Lo stupro è "il prezzo da pagare per l'assistenza umanitaria": voci delle donne di Haiti

Le femministe haitiane e le Nazioni Unite denunciano l'utilizzo dello stupro come tattica per controllare l'accesso all'"assistenza umanitaria". La "strategia dell'insicurezza" colpisce le donne e mira a disgregare, con i loro corpi, anche le loro reti di solidarietà, dissenso e resistenza; mentre fame, violenza e bisogno di protezione spingano i bambini di Haiti a entrare nei gruppi armati. Nel frattempo, le voci delle attiviste di Haiti tolgono il velo alla missione internazionale capitanata dagli Usa, che accusano di essere più interessata e premeditata che umana.

Prima che la situazione ad Haiti precipitasse ulteriormente e fosse disposto l’arrivo di contingenti di polizia keniota, nell’ambito di una missione sostenuta dalle Nazioni Unite, lo scorso maggio Nathalie “Talie” Cerin scriveva “I gruppi armati ad Haiti prendono di mira tutti gli spazi in cui le donne prosperano”.

Nel pezzo, che dà voce ad alcune attiviste e femministe haitiane, la giornalista denuncia non solo una situazione di insicurezza e violenza crescente, ma anche la complicità e il colonialismo occidentale travestiti da missione umanitaria.

Haiti nelle mani delle bande armate

Per inquadrare la situazione haitiana, scrive Cerin:

Haiti è tenuta in ostaggio da un regime sanguinario e dai suoi sostenitori in Occidente da un decennio. Il partito di destra PHTK, fondato dall’ex cantante pop diventato presidente Michel Martelly, è al potere dal 2011 e, in quel periodo, si è assistito allo scioglimento delle istituzioni haitiane, ripetuti fallimenti nel tenere elezioni e segnalazioni di affiliazioni con gruppi armati che la gente chiama comunemente gang.

Negli ultimi cinque anni, i gruppi armati sono diventati significativamente più potenti ad Haiti. Sotto l’amministrazione del presidente Jovenel Moïse, una commissione per il disarmo ha consigliato a diverse gang di formare una federazione per facilitare la comunicazione con il governo. Negli anni successivi, i gruppi di quella federazione sono diventati più potenti e più pesantemente armati in un paese che non produce armi ed è soggetto a un embargo ufficiale sulle armi, nonostante ciò, molte armi da fuoco illegali vengono trafficate nel paese dagli Stati Uniti.

L’accusa mossa da attivisti e analisti politici è che i gruppi che hanno rivolto le loro armi contro la popolazione e bloccato i principali terminali del gas, non operino come gang che si contendono il territorio e le risorse, bensì come gruppi paramilitari organizzati, il cui obiettivo è espropriare i residenti delle proprie terre, nonché di sedare il dissenso e reprimere la resistenza, che denuncia la corruzione, la collusione con alcuni Paesi occidentali e rivendica diritti.

Le rivolte popolari, in particolare, sono scoppiate nel 2018 quando una commissione di governo riferì che la maggior parte dei fondi Petrocaribe – tramite il quale il Venezuela vende a tariffe preferenziali petrolio a diversi paesi nei Caraibi e in America Latina per consentire loro di investire il denaro in progetti di sviluppo – era stata rubata o sperperata da funzionari del partito PHTK.

Da lì, per anni, scrive Nathalie “Talie” Cerin:

il movimento ha tenuto marce regolari in tutto il paese, con migliaia di persone che chiedevano dove fossero finiti questi fondi, chiedendo la cacciata del partito PHTK e denunciando la mano imperialista degli Stati Uniti nella difficile situazione di Haiti. In risposta, lo Stato ha perpetrato una campagna di violenza e repressione contro gli attivisti sotto forma di massacri e rapimenti. Allo stesso tempo, ha abbandonato completamente alcuni quartieri operai, con persino la polizia in ritirata. La violenza di genere sotto forma di stupri di gruppo e lavori forzati per le gang è una pratica particolarmente diffusa.

Un recente report della Nazioni Unite conferma livelli di insicurezza senza precedenti, con le bande armate che hanno preso d’assalto le aree residenziali, saccheggiando e bruciando case e uccidendo molte persone. Per i sopravvissuti e gli sfollati sono stati allestiti campi di fortuna che non sono però in grado di garantire realmente i bisogni primari, la sicurezza e la dignità delle persone che vi sono stipate, con particolare riferimento a ragazze, donne, bambini e persone con disabilità.

Nel dettaglio, l’UN stima in oltre 300 mila, le donne e ragazze sfollate che

  • affrontano livelli SENZA PRECEDENTI di insicurezza e brutalità per mano delle bande
  • subiscono stupro e violenza nella maggior parte dei campi
  • non hanno garantiti i servizi di base per la sicurezza, l’igiene e la salute

Lo stupro come strumento di oppressione e ricatto

Sia le femministe in loco sia l’UN stanno denunciando l’utilizzo dello stupro come strategia di repressione e controllo. La violenza sessuale sarebbe utilizzata nella maggior parte dei campi come tattica deliberata per controllare l’accesso all’assistenza umanitaria.

