Ormai i momenti difficili sono, per fortuna, alle spalle, e oggi Marco Bocci è tornato a recitare ma anche alla sua altra grande passione, la scrittura. Il 28 gennaio è uscito per Salani Le Stanze il suo ultimo romanzo, Nelle tue mani, nella sua pelle, che racconta la storia di Laura, una donna che prova a ricostruirsi una vita dopo una complicata storia d’amore con Manolo, finito in carcere vent’anni prima per tentato omicidio, e l’amore per Francesco, l’uomo che si prende cura di lei.

Nelle tue mani, nella sua pelle

Nelle tue mani, nella sua pelle

Laura è riuscita, grazie alla terapia con Anna, a riemergere dalle ceneri della storia con Manolo, terminata nel peggiore dei modi, con lui in manette per il tentato omicidio di uno sconosciuto. Adesso, dopo sette anni, è una donna radicalmente diversa, felice e consapevole di sé. Al suo fianco c’è Francesco, si potrebbe dire l’uomo ideale. Ecco perché non crede ai suoi occhi quando scopre che Francesco non solo sta scrivendo un romanzo, ma che la protagonista sembra ricalcare la Laura burrascosa del passato, quella di cui, in teoria, il suo compagno non dovrebbe sapere niente.
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Con Vanity Fair, Bocci ha quindi parlato non solo della sua ultima fatica letteraria, ma di molto altro, ricordando anche quelle fasi di guarigione complicate dopo che, nel 2018, venne colpito da encefalite da herpes, una malattia che compromise la sua capacità di parlare e la memoria.

Nel libro la protagonista ha un rapporto viscerale con il passato, quello stesso passato che Bocci, in parte, ha perso; “Il passato viene sempre a galla e, per quanto proviamo a dimenticarlo, farà sempre parte di noi – racconta nell’intervista – Io, purtroppo, tante cose del passato le ho chiuse involontariamente: avere una memoria solo a breve termine, in questo, è stato amaro […] È stato e continua a essere complicatissimo. Non sapere spesso con chi stai parlando può essere devastante, ed è per questo che mi preparo in maniera maniacale prima di incontrare qualcuno. A parte questo, ci sono cose chi mi piacerebbe dimenticare. Come la malattia di mia madre, che farei volentieri scomparire dalla mia mente”.

Sulla paura di non riuscire più a scrivere, invece, l’attore dice “Non ne ho avuto contezza. Dopo l’intervento cui mi hanno sottoposto, i medici hanno detto ai miei famigliari che sarei potuto essere aggressivo, inappetente e insonne: il risultato è stato che, dopo 20 giorni dalla dimissione, avevo fatto a cazzotti con tre persone anche se sono la persona più pacifica della terra. Il momento in cui mi sono ricordato di avere due figli me lo porterò sempre nel cuore”.

Proprio quei figli, Enea e Pablo, sono, a loro modo, artefici della più grande paura di Marco Bocci, quella di “restare solo. I miei figli stanno crescendo e stanno iniziando ad avere, pian piano, un altro rapporto con me: mi immagino il momento in cui non circoleranno più per casa e mi tratteranno male e un po’ mi rattristo. Un po’ soli, però, lo siamo sempre. Anche se ho Laura e tanti amici vicino, la paura della solitudine è veramente forte in me”.

“I miei figli che crescono e iniziano a guardarmi con giudizio – prosegue, parlando di ciò che lo spaventa – il lavoro da organizzare, la salute delle persone cui voglio bene, i genitori che invecchiano, la casa da gestire, il produttore che non riesco a convincere a finanziare un film in cui credo”.

Nel suo romanzo l’interprete di Squadra antimafia parla anche delle ombre che ognuno di noi porta con sé; la sua, dice, “fa parte di me” e anche se cerca di moderarla, dice “allo stesso tempo, sento di averne bisogno. Per il resto, vivere in un mondo molto veloce in cui capita che le persone non ti diano il tempo non solo di rispondere ma anche di formulare un pensiero mi rattrista. Allora, anziché lanciarmi in una disamina sbagliata, preferisco stare zitto: ho smesso di rincorrere le cose se non arrivano. E ho imparato a fregarmene del resto”.

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