La misura della solitudine: la mappa di quanto ci sentiamo soli in Europa

La solitudine è una condizione purtroppo più attuale che mai, aggravata dallo stato di isolamento e restrizioni a cui la pandemia da Covid-19 ci ha relegati. Ecco una panoramica sui Paesi europei che sono maggiormente colpiti dalla solitudine.

L’attuale situazione dettata dalla pandemia da Covid-19 ci ha costretti a vivere lunghi periodi di isolamento e reso difficili, se non impossibili, contatti e relazioni dal vivo, esponendoci più facilmente al rischio di avvertire solitudine e mancanza di socialità.

Questa è però una condizione con cui facciamo i conti più spesso di quello che pensiamo. La società attuale perennemente connessa e figlia della modernità tecnologica ha in parte potenziato il fenomeno di allontanamento e distanza sociale, un paradosso che ci ha portato a sentirci lontani pur avendo la possibilità di essere sempre presenti, anche non fisicamente. Sono i dati a raccontarci di quanto il fenomeno della solitudine fosse una realtà importante anche prima che la pandemia stravolgesse abitudini e certezze e ci isolasse fisicamente e in modo forzato. Eccoli nel dettaglio.

La mappa della solitudine in Europa: i Paesi a confronto

È il Joint Research Centre, una direzione generale della Commissione europea, ad aver realizzato una mappa dettagliata della solitudine in Europa, basandosi sui dati dell’European Social Survey che ha analizzato più di 106.000 campioni in tempi diversi, nel 2010, 2012 e 2014, in 24 Stati membri dell’Europa. Questi hanno preso in esame due parametri principali: la sensazione di solitudine e l’isolamento sociale.

Stando ai dati, in Europa sono 30 milioni gli adulti sopra ai 15 anni che avvertono spesso una sensazione di solitudine, dato che rappresenta il il 7% della popolazione. Guardando la cartina sottostante, presa dal report citato in apertura, si può notare come la condizione interessi maggiormente le zone dell’Europa dell’Est e del Sud (rappresentati dai colori blu e blu scuro) e in particolare Francia, Polonia, Lituania e Grecia con il 10% e Ungheria, Italia e Repubblica Ceca, dove supera l’11%. I risultati più bassi sono invece riscontrati nel Nord Europa (colori bianco e azzurro chiaro): in Irlanda e Svezia il dato arriva al 5% e si abbassa ulteriormente in Finlandia e Germania (4%) e in Olanda e Danimarca (3%). Va ricordato che i dati possono essere anche sottostimati, considerato lo stigma sociale che tutt’oggi la solitudine rappresenta.

Nella seconda cartina, sempre presa dallo studio del Joint Research Centre, è invece mostrato il secondo parametro, riguardante l’isolamento sociale. Un soggetto viene definito socialmente isolato se interagisce o frequenta amici e parenti una volta al mese o meno. In totale, stando ai dati analizzati, si contano 75 milioni di persone isolate socialmente, il 18% della popolazione adulta. Come per il precedente parametro, i dati più alti (in verde scuro) si riscontrano nell’Europa dell’Est: sono infatti molti gli Stati di questa area che superano il 31%. Precisamente Lituania, Estonia e Polonia, con il 35%, e l’Ungheria, che tocca il 40%. Allo stesso modo i risultati più incoraggianti vengono dal Nord Europa, con Olanda, Svezia e Danimarca che arrivano addirittura all’8%.

Mettiamo però a confronto i due parametri che meritano un distinguo importante. La solitudine frequente è di per sé un dato oggettivamente caratterizzato da una connotazione negativa, mentre gli individui socialmente isolati potrebbero non sentirsi necessariamente soli o possono esserlo per scelta o, ancora, vivere questa condizione in modo non necessariamente negativo. Questo distinguo ci serve per leggere i due parametri nell’insieme, dati che sono da interpretare sia alla luce di caratteristiche individuali sia di caratteristiche socio-culturali. Vediamole nel grafico sottostante, ripreso dalla ricerca effettuata da Joint Research Centre.

