Tra i tanti orrori che la seconda guerra mondiale ha lasciato sulle spalle dell’umanità, il genocidio ebraico è stato senza dubbio il più forte, quello che ha sconvolto un intero continente e lasciato cicatrici indelebili nella memoria di chi all’Olocausto è riuscito a sopravvivere, ma anche in chi quei momenti li ha vissuti indirettamente, assistendo alle deportazioni, vedendosi portare via cari, amici, conoscenti, o entrando in quei campi di concentramento dove milioni di persone hanno trovato la morte.
Non dobbiamo però scordare che anche fuori dai confini europei innumerevoli barbarie sono state portate avanti in nome di motivi etnici e razziali e, se la bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki è stata la tragedia più nota che ha coinvolto il Sol Levante nel secondo conflitto mondiale, non si può però dimenticare il dramma che le popolazioni cinesi e coreane, oppresse dal colonialismo giapponese, hanno vissuto in quegli anni.
Da qualche tempo ormai i ricercatori guidati dal professor Kang Sung-hyun della Seoul National University hanno portato alla luce la terribile storia delle comfort women, le schiave del sesso costrette dall’esercito giapponese a diventare prostitute, pronte a soddisfare i bisogni dei soldati. Più di 200 mila donne libere, testimoniano i dati raccolti, sono state ridotte in schiavitù durante gli anni della seconda guerra mondiale.
E, negli anni successivi, con la ricostruzione, lo sviluppo economico asiatico, e la separazione delle due Coree, la strage di queste donne è passata sotto silenzio, costantemente negata dal governo nipponico, che ha cercato di suggellare un tacito accordo con Seul pagando più di 8 milioni di dollari per insabbiare di nuovo questa tremenda pagina nera della storia giapponese.
La lotta per la giustizia e la verità è stata portata avanti proprio da loro, dalle comfort women, le reduci di quei terribili anni vissuti come schiave sessuali: dal 1991, per ogni mercoledì molte di loro hanno protestato davanti all’ambasciata giapponese. In tutto, come riporta il New York Times, 239 donne si sono fatte avanti. Solo 23 oggi sono ancora vive, la maggior parte di loro ha 90 anni o più. E proprio in questi giorni è venuta a mancare uno dei simboli della battaglia di giustizia delle comfort women: Kim Bok-dong, scomparsa il 28 gennaio a 92 anni.
Per tutta la vita, dopo l’esperienza da comfort woman, cui è stata costretta appena quattordicenne, Kim ha contribuito a portare l’attenzione internazionale sulla sofferenza che migliaia di donne come lei hanno sopportato: è stata una delle prime a rompere il silenzio sulla vicenda, ed è diventata una rappresentante di tutte le donne che durante la guerra erano state ridotte in schiavitù.
Si è scagliata contro il premier giapponese, Shinzo Abe, persino negli ultimi giorni prima di morire, colpevole di non voler ammettere la verità e di denunciare finalmente l’orrendo crimine compiuto dal suo esercito durante l’imperialismo e la guerra.
In gallery, abbiamo raccontato meglio la sua storia e quella delle altre comfort women, che ancora oggi cercano giustizia, attraverso la voce delle sopravvissute, o dei loro parenti.
Aveva il cancro
Kim Bok-dong si è spenta il 28 gennaio al Severance Hospital di Seul, a 92 anni. Era malata di cancro.
Yoon Mi-hyang, la presidente del Consiglio coreano per la giustizia e il ricordo, un gruppo di difesa per le donne sudcoreane costrette a lavorare nei bordelli giapponesi, che ne ha annunciato la morte, ha riferito che l’ultima parola udibile pronunciata da Kim prima di morire è stata una parolaccia che esprimeva la sua forte rabbia nei confronti del governo giapponese, colpevole di non aver mai riconosciuto lo scempio compiuto sulle comfort women.
Ha lottato per anni per la giustizia
Fino ai suoi ultimi giorni, Kim ha chiesto che il Giappone pagasse per quanto ha fatto alle donne cinesi e coreane durante la seconda guerra mondiale. Quando i giornalisti le hanno fatto visita in ospedale, ha accusato il governo del primo ministro Shinzo Abe di non voler ammettere le proprie colpe.
Negli anni è stata la rappresentante e il simbolo delle comfort women che, dal 1991, sono uscite allo scoperto.
Nel 2018, Kim ha lasciato il suo letto d’ospedale su una sedia a rotelle inscenando una protesta di fronte agli uffici della fondazione aperta con i quasi 9 milioni di dollari pagati dal governo giapponese alla Corea.
