L'invenzione della bellezza: il segreto per non invecchiare è morire prima

Un corpo 43enne è un corpo “giovane” che, con un po’ di fortuna, può aspirare a invecchiare ancora per 30, 40 anni o più. Perché allora lo sto guardando con severità, invece che con curiosità e gratitudine? Con che diritto poi? Il mio è un corpo conforme, normopeso, abile, oserei dire piacente a certo sguardo maschile. Ed è qui che sta il problema.

Ho 43 anni e l’altro giorno, guardandomi allo specchio, mi sono accorta che la mia faccia, crac, è caduta. È successo all’improvviso: il giorno prima era su, poi non più!

Nulla di straordinario: trattasi di fisiologico processo di deperimento che avviene nelle cellule e nei tessuti con l’avanzare dell’età. In due parole: sto invecchiando.

Ovviamente non è successo davvero da un giorno all’altro. Ci sono stati segnali, indizi che negli anni ho ignorato con studiata noncuranza, mentre con qualche magia formato siero o make up ho tentato senza troppa convinzione di contenere l’inevitabile. Senza riuscirci, ovvio; ma pure senza troppi patemi d’animo.

Il tempo fa quello che deve fare, dentro e fuori

Adesso invece sento l’orologio biologico, e sono arrabbiata, perché avevo deciso che a me non sarebbe successo! Non parlo di “quell’orologio biologico”, ma dell’altro che, in comune a quello che dovrebbe farti venire un improvviso desiderio di figli se non ne hai fatti prima, condivide il fatto di essere talmente pervasivo da non permetterti di distinguere bene dove finisca l’aspettativa sociale e inizi il tuo desiderio.

Tic tac, tic tac.
Il tempo passato ha fatto quello che deve fare: ha lasciato segni dentro, e rughe fuori. Ha portato maturità, consapevolezze e profondità che mi si sono impresse anche agli angoli degli occhi e della bocca e ovunque, sul mio corpo, io porga lo sguardo.

Può solo peggiorare (o migliorare, dipende dai punti di vista).

Il male gaze che fa a pezzi i corpi delle donne

Un corpo 43enne è un corpo “giovane” che, con un po’ di fortuna, può aspirare a invecchiare ancora per 30, 40 anni o più. E mi domando:

  • Perché allora lo sto guardando con severità, invece che con curiosità e gratitudine?
  • Perché lo passo in rassegna sezionandolo come in quelle immagini che illustrano i tagli delle bestie al macello?
  • Con che diritto poi? Il mio è un corpo conforme, normopeso, abile, oserei dire piacente a certo sguardo maschile.

E qui sta il punto!

Il male gaze con cui i corpi delle donne sono stati catalogati e fatti a pezzi, con la complicità dei media. Come scrive Laurie Penny, siamo “Meat market. Carne femminile sul banco del capitalismo”:

  • valutate per peso, forma, misure colore, performance, tonicità, sensualità;
  • narrate, di conseguenza, come belle, brutte, desiderabili, di successo, da scartare, da mettere a dieta, da nascondere o svestire…

Per anni anche io ho valutato così il mio corpo, perché il male gaze è, letteralmente, uno sguardo maschile, ma al quale siamo state educate anche noi donne. Pensavo di aver riprogrammato il mio sguardo, e in parte è vero (per quanto riguarda i corpi delle altre donne), me eccomi a constatare che quando si tratta del mio corpo tutto cambia, e il mio male gaze è ancora molto giudicante e, quindi, in salute!

Non sono una persona ossessionata dall’estetica:

  • non vado da parrucchiere o estetista da sei anni,
  • non ho mai subito il fascino di beauty blogger né seguito un tutorial,
  • sono talmente pigra da non riuscire ancora a rispettare il beauty diktat – “Mai a dormire truccata (mi capita ancora)”, – figuriamoci una routine, non dico antiage, ma almeno idratante.
  • Eppure l’altro giorno, con l’indice e il medio uniti ho sollevato appena appena i miei zigomi, poi le palpebre. Ho provato persino a spingere un po’ su il labbro superiore. Quello che ho visto mi è piaciuto: un viso più fresco, meno stanco. Un viso ancora giovane, più giovane!

