"In quella bara vedevamo nostra figlia": i messaggi delle 3000 lettere per Giulia Cecchettin
A un anno dalla morte di Giulia Cecchettin, il padre ha voluto mostrare al Corriere le 3000 lettere ricevute in quest'anno per la figlia.
A un anno dalla morte di Giulia Cecchettin, il padre ha voluto mostrare al Corriere le 3000 lettere ricevute in quest'anno per la figlia.
Il femminicidio di Giulia Cecchettin avveniva un anno fa, l’11 novembre 2023, quando l’intero Paese sperava ancora, in apprensione, che la sua scomparsa potesse avere un lieto fine.
Il suo corpo sarà ritrovato il 18 novembre, due giorni dopo quella che sarebbe dovuta essere la data della sua laurea. La sua morte ha sconvolto il Paese ed è diventata il simbolo dei troppi femminicidi che continuano ad accadere e che non si sono fermati.
In questo periodo la famiglia Cecchettin ha voluto dedicare il proprio dolore e le proprie energie per farsi mezzo di sensibilizzazione, anche a fronte dell’enorme impatto emotivo che il femminicidio ha provocato, incarnato nelle migliaia di lettere che sono arrivate a Gino Cecchettin e che sono state accumulate nella stanza della figlia. Sono tremila.
Per l’anniversario della morte, la famiglia ha voluto mostrare queste lettere al Corriere, in un articolo a firma di Giovanni Viafora, per mostrare l’umanità variegata che è stata colpita dalla storia di Giulia Cecchettin.
“Vorrei che vedessi, e so che lo vedi, – scrive Carolina – la rivoluzione che hai scatenato. Ti stai accingendo a cambiare davvero le cose, lo sai? Hai una marea di sorelle acquisite che non molleranno la presa, che ricorderanno chi sei e lo urleranno per le strade.”
Sono tante, infatti, le donne e ragazze che da questa vicenda hanno trovato la forza per unirsi, per gridare le violenze che anche loro hanno subito, per scappare da situazioni a rischio.
“Ho rivisto me stessa in quegli orsacchiotti appesi allo zaino, in quanto purtroppo ho avuto una situazione simile quando avevo appena compiuto 20 anni”. – Michelle, 25 anni, da Taranto.
“Una sera sono stata importunata da un uomo di 50 anni davanti alla stanza dell’hotel, non ho dormito tutta la notte, mi sono sentita indifesa, sola e amareggiata. L’ansia mi ha assalito, perché conosco la violenza, perché sono donna. Queste situazioni anche se le racconti per tante persone sembrano normali”. – Chiara.
“Ciao Giulia, non ci siamo mai viste né sentite. Abbiamo una cosa in comune però. Siamo vittime di violenza da parte di un mostro. Quel mostro di cui noi ci siamo fidate e abbiamo voluto bene. Ora tu sei un Angelo e io una sopravvissuta“. – Elisa.
“Ti ringrazio perché mi hai salvato la vita. Grazie a te ho trovato la forza di allontanarmi dalla mia storia pericolosa. Anche lui si chiama Filippo. La tua storia è la mia e quella di mille altre donne”. – Giulia.
Tanti anche i messaggi di genitori e nonni, che si rivolgono anche direttamente a Gino e che mostrano tutta la preoccupazione nei confronti della sorte delle proprie figlie o il sostegno da parte di chi sa cosa significa perdere una figlia per femminicidio.
“Noemi, nostra figlia, che compirà 19 anni, non ha smesso di chiedere di Giulia, di informarsi. Frequenta l’ultimo anno di liceo: è semplice, umile, buona e altruista. Queste sono anime belle e pure che spesso il brutto che c’è in questo mondo vuole portare via, perché proprio la loro unicità le rende rare e preziose. I mostri invidiosi, non risolti e mai stati educati ai no purtroppo esistono e spesso si nascondo sotto le mentite spoglie. Ognuno di noi ha avuto Giulia nella propria casa” – Gabriele e Zuleika.
“Nelle due ore del funerale di Giulia abbiamo rivissuto tutto, in quella bara vedevamo nostra figlia. Oggi ci siamo fatti una ragione: pensiamo che lei sia in giro per il mondo come tanti figli e un giorno la rivedremo. Per il momento ci consola sognarla. E questo ci rasserena non poco nell’affrontare la tragica realtà della vita contro l’impotenza”. – Piero e Pina, 85 e 81 anni, nel 2015 hanno perso la figlia, uccisa con 44 pugnalate sul luogo di lavoro.
“Io non ho WhatsApp e internet, vi sono tanto vicina, ho pianto per voi. Le ragazze e le donne vanno protette, qualcosa deve cambiare“. – Maria Pia, 84 anni.
C’è anche chi ha voluto condividere la propria esperienza di educatrice, per cercare di capire il perché di questi crimini e come evitarli.
“Ho insegnato per quasi 40 anni in una scuola superiore avendo prevalentemente studenti maschi. Nei loro comportamenti di fronte agli insuccessi mai ho visto specie negli ultimi anni comportamenti molto diversi da quelli di Filippo. Mi è venuto da pensare che se non si sono trovati un coltello in mano è per puro caso. Le reazioni alla sconfitta sono spesso violente, anche nei confronti dell’insegnante. Al primo vento contrario i “bravi ragazzi” sono privi di mezzi e risorse per fare fronte alle avversità. Gli studenti migliori sono figli di genitori che serenamente coltivano il dubbio, che osservano e ascoltano, che accolgono, ma che sanno dire dei no.” – Gabriella, professoressa di Bari.
E la risposa la danno i tanti genitori che promettono di educare i propri figli a “a comportarsi; e non alle ragazze a guardarsi sempre alle spalle” o lo stesso Emanuele, 11 anni che dice
“Io prometto di non essere mai come Filippo”.
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Un po' scribacchino pretenzioso, un po' pirata che sogna la pensione, vivo in perenne crisi d'astinenza da Netflix e sono proprietario di un divano abusivamente occupato da un cane che si finge timido.
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