Quello che è successo a Tulsa, in Oklahoma, un secolo fa è qualcosa di cui si parla poco e niente, eppure, alla luce di alcuni avvenimenti odierni, assolutamente attuale.
È il 30 maggio del 1921, e il lustrascarpe diciannovenne Dick Rowland, nero, doveva usare il bagno, ma la sola toilette pubblica di cui potessero servirsi le persone nere era proprio in cima all’edificio Drexel, nel centro città. Per arrivarci Dick ha quindi preso l’ascensore alla cui gestione lavorava Sarah Page, un’adolescente bianca di 17 anni.

Ciò che accadde davvero in quei pochi minuti è avvolto dal mistero, da cronache diverse dell’epoca e da racconti frammentari, ma quel che di certo si sa è che il commesso di un negozio di abbigliamento al primo piano del palazzo dichiarò di aver sentito quelle che sembravano le grida di una donna. All’apertura dell’ascensore, Rowland era uscito agitatissimo, mentre la giovane Sarah appariva sconvolta. Fu piuttosto facile, per l’opinione pubblica bianca americana, supporre che il ragazzo avesse aggredito sessualmente l’adolescente.

Rowland venne arrestato e spedito in prigione, e nel giro di qualche ora cominciarono i tumulti che passeranno alla storia con il nome di massacro di Tulsa: circa cento bianchi si diressero al carcere, e altrettanto fecero 75 afroamericani, con lo scopo di impedire il linciaggio del ragazzo; ci fu uno scontro a fuoco violentissimo fra i due gruppi, che costò la vita a dodici persone, dieci bianchi e due neri.

Fu l’inizio di una vera e propria guerriglia urbana che interessò il quartiere afroamericano di Greenwood, soprannominato Black Wall Street, con i bianchi che uccisero persone e diedero fuoco a case e negozi. Solo la legge marziale imposta dalla Guardia Nazionale il giorno seguente, il 1° giugno, riuscì a porre fine alle violenze. Il bilancio fu però impressionante: 800 persone finirono in ospedale, 6000 neri furono arrestati in strutture improvvisate, 36 furono le persone morte negli scontri, che al successivo esame della Commissione dell’Oklahoma, nel 2001, diventarono 39, 26 neri e 13 bianchi.

Circa 10.000 neri rimasero senza casa, mentre ci furono danni ai beni per oltre due milioni di dollari.

Ciononostante, come detto, gli americani hanno sempre trascurato questa pagina nera della loro storia, a differenza di altre, come la guerra del Vietnam, ad esempio, soggetto di numerosi film, o sulla schiavitù. Certo, la questione della discriminazione razziale è affrontata in moltissime opere, non solo di autori e autrici afroamericani/e come Toni Morrison, ma anche, ad esempio, nel capolavoro Il buio oltre la siepe, ma solo un film è stato realizzato sui tanti massacri avvenuti nel periodo compreso tra il 1917 e il 1921: Rosewood, di John Singleton, datato 1997, sul massacro razziale del 1923 che distrusse l’omonima città in Florida.

Perché gli americani hanno cancellato questa parte di storia? C’è, forse, un problema insito nella società americana, che affronta malvolentieri il discorso del razzismo endemico che ha caratterizzato a lungo la sua storia e, purtroppo, continua a essere una caratteristica insita nel tessuto socioculturale del Paese. Basti pensare al motivo per cui è nato il Black Lives Matter, alle polemiche e alle rivolte scoppiate dopo la morte di George Floyd e a quel problema di suprematismo bianco che soprattutto le autorità sembrano ancora considerare una propria prerogativa esclusiva e assoluta. Il giornalista Lawrence Ware scrive in un articolo per Slate:

Penso che il motivo per cui la storia di ciò che accadde il 30 maggio 1921 a Tulsa sia stata assente da gran parte dei media sia chiaro: gli americani non sono disposti ad affrontare la radicata cattiveria del suo razzismo e il fatto che tale cattiveria esista ancora e ha oggi profonde ripercussioni.
Considerando gli eventi di maggio 2020, quasi 99 anni dopo gli eventi di Tulsa, c’è stata quella che sembrava essere una risposta nazionale e collettivamente oltraggiata all’uccisione da parte della polizia (bianca) di George Floyd (nero). Le città di tutto il paese sono scoppiate in proteste pubbliche su larga scala contro la polizia. L’NBA ha rinviato le partite, perché i giocatori, e non solo quelli neri, si sono rifiutati di giocare in segno di solidarietà.

Aziende diverse come Nike, Apple e Domino’s Pizza hanno rilasciato dichiarazioni che denunciavano il razzismo e esprimevano il loro impegno a sostenere la vita dei neri. Quest’ultima, potente ondata del movimento Black Lives Matter, iniziata solo pochi anni fa, mi ha scioccato. Sentivo che forse avevamo attraversato una sorta di Rubicone e avremmo effettivamente assistito a un cambiamento sociale e sistemico. Ero pieno di speranza.
E poi, le stagioni sono cambiate. La vita è andata avanti. L’indignazione che pensavo potesse migliorare le cose per i neri intrinsecamente svantaggiati in questo paese è svanita. Non ci sono state riforme politiche sostanziali. Non c’è stato un vero cambiamento nel modo in cui gli americani parlano o rispondono al razzismo. Abbiamo avuto un momento di rabbia, e poi la vita è tornata alla sua insoddisfacente normalità.

Ware prosegue:

Questo ritorno allo status quo razziale, in cui i neri e le altre persone di colore sono prive di potere ed emarginate dalla società sulla base della sola etnia, è avvenuto per lo stesso motivo per cui gli studi americani continuano a ignorare le storie importanti dei massacri razziali del nostro paese: noi, cioè le potenze a maggioranza bianca di Hollywood, siamo disposti ad affrontare la ben nota storia della schiavitù, l’era di Jim Crow e il movimento per i diritti civili, ma non vogliamo affrontare questi argomenti più locali, episodi relativamente recenti e altrettanto toccanti di gravi crimini tra bianchi e neri.

Il danno più grave arrecato alla popolazione nera, sostiene Ware, c’è stato dopo la fine della schiavitù, quando il divario è stato persino ampliato con la segregazione razziale e la violenza sistemica ai danni di afroamericani e persone appartenenti ad altre etnie. E i media, soprattutto il cinema, hanno storicamente avuto la tendenza a omettere questa particolare verità, se non parlandone in sporadiche occasioni o riservando a storie come quella di Tulsa un posto davvero poco rilevante all’interno della loro produzione.

 

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