Durante la pandemia il lavoro da casa ha portato con sé una serie di sfide inaspettate, tra cui un aumento delle molestie sessuali online. Questo problema è emerso chiaramente da un sondaggio condotto dall’ente di beneficenza Rights of Women, che ha rivelato come molte donne abbiano subito abusi durante le riunioni virtuali su piattaforme come Zoom.

Una storia particolarmente inquietante è quella di una donna il cui capo ha usato Zoom per scattare screenshot di lei e delle sue colleghe, condividendoli poi con altri dipendenti insieme a commenti denigratori e insinuazioni sessuali. Questo caso, sebbene emblematico, non è isolato: secondo il rapporto di Rights of Women, quasi la metà delle donne che hanno segnalato molestie sessuali sul posto di lavoro ha affermato che tali episodi si sono verificati durante il lavoro a distanza, con il 23% delle intervistate che ha notato un’intensificazione delle molestie da quando ha iniziato a lavorare da casa.

Le molestie non si limitano ai soli commenti indesiderati o alle avances sgradite. Un ulteriore studio legale condotto da Slater and Gordon ha messo in luce come le donne siano spesso vittime di richieste inappropriate da parte dei loro datori di lavoro, come quella di “sembrare sexy” durante le videochiamate, con l’intento di attrarre clienti. Queste richieste sessualizzanti hanno lasciato molte donne umiliate e demoralizzate, un’esperienza condivisa dal 40% delle 2.000 donne intervistate.

Deeba Syed, responsabile legale senior di Rights of Women, sottolinea come il lavoro da casa, anziché interrompere il ciclo di abusi, abbia semplicemente fornito ai molestatori un nuovo mezzo per continuare le loro azioni. Le piattaforme di comunicazione digitale, come WhatsApp, email e social media, sono diventate nuovi strumenti per perpetrare molestie sessuali, che in alcuni casi erano già presenti negli spazi di lavoro fisici.

Sebbene Zoom abbia adottato diverse misure di sicurezza per contrastare questi comportamenti, come la possibilità di segnalare e rimuovere partecipanti molesti e l’uso di sfondi virtuali per proteggere la privacy degli utenti, il problema resta complesso. Le molestie online, spesso sottili e difficili da individuare, rendono difficile per le vittime denunciare gli abusi e ottenere giustizia.

Jo Mackie, avvocato del lavoro presso Slater and Gordon, e Georgina Calvert-Lee, responsabile del team per l’uguaglianza presso lo studio legale Berkshire McAllister Olivarius, evidenziano come la mancanza di accessibilità delle risorse umane durante la pandemia abbia ulteriormente complicato la segnalazione delle molestie. La rapida transizione al lavoro remoto ha portato a una gestione improvvisata delle comunicazioni, con l’uso di strumenti come WhatsApp che, se da un lato consentono la connessione, dall’altro espongono le donne a nuovi rischi.

“I responsabili delle risorse umane non sono molto accessibili”, dichiara Mackie. “Sembra molto più complicato fissare un incontro con loro online piuttosto che poter bussare alla loro porta”.

Nonostante gli sforzi delle piattaforme e l’esistenza di leggi come l’Equality Act, che teoricamente dovrebbero proteggere le vittime di molestie, la realtà è che ottenere giustizia può essere un processo lungo e costoso. I datori di lavoro, secondo gli esperti, dovrebbero adottare misure più proattive, come la registrazione delle chiamate, per dissuadere i molestatori e raccogliere prove. A ogni modo, l’attuale quadro normativo e l’atteggiamento delle autorità verso la regolamentazione di questi comportamenti lasciano ancora molto a desiderare.

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