Non ha mai mollato
La signora Yoon ha detto che alcune delle sorelle della signora Kim erano sopravvissute, ma che non era sicura di quante fossero.
Con la sua morte, Kim ha deciso di lasciare tutti i suoi risparmi, insieme a tutti i risarcimenti che potrebbe ricevere postumi dal Giappone, a un fondo che ha contribuito a creare per le donne di tutto il mondo che hanno subito violenza sessuale durante la guerra.
Il ricordo di ciò che le è stato fatto non le ha permesso di vivere una vita felice
Per anni anche la Corea ha mantenuto il massimo riserbo sulle comfort women, che hanno iniziato a uscire allo scoperto solo nel 1991, poco dopo che la Corea del Sud ha iniziato a passare dalla dittatura militare alla democrazia. Quell’anno, una donna di nome Kim Hak-sun è stata la prima a identificarsi pubblicamente come una delle cosiddette donne di conforto. Kim Bok-dong ha seguito l’esempio nel 1992.
La ragione per cui abbiamo combattuto per tutti questi anni non sono i soldi – ha detto Kim a un intervistatore radiofonico nel 2016 – Quello che vogliamo è una sincera scusa e risarcimenti legali dal Giappone che aiutino a ripristinare il nostro onore.
Yoon la descrive come una donna infelice, che fumava molto; Kim non si è mai sposata, né ha avuto figli.
“Non ho mai conosciuto l’amore nella mia vita”. ha detto una volta.
Il suo funerale si celebrerà il 1° febbraio, e gli organizzatori hanno detto che il corteo funebre passerà davanti all’ambasciata giapponese
È diventata schiava a soli 14 anni
Quando aveva 14 anni, il Giappone era in guerra in Cina, e Kim è stata arruolata da funzionari giapponesi, che le hanno detto che avrebbe lavorato in una fabbrica di abbigliamento e che la sua famiglia avrebbe sofferto se avesse rifiutato, come lei stessa ha raccontato in numerose interviste. Ma in realtà è stata costretta a fare sesso con i soldati nei bordelli militari in Cina, e successivamente a Hong Kong, in Malesia, Indonesia e Singapore, fino alla fine della seconda guerra mondiale nel 1945.
Nei giorni feriali, dovevo prendere 15 soldati al giorno- ha raccontato una volta, come riporta il NYT – sabato e la domenica erano più di 50. Siamo state trattate peggio delle bestie.
Quando è tornata in Corea del Sud dopo la guerra, la signora Kim ha nascosto il suo passato per la vergogna, come la maggior parte delle altre ex schiave, raccontando la verità solo nel 1992.
Chi erano le comfort women
Si stima che circa 200.000 ragazze, provenienti dalla Corea e da altri paesi asiatici, furono costrette alla schiavitù sessuale durante la guerra.
È stato un filmato, risalente al settembre 1944 e realizzato a Songshan, nello Yunnan, dalle forze alleate sino-americane impegnate a combattere l’occupante giapponese, rinvenuto dagli studiosi della Seoul National University, a riportare a galla l’esistenza di queste donne, che dal 1991 hanno portato avanti una protesta davanti all’ambasciata giapponese a Seul, affinché il governo nipponico riconoscesse lo scempio perpetrato dal suo esercito durante il secondo conflitto mondiale.
Il negazionismo giapponese
Il Giappone ha sempre respinto le richieste delle donne per ricevere le scuse formali e le riparazioni, asserendo che tutte le richieste derivanti dall’era coloniale sono state risolte nel 1965, quando il Giappone pagò alla Corea del Sud 300 milioni di dollari in aiuti come parte di un accordo che stabiliva l’inizio delle relazioni diplomatiche tra due paesi.
La lotta delle comfort women va avanti, anche senza Kim
Nel 2015 è stato siglato un accordo tra il governo del signor Abe e quello di Park Geun-hye , un presidente sudcoreano successivamente incriminato, che avrebbe dovuto rappresentare una soluzione “definitiva e irreversibile” della questione: in base all’accordo, il Giappone si è scusato con le donne e ha ammesso la responsabilità per le loro sofferenze, pagando poco meno di 9 milioni di dollari per una fondazione destinata a prendersi cura dei sopravvissuti negli ultimi anni.
Ma la signora Kim e altre ex schiave hanno sostenuto che l’accordo non valesse le riparazioni ufficiali. La questione, quindi, anche con la morte di Kim, è tutt’altro che chiusa.
Cosa ne pensi?