Se per la solitudine frequente (in blu) le vette più alte appartengono alle zone dell’Europa meridionale e soprattutto orientale, per l’isolamento sociale, la situazione ci sorprende perché vede agli estremi più alti (in verde) la zona del Nord Europa e dell’Europa dell’Est. In realtà, il risultato alto dei Paesi del nord ci deve stupire fino a un certo punto, e cioè perché, come anticipato, l’isolamento è anche frutto di una scelta condizionata da abitudini culturali. Nel Nord Europa, infatti, è largamente diffusa una cultura più indipendente, maggiormente incentrata sulla dimensione individuale che sui legami familiari, a differenza di quanto accade nelle culture dell’Europa meridionale e dell’Est.

 

 

Ed è per la stessa ragione che la sensazione di solitudine può essere avvertita con maggiore negatività proprio nelle aree in cui la connessione sociale è più sentita e diffusa, ossia nell’Europa del Sud e dell’Est.

Le cause della solitudine

Concentriamoci ora sugli aspetti che la ricerca rileva come principali cause alla base della solitudine.

Tra queste, occupano un posto rilevante le cattive condizioni di salute, il fatto di vivere da soli e condizioni economiche sfavorevoli.

Le persone che vivono in condizioni di salute poco favorevoli hanno infatti 10 punti percentuali in più di probabilità di sentirsi spesso soli rispetto alle persone sane. In particolare la differenza tra individui sani e non sani nell’Europa dell’Est sale a 14 punti percentuali mentre scende a 7, e nell’Europa del Nord.

Anche il fatto di vivere da soli o lontani dal nucleo familiare di origine incide notevolmente, soprattutto nell’Europa orientale, per il discorso affrontano in precedenza: mentre, infatti, gli individui che vivono da soli nel Nord Europa affrontano un rischio di solitudine frequente di 5 punti percentuali in più rispetto ai connazionali che vivono in coppia, il dato raddoppia nell’Europa dell’Est.

Anche le condizioni economiche influenzano non poco il dato: i disoccupati hanno all’incirca 3 punti percentuali in più di probabilità di sentirsi spesso soli rispetto a persone occupate o da medio-alto reddito, e gli individui con basso reddito arrivano a 4 punti percentuali. Una condizione, questa, maggiormente diffusa nell’Europa orientale e meridionale, dove, del resto, come ci dice la prima cartina in apertura, si registrano proprio le aree a maggiore solitudine.

Per quanto riguarda l’età, si assiste a un dato interessante. Sebbene gli anziani siano la categoria che più vive l’isolamento sociale, è paradossalmente quella che avverte meno frequentemente la solitudine. Una ricerca condotta da Jennny Groarke della Queen’s University di Belfast, che ha analizzato un campione di duemila persone tra i 18 e gli 87 anni nel periodo del primo lockdown, ci dice che sono stati proprio i più giovani (26-45 anni) ad accusare maggiormente la solitudine.

Per quanto la solitudine sia un sentimento connaturato con l’essere umano, e sia normale avvertirne la presenza in certi momenti, è però allo stesso tempo necessario monitorarne lo stato, perché una condizione di solitudine cronica può avere conseguenze negative sullo stato psicologico e mentale della persona, provocando, tra gli altri, stati depressivi, panico, disturbi d’ansia e disturbi del sonno. È stato infatti dimostrato che uno stato di solitudine cronica può aumentare il rischio di mortalità del 29% in determinati soggetti, un dato paragonabile a quello dell’obesità e del fumo.

La solitudine ai tempi del Covid-19

Come accennato, il periodo che stiamo vivendo ha amplificato in modo esponenziale la situazione, mettendoci più a rischio solitudine. Un dato che anche in queso frangente non può non tener conto delle esperienze personali e circostanze individuali vissute in questi mesi.

Abbiamo già visto in precedenza come la solitudine in questi difficili mesi sia stata avvertita in misura maggiore tra la popolazione più giovane, e questo anche per via del fatto che è stata la parte più esposta a cambiamenti radicali di abitudini. Un sondaggio effettuato tra gli adulti del Regno Unito nove mesi dopo dallo scoppio della pandemia, mostra che un adulto su quattro ha dichiarato di avere sperimentato sentimenti di solitudine nelle “due settimane precedenti”. E ancora una volta ci conferma che ad essere maggiormente toccati sono stati i giovani, soprattutto disoccupati e gli studenti a tempo pieno, e i genitori single.

