Torna a casa, dopo quasi due anni di sequestro. Ha l’aria stanca, smarrita, come è naturale dopo aver passato quasi 24 mesi come ostaggio di un gruppo di terroristi.

Silvia Romano è stata liberata: la notizia che tutti aspettavamo l’ha data il premier, Giuseppe Conte, in un tweet.

La giovane volontaria milanese è stata rapita a Chakama, nel sud est del Kenya, mentre prestava volontariato in un orfanotrofio per conto della Onlus Africa Miele. Aveva 23 anni al momento del rapimento, oggi, di nuovo libera, ne ha 25.

Venerdì 8 maggio lo scambio, a Mogadiscio, in Somalia, così riportano le prime fonti che danno notizie sul suo rilascio: Silvia arriva vestita con gli abiti tradizionali delle donne somale e il capo coperto, in buone condizioni di salute, e, trasferita nell’ambasciata italiana in Somalia, spiega di essersi convertita e di voler parlare con la madre appena sarà possibile rivederla. Negli scorsi mesi qualcuno aveva ipotizzato che la volontaria fosse stata costretta a sposare uno dei suoi carcerieri e a convertirsi all’Islam, ma questo ovviamente è ancora tutto da appurare.

La cosa importante è che oggi Casoretto, il quartiere milanese dove la famiglia di Silvia vive, possa riabbracciarla: l’arrivo del suo aereo a Roma è previsto alle 14 del 10 maggio.

La trattativa che avrebbe portato al rilascio

Sulle modalità del rilascio di Silvia le informazioni sono ancora nebulose, ma, come afferma il Corriere, si sarebbe giunti a un accordo dopo mesi di trattative fra i rapitori e l’intelligence italiana. Sei mesi fa, pochi giorni prima dell’anniversario del rapimento, le prime informazioni, alquanto contraddittorie: qualcuno sosteneva che Silvia fosse stata ceduta a un fazione fondamentalista somala dai suoi rapitori.

Il 17 gennaio 2020 la Romano appare in un video, dice che sta bene. Per gli 007 italiani è sufficiente per portare a termine la trattativa con in carcerieri, e pagare il riscatto che, tre mesi e mezzo dopo, ha finalmente riportato Silvia a casa.

La storia del rapimento

Silvia, da poco laureata alla Unimed CIELS di Milano, si trovava nel suo alloggio a 80 km da Malindi nella serata tra il 20 e il 21 novembre 2018 quando un gruppo di circa 5 individui ha fatto irruzione, sparando alcuni colpi verso i presenti e portandola via. La notizia del rapimento è stata diffusa da Joseph Boinnet, portavoce della polizia locale del Kenya, che ha indicato come probabili autori del gesto i miliziani islamici di Al Shaab, un gruppo attivo nella confinante Somalia.

Nel 2019, per la prima volta ha parlato, ai microfoni di Tg3 e Rainews24, Lilian Sora, presidente di Africa Milele Onlus, ricostruendo il giorno del rapimento.

Le figure che si occupavano della sicurezza a Chakama in quel periodo erano due masai che si alternavano: Joseph, che era andato a fare attività con Silvia nel pomeriggio, e poi è subentrato John. Chakama era sicura.

Il 20 novembre io e Silvia siamo state al telefono fino circa 20 minuti prima del sequestro per parlare del lavoro. Mezz’ora dopo mi è arrivato un messaggio Whatsapp da Malindi chiedendo di sincerarmi sulle condizioni di Chakama e di Silvia. Ho chiamato subito e mi hanno detto che Silvia era stata presa e portata via, da lì a notte fonda ho capito cosa era successo.

Anche quel giorno Silvia si era occupata delle attività per gli studenti.

C’erano gli esami di maturità a Chakama e, siccome i ragazzi non avevano un pasto, lei lo aveva cucinato insieme a Joseph e poi lo aveva consegnato e avevano pranzato insieme.

