La disperazione dei volontari antispecisti contro la polizia: cosa è successo al rifugio Cuori Liberi

Nonostante la resistenza di attivisti e associazioni, l'Ats di Pavia ha fatto il suo ingresso al rifugio Cuori Liberi, uccidendo i 10 maiali ancora in vita. Fra loro molti esemplari sani e alcuni malati di peste suina non in modo grave. L'atto di forza del servizio sanitario ha fatto molto discutere, così come la legge tuttora in vigore sugli animali cosiddetti "da reddito".

Epilogo tristissimo nella vicenda dei maiali ospiti del rifugio Cuori Liberi, a Zinasco, provincia di Pavia: i dieci esemplari sono stati uccisi all’alba di ieri, nonostante i dieci giorni di trattative e di resistenza serrata da parte dei gruppi di volontari e delle associazioni animaliste, che ne chiedevano a gran voce la grazia.

Facciamo un breve riassunto per cercare di rendere più chiara la situazione: nelle scorse settimane il rifugio ha dovuto fare i conti con la Peste Suina Africana (PSA), che ha colpito diversi esemplari ospitati al suo interno, uccidendone alcuni. Per gli animali malati i volontari di Cuori Liberi avevano chiesto l’eutanasia dolce, che consiste nell’addormentare i maiali con un sedativo, prima di procedere all’iniezione definitiva, ma le loro richieste, complici i tempi burocratici, non sono state accolte.

In seguito è arrivata la decisione dell’Asl di Pavia di procedere all’uccisione dei restanti maiali ospitati dal santuario, dieci in tutto: fra loro esemplari sani e alcuni malati di PSA, ma non in modo grave. Questo video, pubblicato sulla pagina Facebook di Cuori Liberi, ben riassume il quadro generale della situazione.

Ad annunciare la decisione della soppressione l’associazione Rete dei Santuari di Animali Liberi, che riunisce i principali santuari italiani.

Da lì la mobilitazione di tantissimi volontari e associazioni animaliste che, attraverso la condivisione social o recandosi in loco, per dieci giorni hanno bloccato l’ingresso di forze dell’ordine e Asl veterinaria al rifugio, impedendo la mattanza. Fino all’alba di ieri, come detto, quando la polizia, in tenuta antisommossa, ha superato con l’uso della forza la resistenza degli attivisti – alcuni dei quali sono letteralmente stati portati via di peso -, permettendo così ai veterinari di procedere all’uccisione.

@ery.73

Ora a Sairano. La polizia irrompe al Rifugio Cuori Liberi per far entrare ats che ammazzerà i maiali sani.

♬ suono originale - Ery

Un epilogo che ha lasciato l’amaro in bocca agli animalisti e che è sicuramente destinato a far discutere. Anche Oipa, attraverso la sua pagina Facebook, ha voluto esprimersi in merito alla fine della vicenda.

Diversa la posizione di Ats Pavia, che in un comunicato condiviso anche da primapavia.it afferma di aver portato “a termine le operazioni di soppressione mediante metodi eutanasici dei pochi suini ancora presenti nel focolaio di Peste Suina Africana diagnosticato ai primi di settembre presso il rifugio per animali dell’associazione Progetto Cuori Liberi di Zinasco. La Peste Suina Africana ha colpito quaranta suini presenti presso l’associazione, di cui gran parte già deceduti nei giorni scorsi“. Solo nella giornata di ieri, e solo nella provincia pavese, sono stati abbattuti circa 34 mila maiali.

Ma perché quanto accaduto al santuario Cuori Liberi fa tanto discutere? Proviamo a fare un po’ di chiarezza.

Prima di tutto occorre capire bene cosa sia un santuario: parliamo di strutture che accolgono i cosiddetti “animali da reddito”, destinati quindi alla macellazione e all’industria della carne; non godono di finanziamenti pubblici, e riescono quindi ad andare avanti solo grazie a donazioni, adozioni a distanza o all’organizzazione di eventi. Di fatto, la loro esistenza è stata riconosciuta in quanto tale solo con il decreto del 7 marzo 2023, che li definisce “attività di ricovero di bovini, equini, ovini e caprini, suini, cervidi e camelidi, pollame, conigli, api, animali delle specie di acquacoltura identificati e registrati con orientamento ‘rifugio permanente'”. Prima, per la legge italiana i rifugi/santuari non esistevano, ma ancora adesso gli animali che vi si trovano all’interno devono necessariamente essere registrati come animali da allevamento, salvo poi essere trattati diversamente.