L’analisi è poi confermata da un’indagine del Sole 24Ore, che ci mostra come nel periodo della pandemia la fascia maggiormente colpita in Italia sia stata quella tra i 18 e i 34 anni, che rappresentano il 32%, contro il 21% degli over 55. Oltre a questo, dalla ricerca emerge anche che ne sarebbero più colpite le donne rispetto agli uomini, e che i dati siano maggiori al Sud che al Nord. Tra i motivi principali addotti per spiegare il senso di solitudine c’è poi la difficoltà o l’impossibilità di frequentare amici, il partner o i parenti – dato che ha toccato il 61%.

Non è del resto difficile capire come questa emergenza, che ha messo tutto il mondo nella stessa condizione di isolamento, abbia amplificato ai massimi livelli dinamiche già avvertite in condizioni di apparente normalità, soprattutto per soggetti e categorie più fragili e vulnerabili. Ma proprio la situazione attuale potrebbe trasformarsi in un’opportunità per affrontare la questione della solitudine che affligge i tempi moderni con la serietà e l’attenzione che merita. In un mondo che è sempre connesso e i cui confini sono stati abbattuti dall’era tecnologica e le infinite possibilità digitali, abbiamo sottovalutato il pericolo di un allentamento dei legami reali e tolto importanza ai valori della vicinanza e della socialità nel senso più profondo del termine. Aspetti che di colpo hanno riacquistato un immenso peso e riacquisteranno senza dubbio un posto centrale nelle future vite delle persone quando sarà consentito un graduale ritorno alla normalità.

Come superare i momenti di solitudine forzata

In questo periodo storico ci siamo tutti ritrovati a sperimentare dei momenti di solitudine. E non solo fisicamente, per il fatto di vivere soli o non poter vedere amici e persone care, ma anche per via di un generale senso di smarrimento, incomunicabilità e tristezza. Mai come in questo momento, insomma, la solitudine si è rivelata come parte dell’esperienza umana, ma è bene sapere che ci sono alcuni atteggiamenti utili che possono aiutarci a contrastarla e permetterci di avere un maggiore controllo sulla nostra quotidianità.

Uno di questi è senza dubbio rivolgersi alle persone amiche. Fortunatamente in questo periodo di emergenza la tecnologia ha rappresentato un grandissimo aiuto e ci ha concesso di vivere le relazioni in modo intenso, sebbene sempre a distanza. Video-chiamate e telefonate restano senza dubbio uno dei metodi più efficaci per azzerare le distanze in situazioni che non consentono la frequentazione e la socialità.

Unirsi a gruppi online dedicati ad argomenti che ci appassionano è poi un altro metodo che può aiutarci a sentirci meno soli, soprattutto in momenti in cui non ci è consentito frequentarli dal vivo. Fortunatamente la tecnologia si sta sempre più plasmando su misura delle nuove esigenze del mondo e degli stravolgimenti che la situazione pandemica ci ha violentemente imposto.

Ci sono però anche altri gesti che possiamo compiere da soli e che possono comunque allontanarci da queste sensazioni poco piacevoli. Programmare cose future è uno di questi. Rivolgere la mente ad attività o progetti che desideriamo compiere in un futuro immediato ci regala una progettualità e un orizzonte di possibilità che mai come in questo momento ci sono sfuggiti di mano. Se è vero che vivere il presente resta la regola base per vivere bene, in questo frangente ci è concesso dare uno sguardo un po’ più in là per prepararci a quando la vita tornerà a scorrere normalmente.

Aiutare gli altri è poi un gesto nobile che porta notevoli benefici anche a se stessi. Sempre nel rispetto delle regole anti-Covid, possiamo pensare di dedicarsi agli altri: fare la spesa ai vicini più anziani o impossibilitati ad uscire, scrivere su bacheche social, in gruppi di quartiere o all’ingresso del proprio palazzo su un semplice foglio di carta, per offrire la propria disponibilità a dare un aiuto pratico laddove servisse, fare una telefonata a persone sole o che sappiamo essere particolarmente vulnerabili: sono tutti metodi utili per noi e per gli altri.

Se la situazione sembra sfuggirci di mano, non dobbiamo poi avere timore di chiedere aiuto. Possiamo rivolgerci a un professionista della salute, a un’associazione specifica o anche al nostro medico di fiducia e parlare apertamente dei nostri sentimenti. In questo momento sono molti i gruppi di aiuto che si svolgono online e che offrono supporto a chiunque abbia bisogno di sostegno e parole amiche.

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