Sui suoi canali social Silvia ha postato, fin dall’inizio della sua avventura, diverse immagini della sua attività come volontaria, dove appare sorridente e circondata dai bambini dell’orfanotrofio.

Mi avete insegnato quanto è semplice essere felici. Non smettete mai di diffondere l’enorme energia ed entusiasmo che mi hanno contagiato.

Le didascalie accompagnate alle immagini raccontano di una vocazione sincera e di un genuino desiderio di portare aiuto laddove manca tutto, tranne il sorriso.

Gli haters che non tacciono mai

La vicenda di Silvia Romano è stata purtroppo anche l’occasione per i soliti haters del Web di scatenarsi con commenti e illazioni, sin dal momento del rapimento, e anche in seguito alla notizia della sua liberazione.

È stata criticata la sua attività di volontariato, il fatto di essere andata in un paese giudicato “a rischio”, e all’epoca del rapimento molti crearono persino un hashtag, #SilviaRomano, per fomentare ad hoc la propria campagna sulla necessità di aiutare prima gli italiani, insinuando anche di un eventuale riscontro economico che Silvia avrebbe avuto dalla sua attività di volontaria e sui soldi che sarebbero serviti per liberarla. Oltre ai singoli commentatori del web, anche il giudizio di alcune personalità autorevoli come quella Massimo Gramellini sul Corriere fu particolarmente duro nei confronti di Silvia.

Una vicenda, quella di Silvia, che ne richiama alla memoria altre, come quella di Rossella Urru, rapita nel 2012 in Algeria dove prestava aiuto in un campo profughi o quella di Greta e Vanessa, le giovani volontarie rapite in Siria nel 2015, che hanno mostrato ancora una volta quanto i social possano mettere in luce il peggio delle persone. Come giustamente fa notare qualcuno che si oppone ai commenti di odio, un tempo di fronte alla notizia di un rapimento, l’opinione pubblica avrebbe reagito con preghiere e speranze. Oggi invece si reagisce con astio, rancore e violenza, che non sono mai giustificabili in nessun caso, figuriamoci se rivolti a una persona che stava dedicando le proprie energie ad aiutare gli altri.

E il livore, nel caso di Silvia, si è ovviamente riacceso dopo la notizia del rilascio, con molti utenti che, sui social, si sono chiesti quanto la sua liberazione fosse costata all’Italia, che sarebbe stato meglio “lasciarla lì”, e hanno sottolineato la presunta priorità di altre cose, alla luce dell’emergenza Coronavirus.

La stupidità dietro commenti del genere è chiara, e non fa altro che farci prendere coscienza di quanto, come affermava con ragione Umberto Eco, il Web abbia dato voce a una legione di imbecilli, a persone mosse da un costante rancore e prive della benché minima empatia.

Sia chiaro una cosa: Silvia non se l’è mai cercata. Era preparata, non era la sua prima missione in Africa, la zona non era particolarmente pericolosa. E attribuirle parte della colpa del proprio rapimento, sprofondati nei propri divani, dietro la protezione dei propri schermi, al caldo della propria casa, non rende solo ipocriti e cattivi, non vi rende umani.

Fortunatamente chi ha lavorato per garantire il ritorno a casa di Silvia non pensava che meritasse di restare a vita coi suoi carcerieri, o che la sua vita non valesse il pagamento di un riscatto per essere riportata a casa, per poter riabbracciare i genitori, i parenti, gli amici. E non ha neppure pensato che lavorare per permettere a Silvia di riacquistare la sua libertà potesse ledere, in qualche modo, o sminuire il sacrificio di quanti, a causa della pandemia, hanno perso il lavoro e stanno stringendo i denti da due mesi.

A questi haters ci piacerebbe ricordare che la vita ha valore, ma non ha prezzo.

Ripercorriamo la vicenda di Silvia, dal rapimento alla liberazione.

Silvia Romano è libera
Fonte: Facebook @SilviaRomano
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