Un viso più bello del mio ora, ma non il mio; che oggi scrivo queste parole anche per ricordare
a me stessa perché, tempo fa, ho promesso a me stessa di permettermi di invecchiare, senza cercare di fregare il tempo “comprando” un po’ di giovinezza.

Ma prima…

ATTENZIONE! ⚠️⚠️⚠️ Niente polizia del femminismo!

Né qui né, mi auguro, negli eventuali commenti a queste parole.
Niente dicotomia tra brave e cattive femministe o tra aesthetic women contro vere femministe. A costo di sembrare un disco rotto: il femminismo non è una tessera a punti, né una patente che qualcuno può dare e togliere. Soprattutto non esiste la femminista perfetta. Pensare di poter delegittimare il femminismo di qualcuna di noi con questa argomentazione, peraltro così diffusa, significa fare esattamente quello che il patriarcato vuole da noi: giudicarci e frazionarci, redigere la nostra personale classifica di brave o vere donne e quindi, in ultimo, dividerci affinché il sistema patriarcale continui a imperare.

Ultima nota importante: il tema qui è la chirurgia estetica volta al ringiovanimento o all’adesione a canoni estetici. Le seguenti riflessioni non riguardano la chirurgia estetica ricostruttiva (es. dopo una mastectomia o un incidente) o funzionale all’affermazione di identità di genere.

Il fine dell’elenco che segue è unicamente quello di mettere in risalto il ruolo dell’industria della bellezza nelle discriminazioni di genere. Per renderci più consapevoli, e quindi libere.

Sai che l’industria della bellezza…

  1. è, insieme a quella della fertilità (non è un caso, entrambe si basano sul controllo dei corpi delle donne) una delle più fiorenti e in crescita, con un valore globale di 427 miliardi di dollari destinato a raggiungere, secondo McKinsey & Company, i 580 miliardi di dollari nel 2027 (di questi, 23,4 riguardano la chirurgia estetica)?
  2. si basa, come spiega bene Laurie Penny, sul principio capitalistico che porta le donne a essere consumate e consumatrici al tempo stesso, con una sovraesposizione sessuale che serve a “vendere”?
  3. si basa sull’idea che il nostro valore dipende da come appare il nostro corpo e crea il proprio mercato alimentando il giudizio negativo sui nostri corpi e il bisogno conseguente di “miglioralo”?

Il mito della bellezza, per dirla con il titolo del saggio di Naomi Wolf, contribuisce inoltre a rendere le donne molto più povere degli uomini occupando un’ampia fetta della cosiddetta pink tax (sebbene le donne guadagnino molto meno degli uomini, è dimostrato che il costo della loro vita è molto più alto).

La bellezza è un costrutto sociale patriarcale con il quale si tengono sotto controllo i corpi delle donne. Pensiamo ai soldi, ma anche all’insicurezza, al tempo e al body check giornaliero che ci porta via più energie di quante immaginiamo: sono tutte risorse che gli uomini possono ben impiegare in altri modi, più appaganti e lungimiranti.

Perché esiste un solo modo per non invecchiare… E non è la chirurgia!

3 libri per approfondire la prigione della bellezza

  • Maura Gancitano, Specchio delle mie brame. La prigione della bellezza, Einaudi 2022.
  • Laurie Penny, Meat market. Carne femminile sul banco del capitalismo, Settenove 2013, con traduzione di F. Frulla.
  • Naomi Wolf, Il mito della bellezza, Tlon Edizioni 2022, a cura di Maura Gancitano e Jennifer Guerra.
“Prisma. Spunti per riflettere il presente” è una rubrica nativa social a cura di Ilaria Maria Dondi, che si pone l’obiettivo di uscire dalle polarizzazioni e guardare il mondo da punti di vista diversi per riappropriarci della complessità e delle sfumature. Questo è il contenuto social originale:

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