Sembra che non ci sia ancora spazio per le donne nella legge di bilancio dello stato italiano; se la commissione Bilancio della Camera dei deputati ha scelto di destinare fondi di milioni di euro per il Giubileo del 2025, ma anche per iniziative quali, ad esempio, l’ottavo centenario del presepe, non si può dire che della stessa considerazione godano le tematiche più prettamente legate alla sfera femminile.

Due, su tutti, gli argomenti ignorati nella legge approvato il 30 dicembre 2020: la riduzione della tampon tax e l’aumento degli strumenti di sostegno a favore delle vittime di violenza di genere.

Tutte “cassate”, infatti, le proposte di emendamento alla manovra di Bilancio 2021 che prevedevano aiuti alle donne rispetto a questi due temi.

Quella sulla tampon tax, ad esempio, è una lotta che va avanti da diverso tempo, promossa anche da onlus come WeWorld e Onde Rosa, ma sostenuta anche da personalità di spicco della politica italiana, da Laura Boldrini a Diana De Marchi del Comune di Milano, e da altre figure di prestigio dell’intellettualità e dello spettacolo italiani, come Giada Sundas e Maura Gancitano di Tlon, Mamma di Merda, e poi ancora Lo Stato Sociale, Jo Squillo, Elisa D’Ospina.

Il 25 novembre 2020 proprio le onlus citate avevano presentato nuovamente una proposta per portare la tassazione sugli assorbenti dal 22 al 5% di IVA, supportata anche dall’onorevole Lia Quartapelle, che sul proprio profilo Facebook aveva anche spiegato come ci fosse la necessità di rivedere le stime fatte dal governo sulla riduzione delle entrate derivante dall’abbassamento. Stime che proprio grazie a WeWorld erano state riviste e aggiustate, passando dai 300 milioni di euro che il ministero dell’Economia aveva indicato ai 72 milioni valutati dalla onlus.

Lo scorso anno, il ministero dell’Economia aveva detto che questa riduzione delle entrate sarebbe costata 300 milioni di euro – si legge nel post dell’onorevole Quartapelle – Quest’anno, grazie a un suggerimento di WeWorld Onlus ci siamo fatti le nostre stime, tenendo conto dei dati sui consumi di assorbenti in Italia, e abbiamo scoperto che secondo questi dati la riduzione delle entrate era molto inferiore: circa 72 milioni di euro.
Per questo, ho presentato una interrogazione al ministero dell’Economia per capire sulla base di cosa avevano fatto i calcoli.
La risposta che ho avuto mi ha lasciato un po’ perplessa: non ci sono dati ufficiali dell’ISTAT sul consumo di assorbenti. In assenza di questi il ministero dell’Economia ha provato a fare una stima empirica, ipotizzando che ogni donna in età fertile in Italia spenda 100 euro all’anno di assorbenti. Considerato che un pacchetto di assorbenti costa tra 1,50 e 4 euro al supermercato, vuole dire che in media ogni donna compra almeno 30 pacchi di assorbenti l’anno, cioè quasi tre pacchi al mese. Un numero chiaramente esagerato. Non tutte le donne in età fertile poi usano gli assorbenti (c’è chi è incinta o allatta, chi ha la dismenorrea, chi è malata, chi usa i lavabili, chi ha la menopausa precoce). Insomma, c’è voluto poco per capire che si trattava di stime non basate sulla vita reale delle donne e quindi sovrastimate.

Le stime, evidentemente, non sono però state sufficienti, tanto che gli unici a essere sottoposti a sgravio fiscale continuano a essere esclusivamente gli assorbenti compostabili o lavabili.

Ancora peggio l’aspetto della violenza di genere, per cui era stato chiesto un rafforzamento dell’assistenza domiciliare da Cittadinanzattiva e altre 70 fra organizzazioni, federazioni e associazioni; l’assistenza sarebbe stata pagata con i 40 milioni di euro ottenuti dall’aumento della tassazione sul tabacco riscaldato, ma è stata bocciata. Idem per l’emendamento per istituire un fondo pensato per garantire l’assistenza legale a spese dello Stato alle vittime di violenza e di maltrattamenti in tutte quelle fasi processuali che non rientrano nel patrocinio gratuito.

