Nicoletta Dosio, storica attivista No TAV 78enne, è di nuovo agli arresti domiciliari; a deciderlo, lo scorso 1° giugno, la giudice Elena Massucco, che ha condannato Dosio per i fatti risalenti al 28 giugno 2015, quando la marcia No TAV fece cadere reti e barriere nel cantiere in Val di Susa, e per gli avvenimenti seguenti.

Andiamo con ordine: 9 anni fa Nicoletta Dosio e gli altri attivisti vengono accusati di violenza contro pubblico ufficiale e devastazione, e a tutti vengono applicate misure cautelari di restrizione della libertà personale; misure che, tuttavia, Dosio deciderà di non rispettare, sentendosi dare ragione dalla Corte di Cassazione che, nel 2016, derubrica i reati a danneggiamento, costringendola a pagare una multa di 800 euro.

Peccato, però, che le uscite durante i mesi in cui avrebbe dovuto scontare l’obbligo di firma prima, e i domiciliari poi, siano state viste alla stregua di evasioni, facendole valere un altro processo, conclusosi appunto il 1° giugno con la nuova condanna ai domiciliari.

Ricordando quel giorno del 2015 con L’Indipendente, Nicoletta Dosio parla del momento in cui sono cominciati gli scontri: “Sono cominciati a piovere lacrimogeni a non finire, ricordo una donna anziana caduta per terra, la gente che non riusciva a respirare per i fumi, che si è sentita male”. Il corteo, giunto sul posto per celebrare i 4 anni dalla “riconquista” della baita della Maddalena, situata nella zona del cantiere TAV di Chiomonte, decide di arretrare provando a passare dalla statale per raggiungere Chiomonte, ma anche qui si trova la strada sbarrata dagli agenti: ” A quel punto, noi anziani abbiamo deciso di fare un’azione dimostrativa: a volto scoperto, abbiamo tentato di tirare giù i jersey, e ci siamo riusciti! Fu una cosa eccezionale”.

L’esito di quella manovra è la condanna per tutti i partecipanti. “La comunicazione è arrivata un anno dopo: nel 2016 la Digos è venuta a casa mia, l’hanno perquisita e mi hanno riferito dell’obbligo di firma quotidiano, che io ho deciso di violare. La cosa è andata avanti, dalle firme si è passati all’obbligo di dimora, ma anche in quel caso ho deciso di non rispettarlo, con il consenso del Movimento. È stata una decisione collettiva, come tutte. Così ho cominciato a viaggiare, dentro e fuori il Piemonte, per raccontare la nostra storia. Fu una vera manifestazione di popolo, perchè uscivo sempre accompagnata da qualcuno”.

Le evasioni di Dosio sono sotto gli occhi di tutti, anche dei carabinieri che, ricorda ancora, “Evidentemente avevano l’ordine di non fermarmi perchè non sono mai intervenuti”.

Durante una protesta di fronte al tribunale di Torino Dosio viene prelevata da alcuni agenti e sottoposta a un processo per direttissima, al termine del quale venne condannata ad altri 8 mesi di domiciliari, anche questi non rispettati. Sarà infine la Suprema Corte, con sentenza del 30 dicembre 2016, a darle ragione, sostenendo che non vi siano prove sufficienti a sostegno delle accuse di violenza per i fatti del 2015 e revocando le misure cautelari.

Ma il processo per le evasioni prosegue, nel frattempo: “Gli agenti avevano fatto i verbali di tutte le volte che mi avevano vista uscire, contanto alla fine 130 violazioni. Hanno messo insieme le condanne e così si è arrivati a un anno e nove mesi”.

Nonostante la nuova condanna, Dosio ha le idee ben chiare:

Non avrei chiesto nessuna attenuante, perchè continuo a pensare che chi può permettersi di farlo non deve trattare con questa giustizia ingiusta. Chi è giovane ha da perdere, ma io no. Quello che facciamo, come Movimento, ha sempre un significato politico ed è sempre condiviso. Il potere non finge nemmeno più di velare la sua arroganza, la usa con tutta la sua forza in ogni momento. Per questo non mi pento: rifarei tutto altre mille volte perchè era giusto farlo. Non è una questione mia individuale, ma è una lotta per tutti, contro un sistema sbagliato.

Sulla costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione si dibatte da oltre vent’anni, con i No TAV che ritengono la costruzione dell’infrastruttura un simbolo di mala gestione del bene comune, della spesa pubblica, ma anche del territorio, visto il grande impatto ambientale e dei possibili danni alla salute umane coinvolti nella costruzione.

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