E, in effetti, i dieci maiali di Cuori Liberi erano regolarmente registrati e non DPA (ovvero non destinati al consumo alimentare), e tenuti in condizioni di isolamento e, quindi, nell’impossibilità di contagiare altri esemplari.

La Regione Lombardia, seguendo il più recente D.L. 9/2022 – Misure urgenti per arrestare la diffusione della peste suina africana (PSA), che ha lasciato discrezionalità alle regioni in merito al contenimento dei focolai, ha concesso dei finanziamenti nell’ambito delle “Procedure operative per l’attuazione del Programma regionale delle iniziative di biosicurezza per la prevenzione e il controllo della diffusione della Peste Suina Africana (PSA) negli allevamenti suinicoli”, con “D.d.u.o. 27 giugno 2023 – n. 9575″, concedendo la possibilità alle piccole e medie imprese “dedite all’allevamento di suini” di realizzare “interventi di biosicurezza […] in modo da evitare il rischio di trasmissione della peste Suina Africana (PSA)”.

Ci si potrebbe quindi domandare perché tali finanziamenti non sono stati estesi anche al rifugio, oltre che agli allevamenti: ciononostante le associazioni animaliste sostengono che anche il rifugio avesse adottato misure di biosicurezza, e, come si legge nell’istanza presentata da
Animal Equality Italia, Animal Law Italia, CiWF Italia, ENPA, Essere Animali, LAC – Lega Abolizione Caccia, Last Chance for Animals, LAV – Lega Antivivisezione, LEAL, LEIDAA, LNDC – Animal Protection e OIPA Italia, si chiedeva alle amministrazioni interessate di tenere in considerazione proprio

le specifiche caratteristiche del luogo – un rifugio permanente, per animali sottratti definitivamente alla produzione alimentare e che quindi non verranno macellati – che lo contraddistinguono rispetto agli allevamenti suinicoli che pure nella stessa zona sono stati interessati dalla medesima epidemia.

Dal punto di vista legislativo, è tuttora in vigore il decreto di “Attuazione della direttiva 2001/89/CE relativa alle misure comunitarie di lotta contro la peste suina classica”, relativo al 2004, anno in cui probabilmente i rifugi non erano ancora una realtà così consolidata in Italia, e all’articolo 5 si legge che, in caso di focolaio accertato, l’autorità competente disponga

l’immediato abbattimento, sotto controllo ufficiale ed in modo idoneo ad evitare ogni rischio di diffusione del virus della malattia, sia durante il trasporto che durante l’abbattimento, di tutti i suini presenti nell’azienda.

L’Asl di competenza, di conseguenza, non ha fatto altro che applicare quanto la legge prevede nei casi di scoppio di un focolaio. Ma un rifugio, come sostenuto dalle associazioni, non è paragonabile a “un’azienda”, non condividendone scopi e finalità, e, come detto, a oggi anche un decreto lo stabilisce.

Assodato che la PSA non è una zoonosi, ovvero una malattia che può essere trasmessa all’uomo tramite, ad esempio, il consumo di alimenti contaminati o il contatto con animali infetti, appare piuttosto chiaro che chi rischia di essere maggiormente danneggiato, in termini economici, dai focolai di peste suina sia il settore degli allevamenti sunicoli, che, vedendo ammalarsi animali destinati alla macellazione, potrebbe perdere un’importante fonte di reddito.

Alla luce di quanto specificato, quindi, viene piuttosto naturale domandarsi se non sarebbe non solo auspicabile, ma anche opportuna, una revisione della legge, in modo da distinguere con ancor più chiarezza gli allevamenti, dove gli animali sono destinati al consumo alimentare, dai rifugi/santuari e, in generale, da quelle strutture dove invece gli animali sono tenuti come animali d’affezione, al pari di cani e gatti, in condizioni di isolamento, e quindi impossibilitati a contagiare altri esemplari, curati e sottoposti a controlli periodici. E che, come si legge ancora nell’istanza presentata dalle associazioni, potrebbero persino “costituire una preziosa occasione per effettuare delle osservazioni sul decorso della patologia da parte di personale medico veterinario, diretta all’avanzamento della ricerca scientifica, nonché alla messa a punto di un protocollo di trattamento“.

Per Bartolomeo, Crosta, Crusca, Mercoledì, Ursula, Dorothy, Freedom, Spino, Pumba e Carolina la sentenza di morte è arrivata, nonostante la rabbia e il dolore di associazioni e attivisti, che lamentano, ancora una volta, di essere stati ignorati dalle istituzioni, sorde alle preghiere di mantenere in vita animali sorvegliati, impossibilitati a contagiare ma, soprattutto, amati.

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