Molto critica sull’intervento cosiddetto “umanitario” finanziato dagli Stati Uniti, Cerin scrive che

continua una lunga storia di interventi stranieri nella politica haitiana, dai pagamenti di indennizzi forzati alla Francia dopo la sua indipendenza, all’invasione e occupazione degli Stati Uniti nel 1915, all’indebolimento del Parlamento haitiano da parte delle corporazioni statunitensi con l’esplicito supporto del Dipartimento di Stato. Un simile intervento straniero è stato storicamente disastroso per il popolo haitiano, in particolare per le donne haitiane.

Nahomie St. Louis, attivista per i diritti delle donne e lavoratrice del tessile, insiste nel rimarcare come esista una sorta di strategia dell’insicurezza, tesa a colpire le donne, con la precarietà, l’aggressione, lo stupro, il ricatto:

I luoghi che vengono più attaccati sono i mercati. Quando vai al mercato, trovi soprattutto donne. Attaccano le chiese. Quando vai in chiesa, trovi soprattutto donne. Siamo prese di mira perché la persona che controlla questo capisce che siamo la spina dorsale delle nostre comunità. È lo stesso nel modo in cui le persone sminuiscono le donne che vogliono impegnarsi politicamente. Le persone ti dicono cose come: “Non sei una donna? Cosa fai alle proteste?”

E questo accanimento non è un caso, come spiega Sabine Lamour, femminista e professoressa di sociologia all’Università statale di Port-au-Prince, chiarendo che minare il lavoro di cura delle donne nella società e in famiglia, significa minare qualsiasi possibilità di rete, supporto, solidarietà, organizzazione e resistenza.

I corpi delle donne, come spiega l’autrice Rita Segato, sono corpi portanti della comunità e

attaccare il corpo delle donne significa attaccare lo spazio, significa attaccare il territorio.

Ed è così. Nel momento in cui vengono meno le mani, le braccia, i corpi delle donne che sfamano e accudiscono i propri e gli altrui bambini (ma anche persone con disabilità e coloro che sono in condizioni di fragilità), accade che fame, violenza e bisogno di protezione spingano i bambini di Haiti a entrare nei gruppi armati.

I bambini senza aiuti e con le armi in mano

Le Nazioni Unite stimano un numero crescente di membri delle bande armate ora siano bambini, con una percentuale di minori compresa tra il 30% e il 50%. Catherine Russell, direttrice generale dell’UNICEF, ha dichiarato:

I bambini di Haiti sono bloccati in un circolo vizioso di sofferenza. I bambini sono spinti a unirsi ai gruppi armati per pura disperazione, a causa di violenze orribili, povertà e crollo dei sistemi che dovrebbero proteggerli. I bambini vengono utilizzati dai gruppi armati per diversi compiti, come cuochi, addetti alle pulizie, ‘mogli’ o vedette.

Durissima, in questo senso, la lettura della “missione umanitaria” che dà Islanda Micherline Aduel, membro dell’organizzazione contadine Tèt Kole Ti Peyizan Ayisyen (Heads Together Small Producers of Haiti), che vede nella “finta gestione” della crisi da parte degli Stati Uniti, in sinergia con altri Paesi dell’America Latina che si stanno prodigando in progetti per favorire l’emigrazione degli haitiani, un modo per accogliere manodopera a basso costo e liberare lotti di terra per il turismo:

Questo è tutto un processo ben coordinato e chiaro per far partire gli haitiani e sequestrare i terreni agricoli che abbiamo. Guarda come usano la terra: ci versano sopra cemento per creare centri economici e zone turistiche. Questo è quello che fanno.

Vediamo chiaramente che l’intero progetto dell’imperialismo, e parlo in particolare degli Stati Uniti, è di renderci dipendenti. Nel frattempo, lasciamo tutto ciò che ci farebbe riacquistare la nostra autodeterminazione come popolo. Oggi, i giovani haitiani hanno un solo obiettivo e progetto: lasciare il paese. […] (Gli Stati Uniti e affini) creano il caos, creano il clima di terrore, e poi sono loro stessi a escogitare un piano che hanno già premeditato, un travestimento per dirti che sono loro ad avere la soluzione quando le redini sono state nelle loro mani per tutto il tempo.

* La foto in copertina è stata scattata cinque anni fa. Ritrae Marie Kena Michelle, 24 anni, in un campo temporaneo a Port-au-Prince. Kena aveva 19 anni quando fu stuprata da un gruppo di uomini nel campo di La Piste. Dalla violenza sessuale, è nato suo figlio nato dallo stupro, Beegee (Foto di Nadav Neuhaus/Nadav Neuhaus/Corbis tramite Getty Images).

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