizia. All’inizio volevo giustizia e verità, purtroppo quella se l’è portata dietro Marco. Io speravo nella giustizia, sono stati lunghi cinque anni. Da domani inizierò a vivere con più serenità, perché finora il lutto mio e di Valerio è stato sempre aggravato dalla ricerca di giustizia per Marco. Da domani potrò portargli finalmente quel mazzo di fiori che da cinque anni gli avevo promesso, e potremo cominciare a elaborare il lutto con più serenità, perché finalmente la giustizia ha fatto il suo corso.

Anche il padre di Marco, Valerio, molto commosso all’uscita della Corte d’Assise di Appello di Roma, ha rilasciato una dichiarazione a commento della sentenza:

Gli anni di condanna sono una cosa relativa, a noi interessava l’accusa di omicidio volontario, io ho sempre sostenuto che il colpo di pistola ha ferito Marco, ma la morte l’hanno causata loro [i Ciontoli, ndr.], non soccorrendolo, nonostante le urla strazianti di mio figlio che tutti abbiamo sentito grazie alle registrazioni. Loro hanno pensato a far tutto, meno che a soccorrere Marco.

Non abbiamo usato i media [si riferisce alle accuse di Ciontoli ai Vannini di aver sfruttato gli organi di informazione, ndr.], ma visto che sono la voce del popolo sono rimasti scandalizzati di fronte alle evidenze. Quando hanno cominciato a uscire registrazioni, interecettazioni, la gente ha cominciato a scandalizzarsi, quello ha fatto clamore, perciò noi non abbiamo usato nessuno, nessuno ha usato noi.

Dura anche la replica a Ciontoli che, in aula, chiedendo perdono ha affermato “So di non essere la vittima ma il solo responsabile di questa tragedia. Sulla mia pelle sento quanto possa essere insopportabile, perché innaturale, dover sopportare la morte di un ragazzo di vent’anni, bello come il sole e buono come il pane

Ciontoli ha chiesto scusa, come ha fatto nelle precedenti sentenze – ha dichiarato Valerio Vannini – Ma le scuse Antonio me le doveva fare se avesse portato Marco all’ospedale e ci avesse chiamato subito, indipendentemente da come sarebbe poi andata a finire. Non mi può chiedere perdono cinque anni dopo, solo perché è a processo.

Gli fa eco la moglie:

Ciontoli ha chiesto perdono? Deve chiedere perdono a se stesso.

Le motivazioni della sentenza lette dal procuratore generale Vincenzo Saveriano puntano proprio a condannare soprattutto i gravissimi ritardi nell’allertare i soccorsi – l’ambulanza, secondo le ricostruzioni, è stata chiamata due ore dopo che lo sparo era partito, mentre Marco si lamentava per il dolore -, il cui intervento tempestivo avrebbe invece potuto, forse, salvare la vita al ventenne.

Tutti i soggetti sono rimasti inerti, non hanno alzato un dito per aiutare Marco. Un pieno concorso, una piena consapevolezza di quello che voleva fare Antonio Ciontoli e cioè di non fare sapere nulla dello sparo. Tra la vita di Marco e il posto di lavoro del capofamiglia, hanno scelto la seconda cosa.

Quest’ultima frase di Saveriano si riferisce alla testimonianza del primo medico intervenuto sul posto quella sera, al quale Ciontoli avrebbe detto: “Guarda se adesso devo perdere il posto di lavoro”.

In gallery abbiamo ripercorso le tappe principali di questa dolorosa vicenda, in attesa di sapere se gli avvocati dei Ciontoli decideranno di ricorrere in Cassazione.

"Poteva salvarsi": la Cassazione conferma le condanne per la morte di Marco Vannini
Fonte: web
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