Solo qualche giorno fa parlavamo della morte sospetta di Daniela Carrasco, “El mimo”, trovata impiccata alla recinzione di un parco in un quartiere di Santiago, in Cile, dove dal 14 ottobre una protesta popolare di dimensioni immani ha dato il via a una vera e propria guerriglia urbana contro il presidente Piñera.
Ma il bollettino di guerra che arriva dal Paese sudamericano oggi ci costringe a parlare di un’altra morte che lascia, per usare un eufemismo, più di una perplessità, quella di Albertina Martinez Burgos, fotografa che secondo molti era impegnata proprio a documentare il clima infernale che si respira nelle strade della capitale e di gran parte del Cile in questi giorni di rivolta.
Ne hanno parlato molti media, locali e internazionali, ne ha parlato ancora il collettivo Ni Una Menos, secondo cui è inconfutabile che dietro la morte di Albertina ci sia, proprio come nel caso di Daniela, la mano della polizia cilena, impegnata a sopprimere la sommossa mirando soprattutto alle donne.
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Albertina stava documentando la situazione in Cile – si legge nel post Instagram del movimento femminista – partecipando attivamente come fotografa alle manifestazioni. Ha documentato la violenza contro le giornaliste e le comunicatrici. Esigiamo di sapere le cause della sua morte, e che venga spiegato perché il suo computer e la sua macchina fotografica non sono stati ritrovati in casa al momento del ritrovamento del cadavere.
Sembrerebbe che Albertina sia stata picchiata e pugnalata nel suo appartamento nel centro di Santiago, e che sia stata ritrovata nella giornata di giovedì 21 novembre dalla madre, allertata dal ragazzo della figlia, che non riusciva a mettersi in contatto con Albertina. È vero che nell’abitazione non sono stati rinvenuti né il pc usato dalla ragazza, né la sua macchina fotografica, tuttavia a gettare acqua sul fuoco sulle circostanze della sua morte pare essere proprio la cerchia di persone vicine a lei, come testimoniato da una story pubblicata su Instagram e riportata dalla giornalista cilena Andrea Aristegui.
Siamo compagni e amici di Albertina – si legge nel post – Vogliamo chiarire che ufficialmente non ci sono informazioni sulla sua morte. Nel contesto in cui ci troviamo sappiamo che la marcia di giovedì 14 novembre è stata la prima a cui abbia partecipato, e sappiamo che la nostra cara Bety aveva un po’ paura di assistere alle marce, quindi vogliamo chiarire che Albertina non documentava attivamente le manifestazioni. Chiediamo rispetto per la sua famiglia, i suoi amici e colleghi. In attesa di avere giustizia per la nostra amica.
Nonostante le parole dei familiari, che smentirebbero la partecipazione attiva di Albertina alle sommosse come reporter e spiegherebbero che quella del 14 novembre sarebbe stata la prima marcia che avrebbe documentato, il procuratore Débora Quintana, della procura della North Central, sarebbe in attesa dei risultati dell’autopsia ma, come spiegato in questo articolo, starebbe comunque “chiaramente indagando su un presunto omicidio”.
È chiaro che quella di Albertina è un’altra morte su cui pende più di un dubbio e su cui c’è da sperare venga fatta chiarezza; ed è altrettanto chiaro che, proprio come per Daniela Carrasco, anche sulla scomparsa della fotografa pesa la consapevolezza del contesto difficile in cui si trova il Cile in questo momento e il clima generale di violenza, che rende davvero complesso distinguere la verità e comprendere se si tratti di un moto di odio contro le donne o se Daniela, come Albertina, non siano che le vittime “collaterali” di una repressione sanguinaria ma indiscriminata, a prescindere dal sesso.
Sfogliate la gallery per sapere qualcosa in più su Albertina Martinez Burgos.
Chi era
Albertina Martinez Burgos aveva 38 anni, aveva iniziato a lavorare come assistente alle luci sul canale televisivo Mega, ma era anche una fotografa freelance conosciuta in Cile proprio per la documentazione precisa di quanto sta accadendo nel Paese.
I dubbi sul suo lavoro
In realtà la famiglia e gli amici hanno smentito che Albertina si stesse occupando delle rivolte a Santiago, e che non stesse documentando le violenze dei Carabineros nei confronti delle giornaliste e, più in generale, delle donne. Secondo quanto scritto in una story Instagram, Albertina avrebbe partecipato come repoter alla sola marcia del 14 novembre.
La scoperta della morte
Secondo 24 Hours il suo compagno, non avendo sue notizie, avrebbe chiesto alla madre di Albertina di andare nel suo appartamento. Non ottenendo risposta, la donna avrebbe chiamato un fabbro per aprire la porta, trovando così il cadavere della figlia, presumibilmente accoltellata.
Pc e macchina fotografica spariti
Quel che fa dubitare il collettivo Ni Una Menos sulla sorte di Albertina è il fatto che nel suo appartamento non siano stati ritrovati né il computer della ragazza, né la macchina fotografica con cui lavorava.
La posizione dell'Onu
Il team dell’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani (ONU), inviato in Cile per analizzare la situazione legata alle proteste e alla repressione della polizia ha concluso venerdì la sua visita ufficiale nel Paese; nella sua permanenza in Cile il team si è recato in sette diverse regioni (Antofagasta, Araucanía, Biobío, Coquimbo, Maule, Regione metropolitana e Valparaíso) visitando stazioni di polizia, carceri e ospedali e concentrando il proprio lavoro sulla valutazione della situazione dei diritti umani relativamente alle proteste, compreso il periodo dello stato di emergenza voluto dal presidente Piñera.
Sono state condotte indagini sull’uso eccessivo della forza da parte delle forze dell’ordine e degli agenti di sicurezza nel contesto delle proteste, sulle segnalazioni di maltrattamenti in detenzione, compresi abusi e violenze sessuali, sulla violazione dei diritti durante la privazione della libertà.
Secondo una dichiarazione rilasciata venerdì dall’Ufficio, le autorità del Paese sudamericano hanno fornito accesso senza restrizioni a tali visite.
Adesso si attendono i risultati delle valutazioni del team di specialisti ONU.
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