Intanto, solo nei primi 26 giorni del 2021 è già avvenuto il femminicidio di Victoria Osagie, nella provincia veneziana, a cui possiamo aggiungere quello della piccola Sharon Barni, violentata e percossa dal compagno della madre a soli 18 mesi, e quello di Roberta Siragusa, la diciassettenne di Caccamo, nel palermitano, ritrovata semicarbonizzata ai piedi di un burrone.

E tutto questo appare ancora più grave se consideriamo che il 2020 è stato un vero  annus horriblis per i femminicidi; se è vero che è risultato in calo il numero delle donne vittime di omicidio, c’è da dire che questa statistica tiene conto del numero di donne uccise a livello complessivo, e ad abbassare le cifre sono le vittime femminile della criminalità “comune”; quelle, insomma, uccise in incidenti, durante le rapine e così via. Sappiamo però bene che il termine femminicidio ha una connotazione ben precisa, e riguarda le donne uccise in ragione del loro genere: da questo punto di vista, nel 2020 l’incidenza della componente femminile nel totale degli omicidi è stata del 40,6%, la più alta di sempre. 

Eppure, il governo anche stavolta ha archiviato la questione, ritenendo evidentemente sufficienti gli strumenti attualmente a disposizione. Il problema femminile, nella legge di Bilancio, però, rimane, e a sottolinearlo è anche l’organizzazione Il Giusto Mezzo, che chiede che metà delle risorse del Recovery Fund siano destinate alle donne.

Abbiamo letto la bozza di proposta per gli assi di spesa del NGEU [Next Generation EU, ndr.] e le relative risorse e, con sommo sconcerto, abbiamo scoperto che per le politiche di parità si prevedono solo 4,2 miliardi, inseriti nella voce ‘politiche sociali’, cui si destinano nel complesso 17,1 miliardi.

Si legge nella lettera, pubblicata sul sito, indirizzata al Presidente del Consiglio e ai ministri e ministre.

Il tasso di occupazione femminile in Italia è tra i più bassi d’Europa: una media del 50,1% con disparità regionali che vanno dal 60,4% della Lombardia al 29,8% della Sicilia. Il bilancio del Covid19 sul mercato del lavoro, ancora del tutto parziale, vede tra il secondo trimestre 2020 e lo stesso periodo dello scorso anno 470 mila occupate in meno: un calo del 4,7%. Nella breve ripresa estiva il lavoro recuperato è stato più maschile che femminile. L’impatto della crisi su assistenza all’infanzia, commercio, turismo, ristorazione, i servizi in cui lavorano moltissime le donne, è durissimo. Crisi e lockdown hanno gravato sul già complesso equilibrio casa-lavoro delle italiane, perché lo smart working e la chiusura totale o parziale delle scuole, delle attività sportive e ricreative, rappresentano un carico senza precedenti. E le donne sono tante anche fra i lavoratori che non si sono mai fermati durante la pandemia: salute, largo consumo, assistenza. E troppe sono anche rimaste a casa chiuse con i loro aguzzini, come dimostrano i dati del 1522, il numero antiviolenza e antistalking.

Eppure, le donne in questo Paese, pur essendo state le protagoniste della battaglia contro il Covid, sono poche nei vertici dei partiti, nelle cariche pubbliche e nei luoghi decisionali, e sono poche anche nel mercato del lavoro. E pochi sono i bambini e le bambine che hanno accesso al nido, e pochi usufruiscono del tempo pieno, soprattutto al Sud.
Per questi motivi, qualunque sia la scelta organizzativa del governo per la gestione di Next Generation EU, vogliamo mettere in chiaro subito che nulla può essere fatto senza le competenze femminili. Vogliamo salvare questo Paese e cogliere un’occasione storica per abbattere le discriminazioni economiche, culturali e sociali che immiseriscono metà della popolazione. Fare senza le donne, senza tenere la parità come asse principale, attraverso lo sviluppo dell’occupazione e di un piano straordinario di infrastrutture sociali, significa impoverire tutti. Ci sono decine di nomi femminili da proporre per qualunque comitato si voglia inaugurare: avete solo l’imbarazzo della scelta.

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